L' Iran ultrafondamentalista? Non è un pericolo
perché è una "democrazia" , perché destabilizza "fino a un certo punto", perché l'unico vero "pericolo" è Israele
Testata:
Data: 28/06/2005
Pagina: 1
Autore: Marcello Veneziani - Gianni Baget Bozzo - Michele Giorgio
Titolo: Contro gli ayatollah teniamo la schiena dritta - E se l’Iran non facesse paura? - Israele riapre il dossier iraniano
LIBERO di martedì 28 giugno 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 17 un articolo di Marcello Veneziani , intitolato "Contro gli ayatollah teniamo la schiena dritta".
La tesi di Veneziani può essere così sintetizzata: in Iran i fondamentalisti hanno vinto in lezioni democratiche, il che è naturale, dato che gli iraniani sono fondamentalisti per cultura. L'Europa deve trattare con l'Iran fondamentalista, visto che questa odia soltanto Stati Uniti e Israele. E per farlo da una posizione di forza deve prendere esempio, e riscoprire la sua "identità" tradizionale.
I primi due passi di questo ragionamento si basano su falsità: le elezioni iraniane non sono state democratiche (sia perchè le istituzioni iraniane non sono democratiche, dato che le istituzioni "repubblicane" sono sottoposte al controllo di un'autorità religiosa; sia per i brogli e le intimidazioni che le hanno accompagnate) e gli iraniani non sono fondamentalisti per cultura; per l'Europa una politica di apertura a Teheran che rompesse la solidarietà con gli Stati Uniti e con Israele (minacciata di un genocidio atomico" sarebbe una strategia fallimentare , oltre che moralmente condannabile. Prima o poi i mullah diverrebbero una minaccia anche per noi. Ricordiamo che ilò khomeinismo ha inventato, con la condanna di Rushdie, la fatwa universale, estesa al di là dei confini nazionali e di quelli delle religioni.
L'ultimo punto non è di nostra "competenza" e ci asterremo da una critica. Ci pare, di primo acchito, che la prospettiva di una riscoperta dell'"identità" occidentale ed europea che prenda a modello l'Iran degli ayatollah sia una prospettiva piuttosto inquietante.
Ma anche, probabilmente, una prospettiva piuttosto remota.

Ecco il testo:

