Sul Corriere della Sera di oggi, nella sezione dedicata al giorno della memoria, Francesco Alberti racconta il viaggio di una delegazione di giovani israeliani ebrei e palestinesi, ad Auschwitz, organizzato dal Cdec; lo scopo era quello di lavorare per la comprensione dell'altro ed il superamento del pregiudizio.MILANO — Avvenne all’improvviso, nel breve tratto che divide il Bunker 2 (camera a gas più fosse comuni) da uno dei cinque Krematorium (camera a gas più forni). La studentessa palestinese, volto coperto dal chador, affiancò Magda, ebrea ungherese sopravvissuta alla Shoah, e le sussurrò: «In questo momento ti vedo come se tu fossi mia madre...». E l’anziana, fissandola negli occhi: «Io l’ho sempre saputo, è una vita che sei mia figlia...».
Quel giorno del maggio scorso c’era il sole su Auschwitz- Birkenau, i prati erano in fiore e il bosco di betulle che fa da sfondo alla Casa Rossa — prima camera a gas messa in funzione dai nazisti, 13 mesi a pieno regime ( marzo ’ 42- aprile ’ 43) con una media di 400 morti al giorno — aveva contorni meno spettrali del solito. Strana comitiva si aggirava lungo i viali della morte. Avversari storici camminavano fianco a fianco. C’era la studentessa con il chador e altri duecento musulmani: docenti universitari palestinesi, capi religiosi islamici di Francia e Belgio, arabi d’Israele. Con loro, quasi a toccarsi, decine di ebrei provenienti da ogni angolo d’Europa. E poi cristiani.
« Per tre giorni e tre notti, la delegazione palestinese e quella ebraica accettarono di confrontarsi e di conoscersi attraverso lo specchio dell’Olocausto, della sofferenza... » , racconta ora Marcello Pezzetti, 50 anni, storico del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, autorità mondiale per tutto ciò che riguarda Auschwitz e le sue tecniche dell’orrore: fu lui nel 2001 a scoprire che la Casa Rossa, per mezzo secolo abitata da una tranquilla coppia di polacchi, era in realtà l’antenata di tutte le camere a gas ed è stato lui, assieme al prete greco cattolico Emile Shoufani, a tirare le fila di quello specialissimo viaggio. Per i musulmani, dice, quella fu la Giornata della Scoperta: « La scoperta che i l nemico ebreo, da loro visto e vissuto unicamente come aggressore, era stato anche vittima, perseguitato e sterminato. Mi subissavano di domande, soprattutto i giovani arabi sembravano non capacitarsi di una violenza così pianificata » .
Pezzetti faceva da guida, parlava in francese e « ancora ricordo l’emozione di sentire i miei discorsi tradotti contemporaneamente in arabo e in ebraico... » . Di fronte ai Bunker, alle foto e alla Judenrampe — fino al ’ 44 una sorta di capolinea per i treni blindati che trasportavano i deportati e luogo di selezione tra carne da gasare e carne da lavoro — « le certezze di molti giovani palestinesi, allevati nel solco di una cultura revisionista della Shoah, se non addirittura negazionista, venivano messe in discussione » . Gli ebrei, tra i quali c’era anche il sopravvissuto Shlomo Venezia, che lavorava nelle camere a gas, ebbero quel giorno un atteggiamento di totale umiltà.
« Non c’era e non avrebbe potuto esserci alcuno spirito di rivalsa, gli accordi erano chiari: utilizziamo queste ore per confrontarci nella sofferenza, poi ognuno trarrà le proprie conclusioni » spiega Pezzetti, alla cui competenza in materia di lager hanno attinto registi come Steven Spielberg per
Schindler’s List e Roberto Benigni per La vita è bella.
Quei tre giorni furono il frutto di quasi sei mesi di intensa diplomazia. Un filo che solo il prete melchita Shoufani — sangue arabo, fede cattolica, domicilio in Israele — poteva tessere: « Alla fine riuscì a convincere perfino l’imam di Parigi, ma quante difficoltà... Gli arabi, anche la parte più moderata, non nascondevano diffidenza all’idea di un viaggio con gli ebrei. E in mezzo c’erano i cristiani, un po’ mediatori, un po’ osservatori » . Nessun dettaglio fu trascurato: ognuna delle comunità aveva i suoi sponsor, l’Unione Europea fece il resto. E prima di immergersi nell’orrore di Auschwitz, l'eterogenea delegazione ripercorse, nel ghetto di Cracovia e alla sinagoga di Tempel, le tappe della persecuzione ebraica precedente il nazismo. Oggi, sette mesi dopo, Pezzetti dice: « Se solo il 20 per cento di quel gruppo continuerà a lavorare per il dialogo, qualcosa di importante sarà stato seminato » . Poi, quasi temesse di caricare la cosa di troppi significati, butta lì: « A Parigi alcune organizzazioni studentesche ebree e musulmane, così come gli scouts, già collaborano. Hanno iniziato proprio dopo il viaggio... » .
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere al Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@corriere.it