Riprendiamo dalla rubrica social Giulio Meotti: uno dei miglior difensori dei diritti dello Stato d'Israele! l'articolo di Luigi Giliberti, dal titolo: "Adir Tahar, 19 anni: decapitato e congelato a Gaza. L'orrore che Hamas ha filmato e venduto".
Aveva 19 anni, si chiamava Adir Tahar. Era un ragazzo come tanti: un volto pulito, gli occhi buoni, la leva obbligatoria appena iniziata. Viveva a Gilo, sobborgo a sud di Gerusalemme, e serviva nell’IDF, le Forze di Difesa Israeliane, come sergente. Il 7 ottobre 2023, il giorno dell’inferno, è stato catturato da Hamas mentre difendeva un avamposto nei pressi di Nahal Oz, vicino al confine con la Striscia. Di lui, da quel momento, si erano perse le tracce. Fino a quando la verità ha preso forma. Mostruosa, insopportabile.
Il suo corpo è stato restituito settimane dopo, ma qualcosa non tornava. Letteralmente. “Era senza testa”, ha raccontato il padre, David Tahar, in un’intervista straziante alla televisione israeliana Channel 14. “L’ho riconosciuto solo grazie agli effetti personali e al DNA. Me l’hanno detto: non aprire la bara. Ma io l’ho fatto. Dovevo sapere. Dovevo vedere mio figlio”.
Una verità oltre ogni orrore
Le indagini hanno svelato quello che nessun genitore dovrebbe mai ascoltare. Due miliziani di Hamas catturati hanno confessato: la testa di Adir era stata portata oltre il confine e offerta in vendita – sì, in vendita – a Gaza per 10.000 dollari. L’avevano infilata in un borsone, nascosta dentro un freezer, in un negozio di gelati, accanto a documenti militari e ad altri resti. Un’unità speciale dell’esercito israeliano, grazie a informazioni di intelligence, ha localizzato il punto esatto. La macabra scoperta è avvenuta durante un’operazione militare nel cuore di Gaza.
“La testa era lì, congelata. Conservata come fosse una merce. Una prova. Una preda di guerra”, ha raccontato ancora il padre. L’IDF ha confermato il recupero e il riconoscimento formale tramite esame odontoiatrico e genetico. Ora Adir Tahar riposa intero. O, almeno, quanto basta perché i suoi cari possano piangere su un corpo e non solo su una foto.
Un simbolo di questa guerra
Adir è diventato, suo malgrado, un simbolo. Non per la divisa che portava, ma per la disumanità che ha subito. Per l’odio cieco che lo ha trasformato da persona in trofeo. Per la barbarie che si è spinta oltre ogni regola, ogni morale, ogni confine umano. Il suo caso non è isolato, ma è emblematico.
Il 7 ottobre non è stato solo un attacco: è stato un collasso dell’umanità. Migliaia di civili uccisi, centinaia di ostaggi, torture, stupri, bambini bruciati vivi. E poi lui, Adir, giovane, disarmato, decapitato.
Il coraggio di un padre
David Tahar non ha smesso di combattere. Dopo il recupero della salma, ha avviato un’iniziativa a nome del figlio: un centro per giovani a Gilo, un luogo di educazione e resilienza. “Adir credeva nell’umanità. Voglio che il suo nome significhi qualcosa, oltre la morte. Voglio che parli ai giovani, agli studenti, ai padri. Voglio che non venga dimenticato”.
Lo Stato d’Israele gli ha reso onore, ma l’onore non basta. Perché la storia di Adir Tahar non si esaurisce in una tomba o in una cerimonia militare. È un urlo che deve attraversare confini, palazzi delle Nazioni Unite, redazioni distratte. È la prova che, nella guerra tra civiltà e barbarie, restare neutrali è un crimine.
Un volto da ricordare
Il suo volto, Adir, lo ha lasciato in un mondo che non è riuscito a proteggerlo. Ma noi possiamo almeno fissarlo nella memoria: non come soldato, ma come ragazzo. Un figlio. Un essere umano.
E ogni volta che il cinismo si insinua nei dibattiti, ogni volta che qualcuno cerca giustificazioni, “contesti”, “reazioni sproporzionate”, si pensi a un freezer a Gaza. E al volto che ci hanno tolto.
Per non dimenticare Adir Tahar. Per non lasciare che l’orrore venga archiviato come statistica. Perché l’umanità ha un limite. E quel limite, il 7 ottobre, è stato passato.
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