L'Iran di Ahmanidejad è un pericolo per il mondo
le dichiarazioni di Shimon Peres
Testata:
Data: 27/06/2005
Pagina: 7
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Peres: ora Teheran è ancora di più una minaccia per tutto il mondo
I quotidiani di lunedì 27 giugno 2005 riportano le reazioni israeliane all’ esito delle elezioni iraniane, e in particolare le dichiarazioni del vicepremier Shimon Peres.
L'articolo più ampio e dettagliato è quello di Umberto De Giovannangeli (con la collaborazione di Cesare Pavoncello) su L'UNITA'.

Lo riportiamo:

Si «legge» Mahmoud Ahmadinejad. Ma si «pronuncia» Ali Khamenei. Shimon Peres, vice premier israeliano e leader laburista non ha dubbi in proposito:
«Il vero vincitore delle elezioni presidenziali in Iran - dice a l'Unità - è colui che da tempo regge le fila e orienta l'azione internazionale destabilizzante del regime degli ayatollah: Ali Khamenei». L'ottantaduenne premio Nobel per la pace non ha mai nascosto di considerare la Repubblica islamica iraniana come il maggiore pericolo oggi esistente non solo per la sicurezza di Israele ma per la stabilità e la sicurezza dell'intera area mediorientale. L'elezione dell'ultraconservatore Ahmadinejad non fa che accrescere questa minaccia.
«Il nuovo presidente - riflette Peres - accresce ulteriormente il tasso di ideologizzazione aggressiva del regime. E ciò dovrebbe preoccupare il mondo libero e gli stessi regimi arabi moderati. Adesso la combinazione (in Iran, ndr.) di estremismo religioso, di armi convenzionali sempre più potenti e di isolamento internazionale rischia di provocare problemi molto gravi». Problemi a cui non è chiamato a dare risposta il solo Israele. È un tasto su cui Shimon Peres insiste con forza nel corso del colloquio: «L'Iran integralista è un problema per il resto del mondo e non soltanto per Israele. Per questa ragione occorre coordinare a livello internazionale una pressione politica ed economica efficace per far capire ai leader iraniani che il mondo libero non intende subire i ricatti e le minacce dirette e indirette da parte iraniana». Il dossier-Iran, insiste il vice premier, «dovrebbe essere portato al più presto davanti al Consiglio di Sicurezza dell'Onu» Alla memoria torna l'avvertimento lanciato da Peres nel febbraio 2002; a chi gli obiettava che lo scambio di minacce e di avvertimenti allora in atto fra Teheran e Gerusalemme poteva essere, per Israele, controproducente, il leader laburista rispose seccamente: «Quando si sente puzza di Hitler, si deve levare la propria voce. Non c'è strategia e non c'è tattica. C'è solo da dire la verità».
Il vice premier israeliano parla di pressioni politiche ed economiche, anche sotto forma di sanzioni, ma non fa riferimento all'opzione militare. E rifiuta di considerare il problema in una ottica di scontro di civiltà. «La pericolosità del regime iraniano - ribadisce - è nell'usare la religione come strumento di potenza regionale. È nel nome dell'Islam radicale e della volontà dichiarata di distruggere Israele, lo Stato degli ebrei, che Teheran ha sostenuto, non solo sul piano politico ma operativamente, i gruppi terroristi palestinesi e l'Hezbollah libanese. Abbiamo le prove che elementi della Guardia della Rivoluzione e dei Pasdaran (dalle cui fila proviene Ahmadinenejad, ndr.) hanno addestrato terroristi che hanno seminato la morte non solo in Israele».
Le prime dichiarazioni del neoeletto presidente iraniano, «Siamo disposti alla pace con tutto il mondo tranne che con Israele», non sorprendono Shimon Peres. «L'esistenza del Nemico Sionista - osserva - è sempre funzionato come collante ideologico per i regimi arabi e musulmani teocratici e liberticidi. La questione che deve davvero allarmare è la traduzione operativa di queste invettive. L'Iran del duo al potere, Ahmadinejad-Khamenei punterà con rinnovata determinazione a destabilizzare il Medio Oriente, agendo attraverso i gruppi del terrore che eterodirige». Ed uno degli obiettivi prioritari per Teheran sarà quello, avverte il vice premier israeliano «di alimentare le spinte estremistiche nei Territori agendo su Hamas e Jihad islamica al fine di mettere in crisi la leadership attuale dell'Anp», quella del pragmatico presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Estremismo religioso abbinato ad un riarmo sempre più inquietante: «Già oggi - rimarca Peres - l'Iran possiede missili (Shihab 3, ndr.) da 1300 km di gittata e progetta di dotarsi di missili con 5.000 km di raggio in grado di raggiungere l'Europa. E in un futuro prossimo cercherà di produrre missili capaci di colpire fino a 10.000 km di distanza, cioè nella stessa America settentrionale». Sullo sfondo, sempre più concreta, incombe la «bomba degli ayatollah». Una bomba nucleare. Da mesi Gerusalemme vede avvicinarsi come un incubo annunciato il momento in cui il programma nucleare raggiungerà quello che i militari israeliani definiscono il «punto di non ritorno», ossia la capacità di produrre la bomba atomica. «È un pericolo reale», ammette Shimon Peres. Che l'elezione di Ahmadinejad, il presidente-pasdaran che considera la bomba atomica un obiettivo imprescindibile per l'Iran, rende ancor più concreto. E immanente. Interrogato di recente sul pericolo nucleare iraniano, il capo di stato maggiore uscente Moshe Yaalon ha avvertito che «Israele ha sempre trovato i mezzi per rispondere alle minacce».
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