Iran: la vittoria dei nuovi mamelucchi e i vantaggi della chiarezza
l'analisi di Amir Taheri
Testata:
Data: 29/06/2005
Pagina: 1
Autore: Amir Taheri
Titolo: L'Iran passa di mano, dai mullah ai militari. con possibili sorprese
IL FOGLIO di mercoledì 29 giugno 2005 pubblica a pagina 1 dell'inserto un articolo di Amir Taheri, ripreso dal Wall Street Journal e da Milano Finanza, che riportiamo:
La scorsa settimana, in una delle sue rare uscite durante la campagna presidenziale iraniana, a Hashemi Rafsanjani, l’uomo in quel momento ritenuto quasi unanimemente il probabile vincitore, è capitata un’imbarazzante scocciatura. Una donna piuttosto anziana, cercando di oltrepassare il cordone di sicurezza, ha esclamato: "Posso dirle una cosa?". Ricevuto il permesso di
avvicinarsi a Rafsanjani, la donna gli ha improvvisamente tolto il turbante dalla testa urlando: "Basta mullah!". Un paio di giorni prima, Rafsanjani si era beccato i fischi degli studenti dell’università di Teheran, che avevano gridato: "I mullah tornino dentro le moschee!". Rendendosi conto del crescente
risentimento contro i mullah, lo stesso Rafsanjani, sui poster usciti nelle ultime settimane della sua triste campagna elettorale, si era fatto fotografare senza turbante. Rafsanjani non è stato il solo mullah a sperimentare sulla sua pelle l’ondata di risentimento dell’opinione pubblica. Nella città santa di Qom, l’ayatollah Muhammad Javadi Amoli, uno dei grandi ayatollah del regime,
è stato schiaffeggiato e fatto scendere dal palco a forza di urla mentre cercava di fare un discorso in favore di Rafsanjani. Ci sono molti modi di interpretare la vittoria a sorpresa di Mahmud Ahmadinejad, che sarà il sesto presidente della Repubblica islamica dell’Iran. Ma una cosa è certa: segna, all’interno del regime khomeinista, un passaggio del potere dai mullah ai
militari. Questa è la prima volta che un mullah (anzi il più autorevole di tutti i mullah) è sconfitto da un non mullah praticamente sconosciuto in un’elezione di primaria importanza. La sconfitta dei mullah è dimostrata anche
da altre cose. Tutti gli autoproclamati grandi ayatollah di Qom hanno sostenuto
Rafsanjani, esattamente come hanno fatto entrambe le ali rivali della Società del clero combattente. Questa vasta coalizione, che unisce i seguaci di Mossadeq, i comunisti di Tudeh e i cosiddetti "nazionalisti religiosi", e che aveva aiutato Khomeini a prendere il potere nel 1979, ha appoggiato Rafsanjani.
Ahmadinejad ha sfruttato i sentimenti antimullah senza farsi il minimo scrupolo. Ha parlato di "sedici anni di declino, dispotismo e ruberie". E non c’è naturalmente bisogno di ricordare che in questi sedici anni
l’ayatollah Ali Khamenei è stato la guida suprema e due mullah, Rafsanjani e
Muhammad Khatami, hanno mantenuto la presidenza per otto anni ciascuno.
La vittoria di Ahmadinejad segna il successo del corpo delle Guardie della rivoluzione islamica e della mezza dozzina di organizzazioni paramilitari a esse collegate. Ora che la sua élite è caduta in discredito per colpa di anni e anni di malgoverno, il regime è costretto a mettere in campo il proprio apparato militare per affrontare le nuove sfide politiche.
Ciò che oggi sta accadendo in Iran ha parecchi precedenti nella storia islamica.
Molti regimi fondati sulla religione hanno finito per fare un patto diabolico con i militari allo scopo di farsi proteggere dalle proteste della popolazione. E ogni volta i militari, giunti al potere, hanno eliminato i loro padroni. Nella storia islamica questi governatori militari sono chiamati "mamelucchi"
(dal participio passato del verbo "possedere"): individui che dovevano essere al servizio del califfo, ma che alla fine gli tagliarono la testa e presero il potere. Non c’è dubbio che Ahmadinejad, e anche l’élite militare del regime, deve la propria vittoria all’ayatollah Khamenei, il quale ha rotto con i suoi colleghi mullah e ha aiutato i militari a vincere la battaglia all’interno del regime. In teoria, l’ayatollah Khamenei ora controlla tutte le leve del potere. In realtà, è un mullah isolato che dovrà affrontare una sempre più rigida opposizione da parte del clero. Allo stesso tempo, non avendo una propria base
popolare, diventerà presto un ostaggio dei nuovi "mamelucchi", di cui Ahmadinejad è il simbolo. La vittoria dei nuovi mamelucchi non è stata un fulmine a ciel sereno. Negli ultimi anni hanno conquistato posizioni di potere
a spese dei mullah. Attualmente, 22 dei 30 governatori provinciali sono nuovi mamelucchi. Nel Majlis (il Parlamento) ci sono 130 nuovi mamelucchi contro 63 mullah, su un totale di 290 seggi. I nuovi mamelucchi hanno anche una forte rappresentanza nel settore diplomatico: controllano più della metà delle ambasciate iraniane, comprese quelle di capitali di fondamentale importanza come Kabul, Baghdad e Pechino. Alla fine dello scorso anno i nuovi mamelucchi
hanno mostrato il loro potere quando hanno fatto chiudere il nuovo aeroporto di Teheran soltanto poche ore dopo la sua inaugurazione da parte del presidente Khatami. Il motivo di questa chiusura stava nel fatto che Khatami aveva affidato la gestione dell’aeroporto a una società turca rappresentata in Iran da un fratello di Rafsanjani. Le Guardie della rivoluzione volevano che la gestione fosse affidata a una società iraniana e alla fine hanno avuto la meglio. Khatami e il suo mentore, Rafsanjani, si sono beccati le uova in faccia.
