Israele discute sul ritiro da Gaza
e i servizi di sicurezza temono violenze da parte di estremisti di destra.
Testata: Il Foglio
Data: 07/07/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Perchè Israele discute del giubbotto antiproiettile di Sharon
Dal Foglio di oggi pubblichiamo un articolo sul dibattito parlamentare e sulla situazione politica israeliana. Ecco il pezzo:

Gerusalemme. "Non porto il giubbotto antiproiettile, non ce ne sono per la mia taglia", così ha detto il primo ministro d’Israele, Ariel Sharon durante una seduta parlamentare straordinaria, mentre il paese si chiede se il ritiro da Gaza e Cisgiordania porterà a scontri con gli abitanti degli insediamenti. C’è già chi evoca l’omicidio di Izhak Rabin. Sharon ha incassato dal governo la prima luce verde al piano. Il passaggio ha determinato una crisi nella coalizione. Il progetto è stato con successo sottoposto al vaglio della comunità internazionale. Il sostegno è arrivato da George W. Bush e dalla Russia, e l’Egitto ha garantito un proprio coinvolgimento a Gaza, dopo il ritiro. Il Day After sarebbe stato in questi mesi oggetto di incontri riservati tra israeliani e palestinesi. Secondo Maariv, le due parti – aiutate da Spagna, Canada e dal Quartetto, con Usa, Onu, Ue e Russia (che ieri si è riunito a Gerusalemme) – avrebbero trovato un accordo sulle esigenze finanziarie per il successo del piano; i palestinesi starebbero pensando a una nuova Autorità nazionale. "Tutti discorsi inutili: il ritiro non ci sarà", dice al Foglio Zvi Hendel, deputato alla Knesset per il partito nazionalista d’opposizione Ehud ha Leumì. Hendel risiede a Gaza, nell’insediamento di Gush Katif. Là vivono 7.500 persone e su di loro sono puntati gli occhi degli israeliani, dopo che Avraham Dichter, direttore dello Shin Bet, il servizio di sicurezza, ha lanciato l’allarme: sarebbe in atto un’escalation della violenza tra gli attivisti dell’estrema destra israeliana vicina agli insediamenti. Un rabbino dell’esercito è stato aggredito nei giorni scorsi a Gerusalemme per aver ordinato di smantellare un istituto religioso in un insediamento abusivo; il rabbino Avigdor Neventzal avrebbe riconosciuto, per chi ceda ad altri la terra d’Israele, le condizioni per essere oggetto del Din Rodef, la licenza data agli ebrei per uccidere altri ebrei. L’organizzazione dei rabbini di Gaza e Cisgiordania ha mobilitato attivisti per una manifestazione di protesta al Muro del Pianto, ma il portavoce Daniel Shilo spiega che ai soldati si opporrà una resistenza passiva. "Se i servizi sanno, devono fermare per tempo chi vuol passare alla violenza", dice il deputato Effi Eitam, esponente del Partito nazionalreligioso, già ministro del governo Sharon. "Non ho mai sentito nessuno disposto a sparare su un ebreo, sui nostri soldati. E’ una montatura per dipingerci come estremisti", dice al Foglio Frank Chemla, medico della comunità di Gush Katif. "Siamo esasperati. Veniamo ammazzati dai terroristi da quattro anni. Veniamo a sapere dai giornali che ce ne dovremmo andare, nessuno è venuto a dirci nulla. A opportune condizioni la maggior parte di noi sarebbe disposta al doloroso passo, ma non sarà facile convincerci. Per gli stessi soldati cacciarci rappresenterà un problema di coscienza". Yossi Sarid, deputato alla Knesset e leader del partito della sinistra Merez, aveva previsto il problema e al Foglio dice che per questo si era opposto ad appoggiare i soldati che si rifiutarono di servire nei Territori: "Hanno creato un grave precedente". Tra essi c’era anche il figlio di Shaul Mofaz, ministro della Difesa, che preferirebbe inviare la polizia e non l’esercito per evacuare gli insediamenti. La commissione Affari istituzionali della Knesset ha bocciato una mozione che escludeva l’impiego dei soldati e sulla stessa linea è il ministro dell’Interno,
Tzachi Hanegbi. Sharon ha nominato responsabile dell’operazione un residente nei
Territori e si cercherà di evitare che soldati residenti in un insediamento debbano evacuare i propri cari e i vicini di casa.
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