Iran insiste sulla bomba
Cronaca di Amedeo Ardenza
Testata: Libero
Data: 03/07/2025
Pagina: 11
Autore: Amedeo Ardenza
Titolo: L’Iran insiste sulla bomba e molla l’Onu

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 03/07/2025, a pag. 11, con il titolo "L’Iran insiste sulla bomba e molla l’Onu", la cronaca di Amedeo Ardenza.

L'Iran rompe ogni collaborazione con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica e punta alla bomba atomica. Sarebbe stato ad un passo dalla sua realizzazione, se non ci fosse stata l'operazione Rising Lion. Adesso il percorso è sicuramente più difficile, ma Teheran insiste nel volere la sua bomba atomica.

L’Iran è stato di parola e ieri il suo presidente Masoud Pezeshkian ha firmato la legge approvata giorni prima dal Majlis, l’Assemblea consultiva islamica, per sospendere la cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Al braccio nucleare dell’Onu e al suo direttore Rafael Grossi, Teheran non perdona le dichiarazioni dello scorso 12 giugno secondo cui la Repubblica islamica non stava cooperando con l’agenzia. Il giorno dopo Israele ha attaccato l’Iran allo scopo di distruggere il suo programma nucleare e per gli ayatollah l’Aiea ha fornito al nemico sionista una ragione per aprire il fuoco. La firma di Pezeshkian appare però rivolta anche contro il presidente americano Donald Trump con il seguente messaggio: Teheran chiude la porta a ogni negoziato se prima la Casa Bianca non garantirà la sicurezza del suo programma nucleare e degli scienziati che vi lavorano come pure il riconoscimento che arricchire l’uranio è un suo diritto. Eppure, giorni fa lo stesso Trump aveva ventilato un nuovo attacco se l’Iran riprenderà ad arricchire l’uranio, attività che, a detta di Grossi, la Repubblica islamica potrebbe riprendere «nel giro di pochi mesi».

QATAR ED EGITTO

Ma se quella con l’Iran è una sfida di medio e lungo periodo, nell’immediato la Casa Bianca è alle prese con un dossier molto più urgente: la tregua fra Israele e Hamas a Gaza. Ieri Trump ha annunciato che «Israele ha accettato le condizioni necessarie per finalizzare» un cessate il fuoco di 60 giorni con Hamas nella Striscia di Gaza. Il presidente ha poi aggiunto che saranno Qatar ed Egitto, mediatori fra le parti, a consegnare la proposta finale a Hamas.
«Spero, per il bene del Medio Oriente, che Hamas accetti questo accordo», ha affermato Trump spiegando che in alternativa le cose possono solo peggiorare. La tregua indicata dal presidente riparte dal piano proposto settimane fa dal suo inviato speciale Steve Witkoff: due mesi di cessate il fuoco con il rilascio graduale degli ostaggi vivi ancora nelle mani dei rapitori in cambio della scarcerazione di altri detenuti palestinesi. Ieri Hamas ha dichiarato in una nota che sta discutendo le proposte dei mediatori ovvero «conducendo consultazioni nazionali per discutere quanto ricevuto». Il gruppo terrorista ha ribadito la necessità di «raggiungere un accordo che garantisca la fine dell'aggressione, il ritiro (di Israele da Gaza) e l’assistenza urgente al nostro popolo nella Striscia di Gaza». Una fonte a conoscenza delle discussioni ha spiegato che Hamas chiederebbe anche il congelamento del sistema di aiuti umanitari gestito dalla statunitense Gaza Humanitarian Foundation, definita da Hamas «un ostacolo importante, poiché con l'attuale meccanismo ampie fasce della nostra popolazione sono private dell’accesso al cibo». Opposta la visione israeliana secondo cui se riprendesse la gestione Onu degli aiuti come nel passato, il gruppo terrorista riprenderebbe a fare il bello e il cattivo tempo nella Striscia. Il nodo divide al punto che Israele sostiene che a sparare contro decine di gazawi in fila per ricevere i pacchi alimentari sia stata proprio Hamas laddove quest’ultima accusa le Israeli Defense Forces di aprire il fuoco deliberatamente sui civili in attesa degli aiuti.
Per Israele ha risposto indirettamente a Trump il primo ministro Benjamin (Bibi) Netanyahu secondo cui «indietro non si torna» per cui presto «non ci sarà più alcuna Hamas né alcun Hamastan» a Gaza. Un’uscita sibillina per non irritare l’ala ultranazionalista del suo governo che potrebbe lasciarlo in minoranza se il primo ministro accetterà l’offerta di Trump. Atteso alla Casa Bianca all’inizio della prossima settimana, sarà difficile per Bibi dire di no al presidente Usa che ha appena bombardato gli impianti nucleari iraniani ma rischioso per lui è anche dipendere dall’opposizione.

PORTE GIREVOLI

Le uscite dei suoi ministri sono indicative del conflitto in seno all’esecutivo: parlando da Tallin per l’inaugurazione della prima ambasciata di Israele in Estonia, il ministro degli Esteri, il centrista Gideon Sa’ar, ha affermato che nel paese c’è «una larga maggioranza per l’accordo» e che Israele è seriamente impegnato a raggiungere un’intesa con Hamas sulla fine della guerra e la liberazione degli ostaggi. A Sa’ar ha risposto il ministro della Diaspora Amichai Chikli, del partito Likud di Netanyahu, ricordando che il quadro non è stato ancora presentato al governo. I ministri ultranazionalisti Bezalel Smotrich (Finanze) e Itamar Ben-Gvir starebbero invece valutando di ritirare i loro 13 deputati dalla coalizione, lasciando Bibi in minoranza. Un aiuto al primo ministro potrebbe però arrivare dall’opposizione il cui leader, il progressista Yair Lapid ha offerto a Netanyahu sostegno politico. Al posto dei 13 voti di Ben Gvir e Smotrich nella Knesset, «hai 23 voti da parte mia come rete di sicurezza per l'accordo con gli ostaggi», ha detto Lapid in una dichiarazione. «Dobbiamo portare tutti a casa adesso». La palla è nel campo di Hamas e poi in quello di Bibi.

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