L’ascesa dei nuovi mamelucchi rappresenta inoltre un cambiamento di generazione nell’establishment khomeinista. I vecchi mullah e i seguaci di Mossadeq che hanno costituito l’ossatura della classe dirigente saranno sostituiti da uomini di 30 e 40 anni che, armi in pugno, hanno combattuto per la Rivoluzione, partecipato alla guerra contro l’Iraq e contribuito a ricostruire le province
devastate dal lungo conflitto. La nuova generazione è più istruita di quella che sta per essere sostituita. Ahmadinejad sarà il primo presidente della Repubblica islamica con un dottorato. Allo stesso tempo, i nuovi mamelucchi hanno acquisito notevoli esperienze politiche e amministrative facendo per vari anni i sindaci, i governatori e i viceministri. Lo stesso Ahmadinejad è stato per tre volte governatore provinciale e circa due anni fa è stato eletto sindaco di Tehran. I nuovi mamelucchi possono far rivivere il messaggio populista di Khomeini perché, a differenza dei mullah, non sono rimasti invischiati nel "saccheggio del tesoro nazionale", come ha proclamato Ahmadinejad. Rafsanjani ha promesso un "modello cinese", vale a dire un regime politico oppressivo accompagnato da qualche provvedimento di liberalizzazione economica. Ahmadinejad preferisce il modello nordcoreano, ponendo l’accento sui vantaggi dell’autosufficienza e sui danni di un ingresso nella Wto, nonché promettendo una radicale redistribuzione della ricchezza, presumibilmente dai mullah ai poveri delle città, che hanno rappresentato la base del suo elettorato. I politici mullah come Khatami e Rafsanjani hanno cercato (e spesso ci sono riusciti) di ingannare gli europei facendo finta di essere liberal in stile Davos, mentre in patria obbligavano le donne a coprirsi i capelli perché emanano un pericoloso bagliore che rende selvaggi gli uomini. Con Ahmadinejad, invece, quello che si vede è la realtà. A differenza di Khatami, il quale affermava che l’Islam e la democrazia sono la stessa cosa, Ahmadinejad non si fa alcuno scrupolo a dire che le due cose sono incompatibili.
Sostiene anche senza mezzi termini che le donne non sono uguali agli uomini e che i non musulmani non possono avere gli stessi diritti dei musulmani. Khatami e Rafsanjani hanno cercato di presentare al mondo un "diverso" che era in realtà la stessa cosa, ma senza barba e turbante. Ahmadinejad, invece, è orgoglioso di presentarsi come il "diverso" che non rinuncia in nessun caso alla sua diversità. Tutto questo rappresenta un immenso vantaggio sul piano della chiarezza. Ora sappiamo che l’Iran è controllato da un’élite che rifiuta il modello globale e dichiara di costituire un’alternativa a ciò che lei
stessa definisce il "corrotto stile di vita occidentale". La vittoria di Ahmadinejad dimostra che il regime khomeinista non può essere riformato dall’interno, perlomeno non nella direzione sperata dalle classi medie urbane del paese e dalle potenze occidentali. Ahmadinejad dice che l’Iran ha diritto ad avere qualsiasi arma desideri, comprese quelle nucleari, abbandonando così quell’ambiguità tanto cara a Jack Straw e Joschka Fischer. Paradossalmente, queste non sono cattive notizie. In patria, le classi medie iraniane ora si rendono conto che devono combattere per ottenere ciò che vogliono. All’estero,
tutte le potenze che hanno rapporti con la Repubblica islamica sanno che non possono più temporeggiare e tergiversare con i nuovi mamelucchi di Teheran.
La nuova élite di Teheran può essere tenuta sotto controllo e, al momento giusto, anche affrontata e sconfitta. Ma non si può certo convincerla a un comportamento ragionevole durante un colloquio a Davos o nel corso di una cena con Jacques Chirac.
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