La disobbedienza è sempre una virtù, non importa quale sia l'ordine, se a darlo è l'esercito israeliano
soldato contrario al ritiro da Gaza esaltato da una cronaca faziosa
Testata: Corriere della Sera
Data: 28/06/2005
Pagina: 15
Autore: Alessandra Coppola
Titolo: Gaza, è l'ora degli obiettori di coscienza
Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 28 giugno 2005 pubblica a pagina 15 un articolo di Alessandra Coppolasu Avi Beiber, soldato israeliano che si è rifiutato di demolire alcuni edifici a Gaza.
E' quanto meno dubbio che la Coppola condivida le ragioni degli oppositori del disimpegno e dei coloni, Beiber , tuttavia, viene presentato molto positivamente, come un giovane capace di seguire la propria coscienza. L'esercito invece, è accusato dai "compagni di Avi" (tutti? o solo alcuni? e quanti?) di averli ingannati tenendo nascosto fino all'ultimo l'obiettivo della missione. La replica dell'esercito, secondo il quale ciò è stato necessario per evitare soffiate come quella che ha fatto fallire l'evacuazione dell'albergo nel quale un gruppo di coloni si è asserragliato, è messa in dubbio da questa vaga affermazione: "Ma i giovani militari non sono convinti". Nella migliore tradizione delle cronache che mettono sistematicamante in dubbio le affermazioni dell'esercito israeliano. Neanche soldati e coloni fossero palestinesi... Il riflesso condizionato dell'attacco incondizionato a Israele e dello scetticismo verso le affermazioni delle sue istituzioni, evidentemente vale in qualsiasi circostanza e con chiunque. Anche il caporalmaggiore Beiber, che non vuole cacciare gli ebrei da Gaza, può servire, a un giornalismo che d'altro canto non fa che condannare l'"occuopazione" e l'"espansione delle colonie", a mettere Israele sotto accusa.

Ecco il testo

Racconta di aver sentito la voce della sua coscienza: « Avi, questa non è giustizia ebraica. Non parteciperai a una simile cosa » . E' stato allora che il caporalmaggiore Beiber, 19 anni, 603esimo battaglione dei genieri d'assalto, si è tolto l'elmetto e ha cominciato a gridare: « Io non ci sto, un ebreo non manda via un altro ebreo » , mentre un commilitone gli toglieva il fucile e lo spingeva verso la jeep.
Ieri altri dodici militari hanno seguito il suo esempio e dovranno ora comparire davanti a un ufficiale per essere giudicati. Con Avi Beiber, sono il primo caso di « obiettori di coscienza » del disengagement : i primi soldati a mettere in discussione sul campo il piano di ritiro da Gaza voluto dal premier Ariel Sharon.
L'evacuazione prenderà ufficialmente il via il prossimo 15 agosto, ma intanto l'esercito fa le « prove generali » . E domenica pomeriggio ha abbattuto con i bulldozer undici case abbandonate sulla spiaggia diGush Katif, a Gaza, per impedire che i coloni contrari al ritiro vi si barricassero dentro. Non ancora un test impegnativo: gli edifici erano vuoti, non c'era nessun settler da mandare via. Ma i coloni sono accorsi in massa sul luogo dell'operazione e per tre ore hanno dato del filo da torcere ai militari, con il risultato di una decina di contusi. E' stato allora che Avi si è ribellato ed è diventato il soldato « eroe » del ritiro. « Missione di successo, pessima operazione di immagine » , commenta su Yedioth Ahronoth Alex Fishman: « Ciò che resterà della prima demolizione del disengagement , sarà la foto del soldato che ha disubbidito » .
L'ha scattata Ronen Zvulun della Reuters che racconta così la scena al Corriere : « E' successo tutto in un attimo. C'era una grande confusione, con le case che venivano giù e la gente che protestava. Improvvisamente questo ragazzo si è messo a gridare: " Non è giusto". E si è tolto l'elmetto. Alcuni militari cercavano di calmarlo. L'hanno accompagnato alla jeep e l'hanno portato via » .
Adesso è in una base militare vicino a Gush Katif. Ha rifiutato di essere giudicato da un ufficiale e ha chiesto la corte marziale. Il suo avvocato, Shai Galili, spiega che la richiesta non è stata accettata: per chi rifiuta un ordine, l'esercito ha istituito una sorta di tribunale interno, un passo prima della corte marziale, in cui è un graduato a fare da giudice.
« Non l'ho ancora visto — dice il legale — ma so che Avi sta bene, e sa perfettamente cosa rischia » : 28 giorni di carcere.
Lo sa anche la madre, Michelle, che risponde al telefono di casa, nell' insediamento di Tekoa, Cisgiordania: « L'ho sentito scosso e spaventato.
Ma sono orgogliosa di mio figlio — dice — Da domenica riceviamo continuamente messaggi di sostegno, da tutto il Paese, maanche da fuori, addirittura ci hanno chiamato da Tokio. Dicono che è un eroe » .
Molti telefonano dagli Stati Uniti: primo di cinque figli, Avi è arrivato con la famiglia dal New Jersey nove anni fa. « E' un ragazzo buono e timido » , racconta la madre, con una propensione per la musica e l'arte: « Suona la chitarra e forse quando finirà il servizio militare si iscriverà ad Architettura. Anche i suoi amici dell'unità di combattimento sono ragazzi eccezionali » .
Sono loro, i compagni di Avi, che ora minacciano di non voler prendere parte al ritiro. Dicono di essere stati ingannati dai loro superiori. « Nessuno ci ha spiegato che cosa avremmo dovuto fare — dice uno dei soldati a ynet , il sito internet di Yedioth Ahronoth — Ci hanno sempre detto che le armi che portiamo a tracolla vanno usate contro gli arabi. Come possiamo puntarle contro gli ebrei? » .
L'esercito risponde di aver tenuto segreta l'operazione per evitare « soffiate » , come era già successo alla vigilia dell'evacuazione ( fallita) dell'hotel fortezza dei coloni.
Ma i giovani militari non sono convinti. E la pensano come Avi che subito dopo il suo gesto aveva detto al giornalista di Haaretz : « Non credo di essere un criminale e di meritare il carcere; ma se è quello che decideranno non sarò comunque pentito: ho fatto la cosa giusta » .
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