Porre fine alle tirannie nel mondo
Bush inaugura un secondo mandato dichiarando un obiettivo che riguarda anche alcuni tiranni del Medio Oriente
Testata:
Data: 21/01/2005
Pagina: 1
Autore: Christian Rocca
Titolo: Mezzoegiorno di libertà
Riportiamo l'articolo di Christian Rocca, pubblicato in prima e quarta pagina dal FOGLIO di venerdì 21 gennaio 2005, sul discorso di insediamento del presidente americano George W. Bush.
La sconfitta della tirannia è certamente un obiettivo che riguarda anche i popoli musulmani del Medio Oriente, le loro speranze di una vita più degna e la possibilità di una pacificazione della regione.
Un avvertimento chiaro per l'Iran, che non si costruisce impunemnete un'arma nucleare.
Ecco l'articolo:

Milano. George W. Bush ha stupito ancora una volta. Tutti si aspettavano un discorso cerimoniale, retorico quanto basta e buono soltanto per i festeggiamenti d’inizio secondo mandato, ma il presidente cowboy ha estratto dal cilindro il più radicale manifesto libertario degli ultimi decenni.
Una specie di Mister-Gorbaciov-tirigiù- quel-muro su scala globale. Bush ha
impegnato il suo paese, ufficialmente, a perseguire una politica antitotalitaria ovunque e dovunque, perché "gli interessi vitali dell’America e le nostre più profonde convinzioni ora sono la stessa cosa". Idealismo più pragmatismo, liberalismo assalito dalla realtà, freedom e liberty, liberty e
freedom. Il discorso d’inaugurazione, ieri a mezzogiorno di Washington, è
stato un inno alla libertà, alla battaglia per liberare i popoli dalla dittatura e dalla cultura dell’odio. Dopo aver giurato sulla Bibbia e sulla Costituzione davanti al malatissimo presidente della Corte Suprema, William Rehnquist, Bush ha spiegato per una ventina di minuti qual è il compito dell’America, il dovere cui la sua nazione è chiamata: "Gli eventi e il buon senso ci hanno portato a una conclusione: la sopravvivenza della libertà nel nostro paese dipende sempre di più dal successo della libertà in altri paesi. La migliore speranza per avere la pace a casa nostra è espandere la libertà in tutto il mondo". Il secondo mandato, se qualcuno aveva ancora dei dubbi, sarà ancora più radicale, o neoconservatore, riguardo la promozione della libertà e della democrazia, "non perché siamo la nazione scelta da Dio", ma perché "è nel nostro interesse", "ci crediamo profondamente", "lo richiede la sicurezza della nostra nazione" ed "è l’impegno del nostro tempo". Nessuno si aspettava che il presidente potesse pronunciare una frase così impegnativa: "La politica degli Stati Uniti – ha detto – è quella di cercare e di sostenere la crescita dei movimenti democratici in ogni nazione e in ogni cultura, con l’obiettivo finale di porre fine alla tirannia nel mondo". Peggy Noonan, ex speech writer di Ronald Reagan, ha detto che questo discorso sarà ricordato come "the liberty speech". Non è la prima volta che un presidente americano parla di libertà
e di democrazia, anzi lo fanno sempre tutti. Ma ogni volta è come se fosse solo l’espressione di un desiderio o di una speranza. Bush ieri ha trasformato quel desiderio di libertà e quella speranza di democrazia in politica ufficiale degli Stati Uniti. E’ un cambiamento clamoroso, oltre che un impegno ambizioso: "Il grande obiettivo di porre fine alla tirannia sarà un lavoro duro
e generazionale, ma la difficoltà della sfida non può essere una scusa per evitarla". Secondo Bill Kristol, direttore del Weekly Standard, questo discorso di Bush ricorda quelli di Abramo Lincoln. E Lincoln, e con lui il movimento dei diritti civili , compreso lo slogan radicale "Freedom Now", sono stati ampiamente citati nel discorso. Bush ha detto che "nessuno è padrone e nessuno merita di essere schiavo". L’America, ha spiegato, "chiarirà alle nazioni del mondo la scelta morale tra l’oppressione, che è sempre sbagliata, e la libertà,
che è eternamente giusta". Questo vuol dire, ha detto il presidente, che le relazioni internazionali con "gli stati fuorilegge" saranno improntate sul grado di rispetto dei diritti e della libertà dei loro popoli: "Non accettiamo l’esistenza della dittatura permanente – ha ribadito Bush – perché non accettiamo la possibilità di una schiavitù permanente. Oggi l’America parla in modo nuovo ai popoli del mondo. Tutti coloro che vivono sotto dittatura e si sentono senza speranza sappiano che gli Stati Uniti non ignoreranno la loro oppressione né scuseranno i loro oppressori". Ai leader democratici dei paesi oppressi, che oggi sono in prigione o in esilio, Bush ha fatto sapere che "l’America vi vede per quello che siete: i futuri leader dei vostri paesi liberi". La battaglia per la libertà non è una sfida militare, "ma se sarà necessario difenderemo noi stessi e i nostri amici con l’uso della forza". E’, piuttosto, una politica di sostegno aperto a chi vuole spezzare le catene della dittatura: "L’America non imporrà il proprio stile di governo a chi non lo vuole. Il nostro obiettivo, invece, è quello di aiutare gli altri a trovare la propria voce, a ottenere la propria libertà e a fare a modo proprio". Bush ha detto agli alleati europei e asiatici che gli Stati Uniti sono onorati della loro amicizia, sono interessati ai loro consigli e dipendono dal loro aiuto, ma ha ricordato che "lo sforzo unitario delle nazioni libere per promuovere la democrazia è il preludio della sconfitta dei nostri nemici". Alla fine del suo Mezzogiorno di libertà, Bush ha spiegato la battaglia sul fronte interno. Non ci sono due Americhe, ha detto. L’America è unica quando "la libertà è in pericolo".
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