l'analisi di Federico Steinhaus sull'attacco a Rafah
Testata: Data: 13/12/2004 Pagina: 1 Autore: Federico Steinhaus Titolo: Nuove strategie per vecchi scopi
Due tunnel, due scontri sanguinosi, molti morti e molti problemi: questo è il bilancio provvisorio della nuova strategia elaborata per mesi ed ora messa in atto dai palestinesi di Gaza. Gli stessi responsabili delle forze armate israeliane non usano la parola "terrorismo" per riferirsi a quanto sta accadendo, e definiscono questi due eventi come "operazioni militari": questa indicazione da sola basta per comprendere l’entità del cambiamento in atto. Proviamo pertanto a mettere un po’ d’ ordine nei fatti e nelle considerazioni, basandoci prevalentemente sulle analisi degli esperti di intelligence israeliani. In una sola settimana da Gaza sono stati lanciati 42 attacchi terroristici, e ciò dimostra che la situazione sta diventando incandescente in una zona che non gradisce l’ idea della pace e della convivenza, e dalla quale di conseguenza sono anche stati lanciati avvertimenti minacciosi nei confronti di Abu Mazen, candidato a succedere ad Arafat ma con un programma opposto a quello del defunto dittatore. Gaza era anche il terminale di alcune centinaia di gallerie scavate per valicare sottoterra il confine con l’ Egitto, ed usate per contrabbandare armi e munizioni in grande quantità nella Striscia. La maggior parte di queste gallerie è stata scoperta e neutralizzata da Israele nel corso di operazioni il cui senso non era stato compreso da molti stati occidentali, che ne avevano solamente ravvisato e criticato alcuni aspetti negativi particolarmente visibili. Da qualche mese, dal territorio di Gaza sono stati scavati altri percorsi sotterranei, ma non più sulla direttrice nord-sud, bensì su quella ovest-est; gallerie ampie e non più budelli, ben attrezzate e protette per evitare crolli e consentire anche una sopravvivenza prolungata, esse conducono in pieno territorio israeliano. Una piccola quadra specializzata, guidata da cani addestrati a tal fine, ha recentemente scoperto l’ imbocco di uno di questi tunnel, quello di Karni, che ingenti forse militari avevano lungamente cercato. La squadra è stata immediatamente attaccata in forze dai palestinesi, che hanno ucciso il suo comandante ed il cane; l’ esercito israeliano si è mosso con un ingente spiegamento di forze, e ne è nata una vera e propria battaglia. Il tunnel si è poi rivelato come ben progettato da specialisti, e costruito con molta cura. La sua lunghezza avrebbe dovuto raggiungere i 5-600 metri per passare sotto i posti di controllo israeliani, con una altezza di 5, ed avrebbe consentito a squadre di terroristi di arrivare alle città israeliane per compiervi attentati e poi scomparire. Quello utilizzato domenica 12 dicembre era dunque il secondo tunnel noto ad oggi, la cui lunghezza di circa 800 metri ha fatto sì che la tonnellata e mezza di esplosivi deflagrasse in tre punti diversi sotto le postazioni militari israeliane. Immediatamente dopo le esplosioni, le forse palestinesi hanno attaccato gli israeliani con colpi di mortaio ed armi automatiche, spingendosi fino a mandare alcuni uomini a cercare gli eventuali militari feriti per ucciderli. Le forze palestinesi della Striscia di Gaza hanno agito insieme, unificate sotto il comando del sessantaduenne brigadiere generale Saib Ajez di Khan Yunes, veterano dell’ OLP; attorno al tunnel esse avevano la consistenza di un battaglione, ma si calcola che egli possa disporre di 20.000 uomini. Risulta chiaro a questo punto che di strategia e non di tattica si tratti:
- un comando unificato che disponga di così ingenti forze ben armate ed addestrate (molti provengono dalle forze di sicurezza che agivano al comando di Arafat) è troppo impegnativo anche sotto il profilo politico per costituire una scelta di opportunità transitoria;
- l’ imminenza delle elezioni in Palestina giustifica un aumento della pressione che da Gaza può essere esercitata sulla nuova futura dirigenza palestinese e rappresenta una minaccia diretta contro Abu Mazen ed il suo cambio di strategia politica
- il contesto politico più ampio, dal prossimo governo di unità nazionale in Israele alla rielezione di Bush alle imminenti elezioni in Iraq, configura una pressione estremamente forte che viene esercitata da più parti per una "normalizzazione" della regione ed una emarginazione di fatto delle pulsioni estremiste e fondamentaliste; pertanto, questa nuova strategia si propone di contrapporre la forza dell’ estremismo basata a Gaza ad ogni ipotesi di pace con Israele;
- l’ avanzare del progetto di ritiro delle forze israeliane da Gaza costituisce una minaccia incombente sull’ estremismo locale, in quanto costringerà la nuova dirigenza palestinese a gestire con la massima energia una situazione finora lasciata incancrenire a spese di Israele;
- le ambizioni egiziane di esercitare un ruolo attivo in questo nuovo scenario attraverso il riavvicinamento ad Israele, in atto da alcune settimane, e con gli ammiccamenti agli Stati Uniti, non è gradito all’ estremismo palestinese di Gaza esattamente come non piace alla Siria, all’Iran e di conseguenza agli Hezbollah: ecco come e perché, forse per il tramite dell’ esule Farouk Khaddumi, armi e denaro possono essere convogliati a Gaza a sostegno di questa strategia.
L’ ampiezza di questa sfida ed il suo carattere fortemente innovativo rispetto agli schemi abituali del terrorismo sono talmente imponenti da giustificare le preoccupazioni che oramai la collocano al vertice della lista delle priorità politiche e militari in Israele, e non dovrebbero (il condizionale purtroppo è d’ obbligo in questi casi) lasciar dormire sonni tranquilli neppure alla nostra Europa così pronta, sempre, a prendere posizione in una sola direzione ed a chiudere occhi e cervello dinanzi ad una realtà che non corrisponde ai suoi desideri.