Bobo, Stefania Craxi e un giornalista degno di loro sulla tomba di Arafat
lodano il terrorista e il tiranno
Testata: Corriere della Sera
Data: 16/12/2004
Pagina: 15
Autore: Giuliano Gallo
Titolo: Craxi, Bobo e Stefania sulla tomba di Arafat
A pagina 15 il CORRIERE DELLA SERA di giovedì 16-12-04 pubblica una cronaca dell'omaggio reso da Bobo e Stefania Craxi sulla tomba di Arafat. Le lodi e il pietismo più inverosimili vengono spesi in memoria del terrorista che voleva per il suo popolo non uno stato e la pace ma una guerra interminabile per distruggere Israele, sia da Bobo e Stefania Craxi che dal giornalista, che non ha la minima distanza critica dalle loro dichiarazioni.
Degni figli di tanto padre !
Ecco l'articolo:Sotto una pioggia fredda e leggera le ruspe rombano sul grande piazzale, aggredendo a colpi di pala le macerie della Muqata.
Yasser Arafat aveva voluto che restassero, così, le palazzine sventrate dai colpi dei tank israeliani della sua residenza ufficiale: come un monumento perenne alla sua testardaggine di vecchio combattente. Ma adesso il presidente riposa pochi metri più in là, in una teca di vetro irta di fiori e di suoi ritratti. E quelle macerie non servono più. In piedi, davanti a quel tappeto di corone, un uomo e una donna stanno immobili, gli occhi rossi di commozione. Sono Stefania e Bobo, i figli di Bettino Craxi. «È una restituzione dell'omaggio che Arafat fece alla morte di mio padre» spiega Bobo. «Era a Washington per un incontro con Clinton. Al ritorno da quel viaggio aveva scelto di fermarsi a Tunisi per salutare un'ultima volta il suo vecchio amico».
Anche loro hanno portato una corona per il vecchio amico del padre. La posano a terra, si fermano solo un attimo, poi fanno per andarsene. Ma sulla porta tornano indietro. Stefania piange, come aveva pianto poche ore prima ricordando quello che il vecchio Arafat aveva fatto per Bettino nei giorni dell'esilio. Dice sempre così Stefania, «esilio», ogni volta che parla dei giorni di Hammamet. Ora racconta che «quando mio padre fu abbandonato da tutti gli unici che gli rimasero accanto furono gli arabi. E gli portano ancora oggi rispetto». Si guarda intorno, osserva gli ulivi vecchi di cent'anni piantati attorno all'enorme teca di vetro, poi sorride: «Sembra la tomba di Garibaldi... Anche se per la verità mio padre lo aveva paragonato a Mazzini, forse esagerando un po'». Il cameraman della tv palestinese arriva in ritardo e chiede di poter ripetere la scena dell'omaggio alla tomba.
Loro eseguono. «Mi sono commosso di più la seconda volta — dice Bobo — La prima ero frastornato, confuso».
Sono diversi, i due fratelli: più scanzonato e distaccato Bobo, più appassionata Stefania. Diversi e forse, lo si intuisce da cento piccoli segnali, divisi proprio dalle scelte di lui. Ma fratelli comunque. Lui dal padre sembra aver preso la malattia della politica, lei invece la capacità di innamorarsi dei mondi e di indignarsi per le ingiustizie. E così, davanti a Ravi Fattuh, il presidente dell'Assemblea palestinese che regge il governo del suo popolo in attesa delle elezioni, è proprio lei a parlare per prima dei due amici dalle vite così simili: «Mio padre sognava di fare del Mediterraneo un'isola di pace, Arafat combatteva per dare una terra al suo popolo. Entrambi sono morti quando il loro sogno non era stato ancora coronato, entrambi sono stati costretti all'esilio».
Bobo invece, dopo aver ammesso che quella visita alla tomba è stata «un momento assieme esaltante e doloroso», preferisce parlare di politica. E rassicurare gli amici palestinesi: «Da deputato mi batto e mi batterò per difendere le vostre posizioni». E a Fattuh, che aveva appena speso parole blandamente ottimistiche sul futuro dei rapporti fra Israele e Palestina, risponde così: «Credo comunque anch'io che siate sulla strada e nella direzione giuste. Al nostro ritorno abbiamo due compiti che ci attendono: riconfermare lo spirito di amicizia che ci unisce e confermare che l'eredità di Arafat è stata raccolta da una classe dirigente giusta».
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