Un nuovo Medio Oriente
Commento di Antonio Donno
Dopo il crollo del regime di Assad in Siria e il colpo durissimo ricevuto dall’Iran per opera degli Stati Uniti e di Israele, sembrerebbe che il Medio Oriente possa avviarsi, per il momento, verso una pace “controllata”, non certo verso una stabilizzazione politica definitiva. Parlare della regione mediorientale nei termini di una stabilizzazione definitiva è fuori da ogni logica, perché, come la storia ha dimostrato, il Medio Oriente è il regno dell’insicurezza, spesso del conflitto. Oggi, dopo la fuga di Assad a Mosca, rifugio stabile dei dittatori disarcionati, la Siria sembrerebbe entrare in un contesto mediorientale nel quale gli Stati Uniti potrebbero riproporsi come fattore di equilibrio e di incontro tra Stati finora in difficile coesistenza.
La Siria, in particolare, sembra la più vicina ad una presa di posizione politica finalizzata ad una pacificazione interna e a un rapporto con Washington positivo e stabile. Il suo nuovo presidente, Ahmad al-Sharaa, già terrorista nelle file della Jihad islamica, sembra oggi incline a reggere un regime inserito in un contesto non bellico, anzi, come si sussurra nei centri più importanti della politica internazionale, disposto a giungere ad una normalizzazione delle relazioni con Israele. In effetti, la nuova Siria di al-Sharaa ha tutto l’interesse di porsi in un una situazione politica di amicizia verso gli Stati Uniti e Israele, allontanandosi dai rapporti con l’Iran a suo tempo stabiliti da Assad in funzione anti-israeliana. Se questo dovesse avvenire, Israele acquisirebbe nella regione mediorientale una posizione più sicura, anche per il fatto che i gruppi terroristici finora finanziati da Assad si troverebbero a mal partito nella loro lotta contro lo Stato ebraico. L’ingresso nel prossimo settembre della Siria di al-Sharaa alle Nazioni Unite potrebbe rappresentare una conferma di un nuovo assetto politico verso il quale il Medio Oriente va orientandosi.
L’Iran degli ayatollah, dopo la batosta subita nella “guerra dei 12 giorni”, è sempre più isolato. Il prestigio accumulato nel tempo presso i suoi sostenitori presenti nel quadrante mediorientale, anche se non al potere, si è polverizzato quando costoro hanno assistito ai raid a tutto spiano di Stati Uniti e Israele sul territorio iraniano e all’impotenza militare dimostrata dai loro beniamini. L’aspetto più grave della vicenda per costoro è stata la grande capacità di Israele – il nemico da distruggere come obiettivo politico-religioso primario – di infliggere una sconfitta così pesante all’Iran, anche se possono consolarsi affermando che il sostegno americano è stato decisivo. Auto-menzogne tipiche dell’Islam sconfitto.
Il quadro politico mediorientale va mutandosi dopo il crollo del regime di Assad in Siria. Egitto e Giordania hanno da tempo chiuso ogni velleità militare nei confronti di Gerusalemme. L’Arabia Saudita ha contatti importanti politico-economici con Israele. Gli “Accordi di Abramo”, che uniscono Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco, sembrano la destinazione finale della nuova Siria e, a questo punto, della stessa Arabia Saudita. Se tutto ciò dovesse avvenire – e sembra che la situazione si stia di fatto evolvendo in questa direzione – l’Iran di Khamenei sarebbe uno Stato isolato in un contesto estraneo, anzi ostile, alle sue pretese di egemonia. L’impegno degli Stati Uniti è, dunque, di importanza cruciale per ridefinire il Medio Oriente in un senso non più avverso, anzi amichevole, non solo verso Washington, ma soprattutto verso Israele. In questo caso, lo Stato ebraico acquisirebbe una posizione politica di grande rilievo in una regione che gli è stata nemica fin dalla sua nascita nel 1948. L’Iraq, dal canto suo, ha una situazione interna ancora fragile, dovuta soprattutto ad una gravissima situazione economica; la fine delle lotte tra sunniti e sciiti ha dato vita ad una repubblica parlamentare che ha preso le distanze dall’Iran degli ayatollah. Il suo futuro ha una grande importanza per gli equilibri della regione e per i prossimi rapporti con Israele.
La “guerra dei 12 giorni” pare abbia portato ad una importante svolta politica nel Medio Oriente, soprattutto in prospettiva. L’Iran è isolato ed è sperabile che nessun paese dell’area abbia l’interesse a sostenere un regime come quello iraniano. Anzi, al contrario, l’allargamento degli “Accordi di Abramo” può favorire lo sviluppo pacifico di una regione che ha un ruolo fondamentale negli equilibri internazionali.
Antonio Donno