27 Gennaio 2004, Giornata della Memoria
ricordo dei morti, difesa dei vivi
Testata:
Data: 27/01/2004
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein - Susanna Nirenstein - Marina Valensise
Titolo: 27 Gennaio 2004, Giornata della Memoria
In occasione della Giornata della Memoria pubblichiamo tre interventi:
LA STAMPA - Fiamma Nirenstein - "La licenza di odiare"
LA REPUBBLICA - Susanna Nirenstein - "Se i nuovi atisemitismi cancellano i ricordi"
IL FOGLIO -Marina Valensise - "A Israel non piace celebrare gli ebrei morti dimeticando quelli vivi"

"La licenza di odiare", editoriale in prima pagina.

Questa Giornata della Memoria non è come le altre. E’ funestata da un’ondata di antisemitismo che ha invaso le menti e le strade d’Europa: violenza alle persone e alle cose, disprezzo, odio, violazioni, e soprattutto una marea di ripugnanti pregiudizi sono tornati a invadere gli spazi quotidiani. La memoria, per quanto sacrosanta, non è bastata; non è bastato il ricordo pietoso, le lacrime per gli ebrei uccisi nella Shoah. Su di loro non è difficile quasi a nessuno esprimere sentimenti di amore e pietà; è sugli ebrei vivi che scendono aggressività e pregiudizi. E non è un caso che i pregiudizi odierni, secondo tutti i sondaggi, si appuntino soprattutto su quanto di più vivo gli ebrei hanno prodotto, uno Stato democratico dopo tanto esilio e persecuzioni. Non ci stancheremo di ripetere che ogni critica politica che sia tale è non solo giustificata, ma anzi indispensabile, vitale; che per Israele e i palestinesi la soluzione di due Stati per due popoli è quella che la storia richiede.
Ma ad Israele non sono stati applicati parametri di giudizio politico, ma i criteri che hanno a che fare con i tre stilemi classici dell’antisemitismo: il primo, il «blood libel», la falsa narrativa sul disprezzo israeliano per la vita di innocenti palestinesi, ignorando la complessa realtà della risposta al terrorismo che ormai il mondo intero deve affrontare; il secondo, il doppio registro, per cui a Israele sono applicati criteri particolari: un terzo delle risoluzioni dell’Onu sono contro Israele, e la commissione di Ginevra per i Diritti Umani ha condannato solo lo Stato ebraico in tutta la sua storia. Il terzo, della delegittimazione a vivere, motivata con falsi storici e dichiarazioni di infamità che paragonano, come ha fatto il poeta laureato Saramago, Israele alla Germania nazista.
E’ questa volgarità concettuale, in gran parte causata dalla paura di contraddire il rampante antisemitismo proveniente dal mondo arabo, che crea l’antisemitismo d’oggi. Il permesso ad odiare gli ebrei lo fornisce la criminalizzazione dello Stato ebraico. Un gran compito dunque attende il Vecchio Continente nella sua fase nascente come entità politica, un compito drammaticamente ineludibile per la stessa definizione dell’Europa.
Nel diario di Repubblica, dedicato oggi alla Shoah, compare una lunga intervista a Shimon Samuels, direttore del centro Shimon Wiesenthal, che spiega come sia facile ricordare gli ebrei morti e allo stesso tempo non fare nulla per aiutare ebrei vivi che si trovano in pericolo, un atteggiamento che putroppo è molto diffuso ai giorni nostri.

