L'Unità incomincia ad apprendere le bontà del cerchiobottismo. Ne prendiamo atto, lieti come non mai. La teoria non è nuova. La applicano in tanti. Ogni tanto pubblicare un articolo dal volto umano, meglio se a quel volto corrisponde un cognome ebraico. Voila, il gioco è fatto. Ma noi non spacchiamo il capello in quattro. Se Pavoncello supera più articoli di De Giovannangeli gli facciamo pure un applauso. Sempre, beneinteso, che non incominci a scrivere come udg.Riportiamo alcuni brani del bell’articolo di Cesare Pavoncello
In altri luoghi ed in altre situazioni la frase "ci si abitua a tutto" è senz’altro un luogo comune, ma nella Gerusalemme di questi ultimi mesi sta diventando per molti un modo di essere, una filosofia di vita praticata da donne e uomini costretti a vivere con una "normalità" segnata dalla paura e dalla violenza.
I centri commerciali sono tornati ad essere abbastanza frequentati, la stessa cosa per i luoghi di divertimento- cinema, ristoranti e teatri- La paura è stata canalizzata, razionalizzata in abitudini che sono entrate nella vita di gran parte dei cittadini: accompagnare in macchina i bambini per diminuire al minimo i loro viaggi in autobus, è diventato un incubo quotidiano al quale, chi può, cerca di non rinunciare; gli innumerevoli intoppi per il controllo delle borse vengono accolti dagli israeliani- popolo notoriamente impaziente e brontolone- se non proprio con simpatia , con una buona dose di comprensione: le stesse conversazioni tra amici e conoscenti sulla "situazione" che qualche mese fa avvenivano partendo e arrivando allo stesso sospiro di rassegnazione, mettono oggi l’allarme terrorismo al secondo posto, dopo la crisi economica, che tocca quasi ogni strato della società.
Gerusalemme, come l’intero Israele, risponde ai seminatori di morte cercando di difendere spazi di socialità che i terroristi intendono spazzare via a colpi di attentati suicidi.
Altre minacce di attentati e nuove promesse di eliminazioni, in una catena che mesi fa metteva in agitazione il popolo israeliano e ne teneva una buona parte ostaggio della paura e del terrore di vivere una vita normale.
Per molti, recarsi al cinema, in un caffè, passeggiare per le strade era una scommessa con la morte che spezzava i nervi.
"Rinchiuderci dentro casa, annientare la nostra socialità, è uno degli obiettivi dei terroristi, ma noi non dobbiamo dargliela vinta" ripete Naomi, la maestra d’asilo di mia figlia Noah.
E oggi? Che effetto fa sugli israeliani il nuovo record di giuramenti di vendetta di Hamas, dopo la tentata eliminazione dello sceicco Yassin e della leadership di Hamas?
"Dimmi- mi diceva un conoscente ragionando sulla questione- che ci può fare Hamas che non ci abbia già fatto in questi anni? Posso non mandare a scuola i miei figli? Posso negargli di incontrarsi con gli amici, fare judo, nuoto, calcio, andare al cinema, insomma di vivere la propria vita aspirando alla normalità?" La risposta che si è fatta sempre più comune fra gli israeliani è "no". Ma non perchè "Non-ho-paura-di-niente-e-di-nessuno" ma perchè il terrorismo, che era riuscito in una prima fase nel suo intento di mettere a soqquadro la vita delle persone, con la sua macabra ripetitività non ha più lo stesso impatto nemmeno sulle sue potenziali vittime. Si cerca di vivere la normalità dove e quando è possibile, nella consapevolezza che questa può essere rotta in qualsiasi luogo, momento e modo.
Non si ha la paura che ci fa temere e preoccupare per noi e per i nostri cari? Certo, perchè la nostra coscienza come padri, madri, fratelli e sorelle, non ci lascia scelta. Quella paura che porta ancora oggi tante madri a decidere di far prendere ai propri figli autobus diversi per avere così la speranza che almeno uno si possa salvare dall’uomo bomba.
E il terrore, quello che ci tiene asserragliato in casa? No, quello no, perchè a lungo termine, questa non è un’alternativa possibile nella vita di un popolo, di una nazione o di una città.
Il tipo del "non-ho-paura-di-niente-e-di-nessuno" ha lasciato ormai spazio all’idea di "Israele ce n’è solo una e se ci sono nato o ho deciso di viverci tanto vale che accetti la situazione per quella che è, almeno fino a quando le cose non siano mature per cambiare"
Come si diceva all’inizio: ci si abitua a tutto... almeno fino a quando il colpo non ti tocca da vicino.
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