Mahmud, Mahmud. E ora che facciamo, cara Oriana, marciamo sull'Iran? A Teheran hanno eletto un conservatore rivoluzionario, o meglio un rivoluzionario integralista. Inviato da Allah e combattente pasdaran, Mahmud Ahmadinejad ha già dichiarato l'ostilità ad Israele e la polemica indipendenza dall'America e ha annunciato di non rinunciare al nucleare. Tutti l'hanno vista come una dichiarazione di guerra atomica all'Occidente. E per intimorire l'Occidente bambino hanno aggiunto un particolare di quelli che colpiscono la fantasia infantile di noi occidentali: con Mahmud (...) (...) tornano al potere le barbe, anzi ci sarà l'obbligo di barba per tutti gli uomini, equivalente peloso del burqua femminile. Occidentali spaventati, barbieri iraniani disperati. Dal paradiso d'Allah, Khomeini sorride sotto i baffi. Già nascono comitati di nostalgici di Rafsanjani, il presidente uscente, denominato il Glabro come il nostro mitico Rodolfo, perché privo di barba. Secondario appare che Rafsanjani appartenesse al clero come tutti gli altri candidati e invece Mahmud sia un laico, vestito in borghese, con un look calabro-lucano (a occhio si direbbe un abitante di Tricarico). Poi, magari vedi una foto di Mahumd tra i suoi collaboratori e ti accorgi che sono tutti privi di peluria sul viso. Ma non cerchiamoil pelo e torniamoabomba.Allora che vogliamo fare, signor Bush e signorini Bush-men (che vuol dire letteralmente boscimani): invadiamo l'Iran, l'assediamo? No, signori, nonpossiamo ridurre gli altri a pensarla come noi, non possiamo pensare di fare del mondo una succursale del nostro style, della nostra cultura e della nostra società. So di incontrare il pieno disaccordo di molti di voi e del direttore, ma siamo gente libera. Ragioniamo. In Iran non è sorto un dittatorello cattivello che avvelena e uccide i suoi rivali e fonda uno staterello canaglia. No, qui siamo davanti a un grande paese e a libere elezioni con un verdetto impressionante, oltre il 60% di votanti. Affluenza bassa? Mica tanto se raffrontata alle nostre grandi democrazie, a cominciare dagli Usa. Una vittoria secondo le regole, dunque. E senza crimini e delitti. Prevenire, però, spiegano gli strateghi e i dentisti, è meglio che curare. Allora che si fa, andiamo alla guerra preventiva? Non dimentichiamoci gli errori delle puntate precedenti. Ne cito un paio, disastrosi. Il primo fu proprio in Iran. Per indebolire il regime degli ayatollah, l'Occidente armò e sostenne Saddam Hussein. Risultato: milioni di morti e poi un tiranno come lui ci costringe a quindici anni di guai tra guerre, terrorismo e faticosi golpe. Che sia stato un affare per l'apparato industriale- militare non lo metto in dubbio. Ma che sia stata una rovina per il mondo intero, economia compresa, mi pare sotto gli occhi di tutti. Abbiamo scavato ancora più il fossato che ci separa dall'Islam, abbiamo incattivitounmiliardo di persone, più milioni di immigrati ed eccitato svariati milioni di fanatici contro Israele, Usa e compagnia. Secondo errore: in Algeria vinsero democraticamente le elezioni gli integralisti. Poi un golpe bianco, col plauso dell'occidente, ne impedì l'accesso al potere. Eppure erano state votazioni democratiche. Risultato: guerra civile per anni, migliaia di sgozzati, conflitto acuito con l'Islam. E' convenuto? Direi di no. Allora lasciamo stare le guerre e i golpe preventivi. Lasciamo stare gli allarmi e i pregiudizi e guardiamo in faccia la realtà. Che ci dice tre cose: uno, non è detto che un leader conservatore e radicale sia più aggressivo di altri. A volte accade il contrario. Ci si può perfino accordare. Ricordatevi di Mao e Nixon, due opposti che si presero e uscimmo dalla parte seconda della guerra fredda, creando una spina nel fianco dell'Urss. Due, nella fretta e nel panico, è sfuggita l'apertura che Mahmud ha fatto verso l'Europa. L'Islam distingue tra Usa ed Europa, perché noi non dovremmo distinguere tra Islam terrorista e Islam temperato? È una distinzione vera, e anche se non fosse vera sarebbe comunque utile. Perché sottovalutare l'apertura dell'Iran all'Europa e mettersi già in fila come soldatini di legno dietro gli Usa? Si può avviare un discorso serio, realista, cercare un accordo, riconoscendo la leadership di area all'Iran emagari negoziando con loro una soluzione per l'Iraq. Quando non puoi accoppare l'avversario, cerca di stabilire un patto serio, di reciproca garanzia. Tre, il problema nostro, amici miei, non sta a Teheran,main casa nostra. Non dobbiamo avversarela fierezza degli altri popoli; semmai dobbiamo riscoprire la nostra fierezza. Che non vuol dire, allahciscampi, fanatismo, sangue e armi; ma la fierezza della nostra civiltà, di essere quel che siamo, di provenire da quelle tradizioni. Se mostriamo di credere ai nostri principi, di non sbracarci e di non affogare nel nichilismo, ma di trattare con gli altri a schiena diritta e viso aperto, incutiamo rispetto. Dal loro punto di vista, la scelta di Mahmud ha unasua dignitosa coerenza.Nongiudichiamo con inostri parametri e in base alle nostre presunte utilità. Semmai impariamo la lezione: non dobbiamo vergognarci di essere europei, occidentali, cristiani, mediterranei. Puntiamo di più sullanostra identità anche per dialogare con gli altri, presentandoci non come neutrali ragionieri che amministrano laDitta Anonima e Globale, ma come figli di una civiltà che sappiamo anche criticare, ma di cui andiamo fieri.
Segnaliamo che accanto al discutibile editoriale di Veneziani LIBERO un breve articolo che lo confuta "Teheran il supermercato dei terroristi di Allah"

Anche sul GIORNALE di martedì 28 giugno c'è che vede nell'Iran di Ahmedinejad un possibile interlocutore. In proposito vorremmo chiedere a Gianni Baget Bozzo, autore dell'articolo: " E se l’Iran non facesse paura? ", nel quale si legge:"l'ultima intenzione del governo di Teheran è di destabilizzare la situazione mediorientale oltre un certo limite" quale sia, esattamente, questo limite. I finanziamenti a Hezbollah e Hamas e la corsa all'arma atomica stanno dentro o oltre il limite della destabilizzazione?

