Ariel Sharon lascia il Likud
la cronaca di Francesco Battistini e l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata:
Data: 21/11/2005
Pagina: 9
Autore: Francesco Battistini - Fiamma Nirenstein
Titolo: Sharon lascia il Likud e chiede il voto anticipato - Arik, la tentazione del centro
A pagina 9 il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 21 novembre 2005 pubblica la cronaca di Francesco Battistini "Sharon lascia il Likud e chiede il voto anticipato", che riportiamo:
GERUSALEMME — L'aveva fatto capire. L'aveva fatto filtrare. L'aveva fatto smentire. Adesso l'ha fatto e basta: Ariel Sharon, dopo 32 anni, lascia il Likud. Non è un annuncio ufficiale, ma è come se lo fosse, perché a dare la notizia a tarda sera, «un terremoto politico», è la Radio dell'Esercito. La «drammatica, irrevocabile decisione» è presa, una lettera è già pronta per chiedere al capo dello Stato, Moshe Katsav, di sciogliere la Knesset. Un blitz: due giorni a meditare, assieme ai figli Omri e Ghilad, ascoltando i consiglieri Adler e Shani, poi il vecchio soldato attacca a sorpresa. Non aspetta nemmeno che sia formalizzata (oggi) la fine del suo governo. Non si fa battere sul tempo nell'accordo per le elezioni anticipate e dal suo ranch nel deserto del Negev, dove s'è ritirato, lancia il sasso nei cristalli della politica israeliana. Correrà da solo, lui contro tutti. Con un suo partito, forse suo e di nessun altro. Correrà contro il nuovo avversario laburista, Amir Peretz. Ma soprattutto correrà contro i vecchi alleati del suo Likud, quegl'irriducibili ribelli guidati da Benjamin Netanyahu che non gli hanno perdonato la Pace del Quartetto, il disimpegno da Gaza, il progetto di ridare ai palestinesi parte dei Territori.
Sharon se ne va, per poter continuare. L'ultimo sondaggio gli dà 28 deputati (su 120), contro i 28 laburisti e i 18 che resterebbero al Likud de-sharonizzato. Il nuovo partito ha già un nome, top secret. Ha già degli aderenti: il vicepremier Ehud Olmert, di sicuro, più una quindicina di deputati del Likud, più il capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni. Forse, ha anche un alleato: Shimon Peres, il vicepremier laburista, il vecchio leader defenestrato pochi giorni fa dalle primarie e dalla nuova stella della sinistra, Amir Peretz. Ieri, al comitato centrale del suo partito che decideva l'uscita dal governo, Peres per la prima volta non s'è fatto vedere. Perché la rivoluzione Peretz — l'omino coi baffi che non si fa problemi d'essere caricaturato come Stalin, il leader che infiamma la piazza parlando d'Israele «Stato di tutte le religioni» —, questa rivoluzione ha messo l'anziano Peres in un angolo vicino a quello dell'anziano Sharon. 160 anni in due, suppergiù: i vecchi leoni della politica israeliana faranno la campagna elettorale insieme, dicono in molti, e potrebbero anche spuntarla. Loro due ancora al governo, al centro, con un partito nuovo. Netanyahu, all'opposizione. Peretz e i suoi laburisti, chissà.
Ma quante divisioni ha, Sharon? Un editoriale di Yedioth Ahronot,
ieri mattina, aveva pochi dubbi: «Un'uscita di Ariel dal Likud — scriveva Simon Shiffer — è capace di provocare la più grande migrazione politica mai vista, fin dal giorno della sua nascita, sulla mappa politica d'Israele». Il motore della nuova formazione si chiama Tzipi Livni, ministro della Giustizia, che da settimane ormai sta facendo la campagna acquisti fra gl'indecisi del Likud. Quanto al partito, per la poltrona di segretario è un affollatissimo rush: aspirano naturalmente Netanyahu e Moshe Feiglin, il leader dei coloni, ma anche il ministro della Difesa Shaul Mofaz, il ministro degli Esteri Silvan Shalom, quello all'Istruzione Limor Livnat, quello all'Agricoltura Israel Katz... Un terremoto vero. La fiera dell'imprevedibile: la prima mano tesa al nuovo partito di Sharon, ieri sera, è venuta dalla Sinistra sionista. Quella più dura. Quella che Ariel, prima, lo considerava il grande nemico.