"Se i nuovi antisemitismi cancellano i ricordi", pg.14

Shimon Samuels arriva da Ankara e vola al Social Forum di Bombay. Tra un aereo e l´altro l´incontriamo a Parigi nella sede del Simon Wiesenthal Center Europe che dirige dall´88, mentre il gran cacciatore di nazisti che dà nome al centro risiede 95enne nella sua Vienna. Nell´elegante Avenue Marceau di Parigi, in tre stanze assai modeste, sommerse di carte, libri, fotografie (con il papa, Ben Kingsley, Aznar, Spielberg, Schwarzeneger ...), si respira l´aria delle imprese ideali. Aria invidiabile.
Dottor Samuels, la vostra missione, lo dite nello statuto, è la memoria della Shoah. Andate ancora a caccia di criminali nazisti?
«La ricerca dei nazisti è biologicamente al termine. Anche se proprio in questi giorni abbiamo avuto la conferma di sei criminali in giudizio al Tribunale militare di La Spezia per l´eccidio di Sant´Anna di Stazzema, 560 vittime. E l´operazione Last Chance, nei paesi baltici, in Germania, Ungheria, Ucraina, Croazia, ex Jugoslavia e Bielorussia è una nostra campagna per individuare chi abbia partecipato allo sterminio. Abbiamo buoni risultati, 253 sospetti segnalati e 67 procedure legali avviate».
Questo però non è più il fulcro del vostro lavoro.
«La memoria dell´Olocausto è una cosa complicata».
L´istituzione della Giornata della memoria è stata senz´altro un momento importante.
«Sì, ma può diventare un pretesto per non guardare al cuore del problema. Per anni, ad esempio, nell´anniversario della Notte dei Cristalli, la sinistra in Germania organizzava grandi cortei. Dal settembre 2000 - dopo che Arafat lasciò Camp David con un no e iniziò l´intifada del terrorismo -, in Europa assistiamo a una serie di azioni antisemite: nessuno però in quelle manifestazioni per la Cristallnacht ricorda che qui vengono attaccate nuovamente decine di sinagoghe ed ebrei, in Francia, ma non solo. In Grecia l´invettiva antisemita è in crescita costante».
I "non dimenticare" non fanno i conti con il nuovo antisemitismo.
«Mi lasci spiegare. E´ facile mascherare i propri pregiudizi. Si può odiare gli arabi, come fa Le Pen, e nascondersi dietro la bandiera palestinese. Allo stesso modo si può odiare gli ebrei e celebrare la Shoah. E´ facile ricordare sei milioni di morti davanti a una lapide. E´ difficile guardare invece guardare gli ebrei vivi e minacciati».
Cosa vuol dire?
«Le faccio un esempio. In Francia negli ultimi due tre anni ci sono state varie cerimonie per nominare "giusti tra le nazioni" alcuni salvatori di ebrei. Ecco, molti Comuni, come Tolosa o Poitier e altri, non hanno voluto la presenza di israeliani dello Yad vaShem, ovvero proprio di chi dà questo riconoscimento. Volevano rappresentanti europei, ma non israeliani. E´ qualcosa che va oltre la critica al governo Sharon, non le pare?».
A cosa l´attribuisce?
«Parte dai sensi di colpa dell´Europa per i propri crimini storici, il colonialismo e la Shoah».
E´ la tesi di Finkielkraut, che si tratti di un fenomeno scaturito dal terzomondismo e dal condizionamento che la presenza musulmana imprime ai governi europei.
«Sì. E come fai a provare sollievo, se ti senti colpevole del colonialismo e della Shoah? Scambi i ruoli. Fai una caricatura del bambino con le mani alzate nel ghetto di Varsavia mettendogli una kefiah araba in testa, metti la stella di David sull´elmetto SS. Le versioni del gioco perverso sono infinite e spesso praticate dalla sinistra, e guardi che io mi ritengo un uomo di sinistra. Nazifichi l´ebreo e giudaizzi il palestinese. Cominciò tutto nell´82, con la guerra in Libano, o qualcuno dice dopo il ´67. In un lavoro che facemmo con il Cedec di Milano (il Centro di documentazione ebraico), vedemmo come la stampa italiana iniziasse allora a parlare di "pogrom" contro i palestinesi. Adesso siamo andati oltre. E dopo la banalizzazione e la relativizzazione dello sterminio, è arrivata la negazione».
Il negazionismo appare un fenomeno diverso.
