Un paese pacifico, paradiso dei pubblici inquirenti
l'Iran secondo Luciano Violante
Testata: La Stampa
Data: 27/06/2005
Pagina: 2
Autore: Emanuele Novazio
Titolo: Riformisti rassegnati, i religiosi dominano gli affari
L’on. Luciano Violante è una delle menti più lucide del panorama politico italiano. Ogni suo intervento è studiato e calibrato. Ogni parola pensata e meditata. Non dichiara tanto per dichiarare come fanno tanti politici.
La Stampa di domenica 26 giugno 2005 pubblica una sua intervista sulle elezioni presidenziali in Iran. Alcune affermazioni però non rispecchiano la realtà dei fatti.
Sostiene Violante: "L’Iran è attorniato da Irak, Afghanistan e Pakistan, e a Sud Ovest dai paesi arabi alleati degli Stati Uniti. Israele ha l’atomica. E gli Stati Uniti hanno più volte dichiarato intenti aggressivi. Aggiungiamo la questione nucleare che per loro è occasione di riscatto nazionale e controbilanciamento a Israele.."
Da queste parole sembrerebbe che l’Iran sia un paese pacifico, rispettoso dei diritti umani che però potrebbe essere attaccato da nazioni, limitrofe e non, guerrafondaie e animate da intenzioni ostili nei confronti della repubblica islamica.
La realtà è ben diversa. L’Iran non ha mai nascosto le sue intenzioni aggressive nei confronti d’Israele e l’atomica iraniana va inquadrata in questo contesto: non nasce per controbilanciare Israele ma per distruggerlo.
Condividiamo, invece, l’idea di Violante di "offrire borse di studio nelle nostre università a studenti iraniani, far conoscere i nostri giornali, i nostri libri" sperando di far giungere in Iran venti di cambiamento.
Infine, ci piacerebbe sapere cosa apprezza dell’Iran l’on. Violante tanto da essere presidente del gruppo di amicizia italo-iraniano? Forse, da ex-magistrato inquirente, la mole di reati introdotti dalla legislazione islamica?

Onorevole Violante, lei conosce bene l'Iran: è stato il primo presidente di un Parlamento occidentale a visitarlo, è presidente del Gruppo di amicizia italo-iraniano, ha scritto la prefazione al volume che raccoglie gli scritti dell'ex presidente Khatami. Subito dopo l'elezione, Ahmadinejad ha detto di voler creare una nazione «moderna, avanzata e islamica». Per rassicurare chi teme che il suo arrivo al potere sia un pericolo per la modernizzazione iraniana e le relazioni internazionali?
«Non bisogna dimenticare l'importanza che l’espressione "thakia", dissimulazione, ha nella cultura sciita: gli sciiti sono sempre stati perseguitati e hanno acquisito comportanenti prudenti. Non sempre le parole usate corrispondono alle categorie occidentali. Ma chiediamoci chi è Ahmadinejad. E' figlio di un fabbro, è diventato ingegnere guadagnandosi con lo studio l’accesso all’università, ha una utilitaria, non si è mai preso lo stipendio da sindaco, vive con quello da insegnante. Rafsanjani appariva strumento dell’élite, lui espressione del popolo».
Il suo potrebbe non essere un governo ultraconservatore, dunque?
«Bisogna prescindere per un momento dalla distinzione fra reazionari e progressisti. L’Iran è il Paese delle tre metà: donne, giovani, non iraniani. Ha una disoccupazione del 30 per cento e una svalutazione altissima. E’ difficile fare previsioni, dunque: bisognerà vedere le sue prime mosse e da chi sarà composto il governo. Di certo, Khamenei conterà ancora di più, adesso che per la prima volta ci sono due laici a capo del governo e del Parlamento. Il vero capo del Paese è lui».
Con che riflessi sulle relazioni internazionali?
«Non sono ottimista. L’Iran è attorniato da Iraq, Afghanistan e Pakistan, e a Sud-Ovest dai Paesi arabi alleati degli Stati Uniti. Israele ha l’atomica. E gli Stati Uniti hanno più volte dichiarato intenti aggressivi. Aggiungiamo la questione nucleare, che per loro è occasione di riscatto nazionale e di controbilanciamento a Israele, e il fatto che Ahmadinejad ha detto di non voler avere niente a che fare con l'Occidente. Se terrà fede a questa parola d’ordine, è difficile che vadano avanti le trattative con Gran Bretagna, Francia e Germania: e in questo caso gli Stati Uniti minacciano di denunciare Teheran al Consiglio di sicurezza. Teniamo presente infine che la Cina, grande acquirente di petrolio iraniano, sarà il grande protettore dell’Iran, insieme alla Russia. E c'è una singolarità non secondaria».
Quale?
«Come l’Iraq anche l’Iran è governato da sciiti, ma mentre i governanti iracheni sono filoamericani e la popolazione è antiamericana, in Iran la leadership è antiamericana ma una parte significativa della popolazione è filo occidentale».
Una caratteristica che lascia prevedere conflitti interni.
«Sì, i problemi maggiori saranno di politica interna. Se ci fosse una guida riformista politicamente salda, i problemi sarebbero molto pesanti per la leadership conservatrice. Ma ho l’impressione che ci sia una sorta di rassegnazione, fra i riformisti: non concepiscono la lotta politica come una azione permanente e continuativa, hanno un difetto di combattività. Per un altro verso, la leadership religiosa domina gli affari: ha in mano il petrolio e le grandi strutture produttive del Paese, ha in mano i servizi di sicurezza, magistratura e polizia. La sua forza non è il messaggio religioso, ma l'utilizzazione della religione per finalità di controllo politico».
L'Italia ha interessi in Iran: torna la Fiat, e molte nostre aziende forniscono macchinari per l’estrazione del petrolio. Che succederà?
Sinora siamo stati politicamente assenti: dovremo costruire subito rapporti positivi con il nuovo governo. Ma insistendo molto sul rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Potremmo offrire borse di studio nelle nostre università a studenti iraniani, far conoscere i nostri giornali e i nostri libri. Sarebbe la via migliore per contribuire alla democratizzazione di quel Paese senza atteggiamenti inquisitori o neo coloniali».
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