LA STAMPA pubblica a pagina 9 l'analisi di Fiamma Nirenstein "Arik, la tentazione del centro".

Ecco il testo:

CI siamo, sta per cambiare tutto. Tutti quelli che sono a poppa correranno a prua, e tutti quelli che sono a prua correranno a poppa, rispecchiando di fatto una realtà precostituitasi dallo sgombero di Gaza in avanti.
Sono le ultime ore in cui tutta la politica israeliana guarda nella palla di vetro prima che Sharon sveli il mistero: sta per formare un nuovo partito di centro abbandonando l'ingrato Likud così da perseguire la linea della trattativa con i palestinesi? Intende affrontare, libero dal cipiglio di Netanyahu e di Uzi Landau, le elezioni che si prospettano inesorabilmente dopo che il partito laburista ieri ha votato l'uscita dal governo, e dopo che l'alleato di governo ha abbandonato Shimon Peres scegliendo Amir Peretz, ex segretario del sindacato (Histadrut) come nuovo leader? Sembra di sì. Sharon non ha detto niente a nessuno fino a poche ore fa, ma alcune mosse compiute ieri rivelano che vuole fronteggiare l'elettorato con la sua linea di «penose concessioni» territoriali, ma anche di dura difesa di Israele dal terrorismo senza la zavorra di un partito che per una buona parte, dopo il disimpegno, lo considera un traditore e un dittatore.
Due sono le mosse rivelatrici: durante l'ultima riunione di gabinetto (è questione di ore il momento in cui il governo verrà sfiduciato) ha fatto una dichiarazione di amicizia a Peres che somiglia a un'offerta di lavoro, in un unico partito: «Shimon - gli ha detto - questo (l'ultima seduta del gabinetto ndr) è l'inizio di un nostro nuovo lavoro in comune». Anche un altro ministro laburista, Haim Ramon, un cinquantenne molto quotato, sembra essere disposto a entrare nella eventuale nuova formazione di Sharon. Né Peres né Ramon hanno messo il naso al Comitato Centrale a Tel Aviv, di fatto una grande manifestazione di insediamento di Peretz.
Il secondo segnale che Sharon è sulla porta di uscita sembra essere rappresentato dalla riunione di leader del Likud che ha indetto ieri il ministro della Giustizia, Tzipi Livni, una bionda raffinata intellettuale che è sempre stata la più articolata spalla di «Arik». Lei e altri personaggi, come Ehud Olmert e Avi Dichter, l'ex capo dello Shin Bet, i servizi segreti dell'Interno, sono pronti al passaggio. Perché, ha spiegato Livni, anche se Arik vincesse le primarie contro Netanyahu, persino dopo aver vinto le elezioni non potrà comunque realizzare la sua politica perché la metà del partito glielo impedirà con le unghie e con i denti.
Ma è molto difficile per il partito che alle elezioni del 2003 aveva finalmente vinto a grande maggioranza dopo anni di faticosi giochi alla pari con i laburisti, vedere che la sua migliore carta sta per volare via, con una fetta del partito. Molti cercano di convincere Sharon che adesso nel Likud tutto sarà tranquillo, e l'esile possibilità che Arik resti, è legata alla loro capacità di convincerlo. Sharon, se sceglierà di andarsene (la radio militare ha dato la decisione per presa), ha tutto l'interesse che le elezioni si svolgano il prima possibile. In ogni giorno di attesa divamperà una campagna di autentico odio, in cui i suoi ex, probabilmente uniti in una coalizione di destra che andrà dal Likud ai partitini religiosi e nazionalisti, lo indicheranno ancora, un'ennesima volta, come un traditore e un prepotente.
Questo potrebbe favorire uno spostamento degli ammiratori del primo ministro verso il vecchio Likud guidato da Bibi Netanyahu o da un altro dei pretendenti che si affollano verso le primarie. Una dispersione di voti fra Sharon e Netanyahu (o chi per esso) potrebbe inoltre portare a una vittoria di Amir Peretz, che ieri è stato accolto dal suo partito al grido di «rivoluzione, rivoluzione», e che ha votato compatto per uscire dal governo. Anche Peretz ha interesse a correre verso le elezioni per sfruttare la non robustissima novità della sua vittoria. Sharon sa tutto, guarda, e prepara la sorpresa.
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