«No. Il negazionismo non appartiene solo all´estrema destra ed è un errore tenerlo separato da quel che sto descrivendo. La decostruzione della storia a cui sono andati incontro i no global ha portato a questo. Sono stato a tutte le riunioni preparatorie al forum di Durban contro il razzismo: poi dall´incontro di Teheran (per cui non avevo il visto) uscì uno schema di lotta agli "olocausti" che parlava dello sterminio degli indiani d´America, del traffico di schiavi e della "catastrofe" palestinese: la Shoah era scomparsa!».
Le Ong la cancellarono. Celebrarla dunque può avere un senso profondo.
«Non se la si degiudaizza. Perchè vorrebbe dire appunto destrutturare la storia. Nel ´96 la Svezia lanciò il forum internazionale per l´educazione della Shoah (l´Italia nel 2004 la presiederà). Alla seduta inaugurale scoprii che non era stato contattata nessuna comunità ebraica! Degiudaizzare la Shoah vuol dire dividere una coppia inscindibile, vedere l´Olocausto da un punto di vista antropologico e non storico, rendere l´ebreo un fossile. Gli ebrei sono un´entità viva. E non si tratta di ignoranza. C'è un´orchestrazione politica».
Parla della demonizzazione di Israele?
«Non si può separare quel che è successo 60 anni fa dall´attuale abbandono degli ebrei in parte di tanta Europa, dal doppio standard usato con Israele, condannato decine di volte dall´Onu a differenza della Cina o di certi stati africani genocidari. Quello che ho visto a Durban o nei cortei dove si chiede la distruzione degli ebrei e dell´Israele "nazista", quel che ha detto Saramago, o Theodorakis, si chiama antisemitismo».
E voi cosa fate?
«Noi siamo i testimoni. Quelli che impediscono che si destrutturi la storia. Noi siamo andati in Rwanda e abbiamo fatto raccogliere nomi e parole di chi aveva visto l´annientamento dei tutsi, come fece Simon Wiesenthal ad Auschwitz, e abbiamo proposto Morombi - dove giacciono 28.000 cadaveri tutsi - patrimonio mondiale dell´Unesco come lo è Auschwitz. Vede, applico i termini della Shoah ad altri stermini, ma non voglio cambiare la storia: non si può dire che la battaglia di Jenin, con i suoi morti - 50 palestinesi e 23 soldati israeliani - sia stata "il ghetto di Varsavia". Non si può dare a Sharon e Bush di "nazisti"».
Come si fermano le menzogne?
«In primo luogo, va capito che le parole possono uccidere. Internet ad esempio è uno dei luoghi di creazione e diffusione delle grandi bugie che lavano il cervello ai giovani, e li reclutano al terrorismo e alla morte».
Qual è, nella pratica, il vostro lavoro?
«Il Wiesenthal Center lavora a tre livelli. Primo, il monitoraggio di ciò che mette in pericolo la democrazia. Ad esempio ogni mese vagliamo circa 25.000 siti web che diffondono odio e violenza contro gli ebrei, o contro le donne, i neri, gli handicappati, i gay, gli arabi... Ogni anno stampiamo un cd rom che è un rapporto e un´analisi sui siti sotto accusa».
E dopo il monitoraggio?
«Il secondo livello è la risposta, attraverso la stampa, i tribunali, i parlamenti, le azioni internazionali. Ad esempio, una settimana fa ho incontrato Javier Solana, i governanti turchi - e vedrò altri leader - per far sì che si dichiari il terrorismo suicida "crimine contro l´umanità" (e voi italiani smettete di chiamarlo kamikaze, soldati che apertamente uccidevano altri soldati suicidandosi). Così come denunciamo tutte le pubblicazioni che non registrino la presenza di Israele o neghino la Shoah ».
Il terzo livello?
«La prevenzione naturalmente. L´educazione. Un esempio. Abbiamo organizzato dei corsi "di tolleranza" per 97.000 poliziotti in Usa, Europa, Turchia, Argentina - oltre alle attività per i ragazzi. Abbiamo prodotto un libro Smantellare la grande menzogna: i Protocolli dei savi di Sion. Fatto una serie di film: l´ultimo, Unlikely Heroes, uscirà ora. Realizziamo incontri e infinite attività con il Museo della Tolleranza di Los Angeles (la nostra sede principale), il cui "fratello" nascerà nel 2007 a Gerusalemme progettato da Frank O.Gehry. C´è una nostra mostra che gira nel mondo. Abbiamo creato in Francia un centro s.o.s. contro gli atti di antisemitismo - circa 600 negli ultimi due anni e mezzo nella sola Parigi e nella banlieu. E denunciato pubblicamente la situazione in Grecia. Per noi oggi è questa la memoria della Shoah».
Marina Valensise sul Foglio.

