La politica estera della Turchia
un' analisi sui rapporti con Israele, Islam ed Europa
Testata: Il Foglio
Data: 07/07/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Il piano di Erdogan per favorire le riforme in medio oriente
Un'accurata analisi sugli ultimi sviluppi dei rapporti tra Turchia Israele e Unione Europea aiuta a capire cosa c'è dietro al raffreddamento dei rapporti tra i governi di Ankara e Gerusalemme. Che forse raffreddamento non è.
Ecco l'articolo:

Roma. Il governo turco capitalizza al massimo il successo politico ottenuto poche settimane fa con la conquista della segreteria dell’Organizzazione della conferenza islamica, Oci. Tayyp Erdogan dimostra infatti di voler sfruttare in modo innovativo questa leadership musulmana (anche per far comprendere all’Ue
che una mancata ammissione di Ankara può costituire una grande occasione mancata). Nei decenni scorsi l’Oci, egemonizzatadai petrodollari sauditi, ha svolto soprattutto un ruolo di propaganda islamica fondamentalista, si è caratterizzata con la preoccupante promozione di una Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo che contrasta duramente con quella dell’Onu e ha indotto cambiamenti regressivi in una decina di Costituzioni di paesi islamici, con l’introduzione di riferimenti vincolanti a una sharia formalistica e medioevale. Ora però, il governo islamico turco dimostra di voler usare l’Oci per stimolare processi riformatori nei paesi musulmani che sono ai margini dello sviluppo proprio a causa di sistemi politici autoritari e immobilisti. Erdogan ha così partecipato da ospite gradito all’ultimo G8 di Savannah e ha dichiarato di accettare la sfida riformatrice lanciata da George W. Bush con la sua Iniziativa per il Grande medio oriente. Sfida che il ministro degli Esteri turco, Abdullah Gul, ha sintetizzato, al momento della conquista della segreteria dell’Oci, con una frase quasi provocatoria: "Noi musulmani dobbiamo smettere di giustificare la nostra incapacità di riformarci con la scusa del conflitto israelo-palestinese. Dobbiamo fare le riforme". Questa nuova leadership islamica della Turchia si è poi accompagnata, non casualmente, con una presa di distanze da Israele, grande alleato storico da 45 anni. Da mesi, Erdogan utilizza inusuali parole di fuoco contro
il governo Sharon e i media israeliani pubblicano analisi preoccupate sulla tenuta di un asse Ankara-Gerusalemme cheè indispensabile a Israele sia per l’economia (la Turchia esport in Israele petrolio e acqua) sia per la difesa (Israele fornisce armi alla Turchia, marina e aviazione fanno manovre congiunte,
i due servizi segreti collaborano intensamente). In questo contesto, nell’ultima settimana, Erdogan ha preso una doppia iniziativa diplomatica di rilievo: ha invitato in Turchia il vicepremier israeliano, Ehud Olmert (la cui visita era congelata dal 21 aprile scorso), per riprendere i rapporti economici
e militari, e ha inviato Abdullah Gul in visita in Libano. Erano 21 anni, dal 1983, che questo non accadeva e che l’interscambio tra i due paesi era ridotto quasi a zero (240 milioni di dollari le esportazioni turche in Libano, solo 20 milioni quelle libanesi in Turchia). Questa svolta ha un significato preciso:
Ankara cessa di considerare polemicamente il Libano una "provincia" annessa de facto alla Siria e "apre a Beirut" essenzialmente per riallacciare rapporti con Damasco. Da tre giorni Gul ha incontri a Beirut con il presidente Emile Lahoud
e con il premier Rafik Hariri, sia per rinvigorire i rapporti economici sia per concordare posizioni comuni sulla crisi irachena. Obiettivo evidente è avvicinare le posizioni sull’Iraq (la Turchia è un paese Nato e quindi totalmente coinvolta nell’addestramento delle forze armate irachene deciso nel recentevertice di Istanbul), e sulla crisi palestinese. In un suo viaggio di alcuni mesi fa ad Ankara, Bashar al Assad aveva concordato la mediazione di Erdogan con Israele per definire lo scottante problema del Golan. La trattativa non è mai decollata. Forse, proprio grazie all’iniziativa turca verso il Libano
e alla ridefinizione di rapporti di alleanza con Gerusalemme, potrà ora ripartire. Erdogan, infine, ha rafforzato anche una sua personale "diplomazia matrimoniale" di marca orientale. Aveva già chiesto a Silvio Berlusconi di fare da testimone alle nozze della sua primogenita. Oggi, annuncia che i testimoni
al matrimonio della figlia Eszer, saranno il primo ministro rumeno, Adrian Nastase, il re di Giordania, Abdallah, e il premier greco, Costas Karamanlis. Un fatto inimmaginabile sino a pochi anni fa. Il coup de théâtre del premier turco dimostra che il governo di Ankara è pronto a tutto, pur di essere ammesso
in Europa.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@ilfoglio.it