Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 13/08/2025, a pagina 6, il commento di Iuri Maria Prado dal titolo "Giornalisti uccisi: prime pagine Ghali-style".
Iuri Maria Prado
G hali, il rapper italo-tunisino che ha fatto di Sanremo la tribuna popolar-engagé delle fesserie sul genocidio di Gaza, è più grammaticato e meno sciatto del giornalista medio che da 22 mesi (ora con l’endorsement del ministro Crosetto) straparla delle inumanità israeliane. E ieri, tramite un suo profilo social, il cantante si è dedicato ai “sei giornalisti palestinesi” che “sono stati uccisi dall’esercito israeliano”. Ha scritto che “Uccidere chi fa informazione significa nascondere la verità”. Ghali non è tenuto a sapere che faceva informazione anche Joseph Goebbels, né che tra le verità da non nascondere c’è anche quella che a Gaza certi “giornalisti” erano gli stessi che tenevano sequestrati gli ostaggi israeliani, o che tenevano bordone ai macellai in festa per la parata delle bare con dentro i cadaveri di un lattante e del fratello di quattro anni strangolati. Ma Ghali ha obblighi di conoscenza attenuati rispetto ai giornali che ieri sparavano in prima pagina la notizia su “La strage dei testimoni” (La Stampa), o su Israele che “uccide il reporter simbolo di Gaza” (Il Messaggero), o il pensoso editoriale secondo cui “sono stati colpiti proprio perché giornalisti” (Luigi Manconi, la Repubblica). Che siano stati uccisi è indubbio. Che Israele abbia rivendicato di averli uccisi anche. E, a seconda del giudizio di ciascuno, l’atto può essere considerato sbagliato, folle, criminale. E come tale condannato. Ma che Israele li abbia uccisi perché erano “giornalisti”, perché erano “testimoni”, è molto meno un fatto che un giudizio campato per aria. Israele ha rivendicato di averli uccisi perché alcuni di loro erano - secondo la versione fornita - obiettivi legittimi in quanto terroristi o in quanto collaboratori dei terroristi. Falso? Può darsi benissimo! Può darsi, cioè, che questa volta non fosse come altre (parecchie) in cui effettivamente i cosiddetti giornalisti erano dei criminali. Ma, se è così, allora accanto alle foto dei martiri dell’informazione, al di sotto dei titoli che ne denunciano l’assassinio e nel corpo degli ispirati editoriali che condannano l’ennesimo crimine, magari, spieghi e documenti che non è vero, che li hanno ammazzati inventandosi tutto. Se invece ti limiti a dire che “Ma Al Jazeera nega”, allora fai come Ghali - ma con meno grazie - e vai bene sul palco di un teatro, fai la versione cartacea di uno show italiano e smetti anche solo di assomigliare a qualcuno che fa informazione. Di questo Anas al Sharif, il “reporter simbolo di Gaza”, è legittimo e persino giusto deplorare l’uccisione perché è deplorevole la fine violenta di ogni vita umana. Puoi anche continuare a denunciare l’ingiustizia della sua uccisione pur se si trattava dello stesso - e la cosa non è smentita - che il 7 ottobre celebrava, a massacro in corso, l’opera dei nazisti di Gaza. Puoi dire che il fatto che si sbaciucchiasse con Yahya Sinwar non giustificava che fosse messo nel mirino ed eliminato. Ci sta tutto. Ma se non fai nessun lavoro di inchiesta per dimostrare la falsità della tesi israeliana, e la liquidi come falsa perché “l’ha detto Al Jazeera”, e metti il nastro Palestinian-Style sul pacco informativo dell’entità sionista che “elimina i testimoni”, allora non fai un giornale ma un’altra cosa. Fai una velina da tunnel.
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