"A Israel non piace celebrare gli ebrei morti dimenticando quelli vivi", pg.2

Roma. E’ perplesso Giorgio Israel davanti al fiorire di cerimonie per il Giorno
della Memoria, arrivato alla sua terza edizione da ché, nel luglio 2000, il Parlamento italiano ha promulgato una legge di due articoli per "ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di steriminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati", organizzando "cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e riflessioni, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado […] affinchè simili eventi non possano mai più accadere". E’ perplesso il matematico della Sapienza, studioso di logica cartesiana e matematizzazione del reale, di biologia matematica e storia economica, di fronte all’"espansione esponenziale di iniziative" nel giorno che ricorda l’ingresso dell’Armata Rossa nel campo di sterminio di Auschwitz, avvenuto il 27 gennaio 1945. "Da un lato temo che si trasformi in una kermesse, quando invece avrebbe bisogno di una sua austerità, di iniziative calibrate e intelligenti. Dall’altro, mi preoccupa l’effetto saturazione. I sondaggi alla fine dimostrano che sono in molti a pensare che gli ebrei ne facciano un uso strumentale. E’ già successo con i Jewish Studies e l’industria dell’Olocausto,
denunciata da Norman Finkelstein. Dobbiamo stare attenti a non prestare di
nuovo il fianco". Del fenomeno Israel ha già parlato in un saggio sulla questione ebraica pubblicato due anni fa dal Mulino. E da allora, ha avuto modo di constatare l’antisemitismo per reazione che colpisce i liceali di ritorno dalla gita a Auschwitz. "Questi viaggi o si preparano con la dovuta accuratezza e consapevolezza storica, oppure il rischio è che i ragazzi si domandino: ‘Perchè proprio agli ebrei è successa questa cosa tremenda?’, e non sapendo come rispondere si convincano che qualcosa di male l’avranno dovuta
pur fare". Sicchè dell’inchiesta di Renato Mannheimer, secondo il quale il 15 per cento dei cittadini europei può essere definito antisemita, non è la percentuale a colpirlo, "se teniamo conto del coefficiente di intolleranza che c’è in giro, non mi sembrano nemmeno cifre tremende", quanto la "disinformazione
storica che essa riflette riguardo la storia degli ebrei, il sionismo e la
storia di Israele". Anzichè celebrare e ricordare, dunque, per Giorgio Israel sarebbe meglio mettersi a studiare e cercare di capire. Certo, ben venga la nuova religione civile della memoria e l’abominio della persecuzione antiebraica. Ma il vero nodo è un altro: "L’antisemitismo di oggi è legato a un giudizio sulla situazione mediorientale e sullo Stato di Israel. Celebrare gli ebrei morti senza considerare gli ebrei vivi è un male che si sta aggravando. Si santifica la storia passata del popolo ebraico e si condanna quella presente
dello Stato di Israele". C’è persino chi sostiene, come la vicedirettrice dell’Eurispes Elisabetta Santori, che il collegamento tra popolo ebraico e Stato di Israele sia pericoloso, perchè può fomentare l’antisemitismo. "Lo sostengono anche molti ebrei. Resta il fatto che queste manifestazioni per il Giorno della Memoria spesso contengono elementi di condanna per la politica di
Israele. E gli stessi ragazzini che hanno fatto ricerche sull’Olocausto si alzano in piedi col dito puntato contro l’ebreo divenuto persecutore dopo essere stato perseguitato". C’è anche chi, come il gramsciologo Leonardo Paggi, estende il tema dei campi di concentramento al concetto di esclusione, e ci fa su pure un convegno (domani all’Università di Roma Tre). Per Israel "ricordare
la Shoah perchè il passato non si ripeta oggi è diventato un concetto onnicomprensivo in cui rientrano anche le favelas brasiliane e Tor Bella Monaca. Ma mettere insieme lager e fenomeni della società globale è un sintomo di malafede, che non aiuta a spiegare quel che è successo". Il tema, certo, è dei più delicati, come prova il dialogo tra Ernst Nolte, che inseguiva il "nucleo razionale dell’antisemitismo nazista", e François Furet, che invece
non voleva nemmeno sentirne parlare. "Se uno mi viene a dire che non esiste una spiegazione razionale di ciò che è accaduto nella Germania nazista, io lo rifiuto. Trovo pernicioso parlare di banalità del male come fece Hannah Arendt, dire che il male non ha spessore, non è profondo, è come un fungo che si propaga e la ragione è impotente. E sono d’accordo con Gershom Scholem, che le rimproverà d’usare uno slogan indegno della profondità mostrata nell’analisi del totalitarismo. Se però mi si vuole direche si può dare una spiegazione razionale perchè anche i fini dell’antisemitismo erano razionali, come fa Nolte mirando a una sorta di giustificazione, è un altro paio di maniche. E dà ragione a Furet che insisteva sul distinguo". Ma un conto è il dibattito tra
storici, un altro gli atti della pubblica amministrazione. "Mi si consenta però che c’è una commistione impropria. Se il governo deve emanare atti politici faccia un Museo dell’Olocausto, assuma iniziative più profittevoli, contrasti il boicottaggio verso Israele e verso i palestinesi. Ma non mi pare che sia il caso di riservare tutte queste iniziative culturali al 27 gennaio, offrendo per lo più il destro alla condanna di Israele".
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa, La Repubblica e Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.



lettere@lastampa.it ; rubrica.lettere@repubblica.it, lettere@ilfoglio.it