Ecco il testo:

Le elezioni iraniane hanno dato un risultato inaspettato: la vittoria di quello che i suoi sostenitori chiamavano il Robin Hood dei quartieri poveri, Mahmud Ahmedinejad. Non si può negare che le elezioni iraniane siano state vere elezioni e quindi ci sia stata una vera competizione elettorale. Il candidato ha vinto con il 60 per cento dei voti e ha vinto contro candidati schierati su posizioni diverse, tra cui il potente Rafsanjani, che sembrava destinato alla vittoria per le sue prese di posizioni apparentemente, adottando un linguaggio di compromesso.
Questo è il singolare risultato del sistema istaurato da Khomeini, un regime che esce al di fuori degli schemi costruiti sul modello fascista e comunista e che si sono instaurati nel mondo arabo con il nasserismo e il partito Baat. Così gli iraniani hanno avuto tre differenti opzioni di linguaggio e hanno scelto questa volta di appoggiare il candidato che aveva il più chiaro appoggio del custode della rivoluzione islamica, Khamenei. Ma questa volta il custode ha scelto un candidato laico noto per le sue posizioni sociali contro la corruzione: è in qualche modo come se Khamenei avesse scelto la linea di Mao: «Sparate contro il quartier generale», facendo del candidato populista il protettore dei poveri.
In realtà i vari cambi di governo che si sono succeduti in Iran non hanno mai indicato un grande mutamento nella politica estera e nella politica interna del Paese. Il potere è sempre rimasto saldamente nelle mani del custode della rivoluzione.
La riforma iraniana è legata al carattere singolare della Shia in Iran. La Shia consente un regime in cui la tradizione e l'autorità dei religiosi si affianca alla lettera coranica, permettendo un'esegesi più libera rispetto al letteralismo della tradizione sunnita. Ha consentito perciò di creare uno Stato che è modellato sull'autorità religiosa, ma che consente una complessa costruzione politica e l'esistenza di istituzioni parlamentari e di forme democratiche in forma diversa dalla dittatura militare prevalente nei Paesi arabi, legata a un regime monopartitico.
Inoltre in Iran la questione religiosa si lega alla questione nazionale persiana e il regime khomeinista ha avuto il vantaggio di congiungere l'una e l'altra. Che cosa cambierà ora nella politica iraniana dopo il passaggio dei «riformisti» al governo del nuovo leader populista? Non è detto che i cambiamenti siano così grandi come sono diversi i linguaggi. L'Iran si trova singolarmente potenziato dalla crisi petrolifera, determinata dall'espansione della Cina e dell'India, e ha quindi un'arma in più da far valere nel mondo. Nel suo insieme, il governo iraniano non ha intenzione di modificare l'assetto che lo circonda, ma vuole solo far sentire la sua voce, tenendo conto che esso confina con Paesi collegati agli Stati Uniti e, inoltre, a lui ostili per ragioni religiose. Deve far valere un'autotutela del proprio interesse nazionale. Il fatto che il nuovo capo del governo, pur escludendo rapporti con gli Stati Uniti, abbia deciso di continuare il dialogo con l'Europa per quel che riguarda il suo programma di energia nucleare indica che esso è in linea di massima disposto a una collaborazione e cerca una legittimazione.
Le elezioni iraniane possono avere però effetti negativi sullo sviluppo democratico dei Paesi arabi, anche se l'Iran non può non essere a fianco degli sciiti dell'Irak, oggi militarmente attaccati dai sunniti. Il problema islamico si rivela di natura più complessa ed è difficile pensare che la evoluzione democratica avvenga in forme occidentali. Più delicato sarà il problema dei rapporti con Israele, ma certamente l'ultima intenzione del governo di Teheran è di destabilizzare la situazione mediorientale oltre un certo limite: anche l'Iran sciita è una eccezione nel mare sunnita e ha intenzione di conservare il suo stato privilegiato. Ciò vuol dire che il lupo può essere meno feroce di come lo si dipinge, così come d'altro lato i riformatori non hanno mai riformato.
Se gli editorialisti di LIBERO e del GIORNALE propongono (deboli) argomentazioni per dimostrare che l'Iran non è un pericolo per nessuno, IL MANIFESTO non ha bisogno di nessuna argomentazione, perchè sa a priori che a destabilizzare il Medio Oriente è solo Israele.
Nell'articolo "Israele riapre il dossier iraniano" Michele Giorgio non spende una parola per cercare di convincerci che l'arma nucleare, in mano ad un regime ideologicamente votato alla distruzione di Israele, non sarebbe un pericolo per quest'ultima.
E' la volontà di Israele di impedire che un simile scenario si realizzi a costituire un pericolo, e si tratta, per Giorgio, di una verità assiomatica.

Ecco il testo:

Mahmud Ahmadinejad sorride per l'elezione a presidente ma i suoi primi passi, o meglio le sue prime dichiarazioni, sul palcoscenico internazionale - «non abbiamo bisogno di avere di avere rapporti con loro», ha detto riferendosi a Usa e Israele - potrebbero già aver messo in moto qualcosa. La questione del nucleare iraniano, già centrale nell'ultimo anno, va ora in primissimo piano. La conquista della poltrona di capo dello stato da parte di un ultraconservatore, che suscita interrogativi in mezzo mondo, forse farà cadere gli ultimi «scrupoli» a chi sostiene da tempo la «necessità» di un attacco contro i siti atomici iraniani. Il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom domenica ha reagito con irritazione alla vittoria (e alle parole) di Ahmadinejad e ha puntato l'indice contro quei paesi (europei in testa) che non boicottano Teheran. L'isolamento totale potrebbe perciò essere il primo passo in direzione dell'attacco aereo: di Usa? Israele? O di una coalizione internazionale? Il leader laburista Shimon Peres, che di nucleare si intende visto che, di fatto, è il padre della bomba atomica israeliana di cui tutti, da Washington a Bruxelles, sanno l'esistenza ma tacciono, è stato ancora più esplicito di Shalom. «La nostra conclusione - ha detto - è che la pericolosa combinazione di estremisti, arsenali non convenzionali e isolamento dall'Occidente continuerà e che genererà molti problemi per il mondo libero. La vittoria di Ahmadinejad farà aggravare i problemi che Teheran rappresenta per il resto della comunità internazionale, e ne accrescerà l'isolamento diplomatico». Parole che non lasciano prevedere nulla di buono per la regione. D'altronde l'aviazione militare israeliana si sta addestrando per missioni d'attacco a lunga distanza. «Israele ha capito da tempo che il cerchio delle minacce contro lo Stato è andato allargandosi ed è per questo che sono state adottate misure per aumentare il nostro raggio d'azione. Vale a dire che ci addestriamo per missioni a media e lunga distanza», dichiarò lo scorso marzo al secondo canale della tv israeliana un pilota, identificato solo come tenente colonnello D. La televisione diffuse successivamente immagini della centrale nucleare iraniana di Bushehr. Il capo dei servizi di informazione militari, generale Aharon Zeevi, ad inizio del 2005 aveva pubblicamente affermato che Teheran - in possesso di missili terra-terra con gittata di 1.500 km - avrebbe potuto entro il 2008 fabbricare la sua prima bomba atomica. «Se non si fa nulla, l'Iran potrà entro sei mesi produrre uranio arricchito, ciò che dovrebbe permettergli di produrre entro il 2008 la sua prima bomba atomica» disse il generale. La possibilità di un attacco aereo si è fatta più concreta anche se non imminente. Israele aveva mandato nel 1981 i suoi cacciabombardieri a distruggere la centrale atomica irachena di Osirak (Tammuz), nei pressi di Baghdad. Da allora l'aviazione israeliana - fiore all'occhiello delle forze armate israeliane - ha fatto ulteriori passi in avanti grazie all'arrivo (febbraio 2004) nella base di Ramon di 102 F-161, ossia l'ultima generazione dei caccia bombardieri americani in grado di colpire molto lontano. E non si può non tenere conto che il nuovo capo di stato maggiore, Dan Halutz, è l'ex comandante dell'aviazione militare. D'altronde già lo scorso dicembre era stato Efraim Kam, il vice direttore del Centro studi strategici Jaffa, a descrivere in modo indiretto l'inevitabilità di una operazione militare contro l'Iran. «Un Iran armato di bombe atomiche si comporterà in modo più aggressivo contro Israele - scrisse in un lungo articolo per il Forum israelo-palestinese Bitterlemons.com - non solo ma accrescerà il suo status in tutta la regione fino ad influenzare la politica di paesi più moderati. Stati come Egitto, Siria e Arabia saudita cercheranno anche loro di dotarsi di armi nucleari e avvieranno una corsa al riarmo in tutto il Medio Oriente». L'isolamento e l'eventuale attacco contro Teheran, lasciava intendere Kam, potrebbe trovare il consenso anche di una parte del mondo arabo.
Per una trattazione molto accurata sull'Iran rimandiamo agli articoli pubblicati dal FOGLIO del 28-06-05 e raccolti da Informazione Corretta sotto il titolo " "Dossier Iran: dopo la vittoria degli ultrafondamentalisti alle "elezioni" "

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