Capire e conoscere Israele
per poter aiutare Abu Mazen
Testata:
Data: 21/07/2003
Pagina: 21
Autore: Peppino Caldarola
Titolo: La sinistra europea deve capire la svolta di Sharon e togliere il simbolo Arafat dalle proprie bandiere
Riportiamo l'interessante analisi di Peppino Caldarola pubblicata su Il Riformista lunedì 21 luglio 2003.
Il prossimo viaggio americano di Abu Mazen dovrà confermare al nuovo leader palestinese il conforto dell'appoggio Usa. Questo viaggio è una tappa fondamentale, ma non decisiva, nel nuovo, incerto percorso di pace. Israele ha aperto una linea di credito a vantaggio di Abu Mazen e gli israeliani non nascondono di investire anche su un altro leader palestinese, Marwan Barghouti, che pure detengono nelle loro carceri.
Mai come ora la scelta fra pace e guerra è nelle mani dei palestinesi. Il leader israeliano Ariel Sharon sembra aver imboccato la strada della trattativa dopo un lungo, doloroso periodo di contrasto armato di quella Seconda Intifada che ha stremato i palestinesi e dato vita alla terribile stagione degli attentatori suicidi le cui vittime l'Occidente farebbe bene a ricordare almeno con la stessa giustificata passione che mette nei confronti del dolore dei palestinesi.
Ariel Sharon è un uomo della destra, con un passato discusso e discutibile, che cerca ora di mimare il tragitto dei generali israeliani, ultimi i laburisti Rabin e Barak, che, forti di una ineccepibile biografia militare al servizio dello Stato ebraico, hanno cercato di spendere il loro prestigio sul terreno della politica e della trattativa. Ciò è tanto più significativo in quanto l'approdo alla logica della trattativa non era così scontato viste le posizioni e i gesti anche recenti di Ariel Sharon. Tuttavia si fa strada l'impressione, che la sinistra europea e italiana fa male a sottovalutare o a guardare con eccessiva diffidenza, che il capo della destra, attuale capo del governo di Gerusalemme, abbia messo al centro dei propri obiettivi il raggiungimento di un accordo con i palestinesi. La determinazione di Sharon nell'azione di contrasto militare contro la terribile Seconda Intifada non può far velo su un suo progressivo spostarsi verso posizioni più ragionevoli, e politicamente di centro, riguardo la possibilità di una trattativa che comprenda anche importanti concessioni da parte di Israele.
Il tema è Arafat. La persona e il simbolo. E' comprensibile che europei e americani, questi ultimi un po' meno impegnati in verità, tengano a cuore l'autorità e la dignità del soggetto palestinese che deve sedersi al tavolo della trattativa. E' meno comprensibile che gli europei condizionino l'appoggio al processo di pace al ruolo di Arafat. Non c'è solo il veto israeliano che deve far riflettere. Né la repulsione che molti hanno verso di lui e che è nutrita dalla sua consolidata doppiezza e dalla corruzione della sua classe dirigente.
Arafat è effettivamente un simbolo arabo-musulmano. Ma è esattamente il simbolo che la sinistra europea deve togliere dalle proprie bandiere. C'è nel vecchio leader palestinese, ora impegnato a sabotare Abu Mazen, il concentrato di tutta la cultura e la sub-culrura panarabista e fanatico-religiosa che per troppi anni la sinistra europea e la sinistra italiana hanno considerato come l'ingrediente inevitabile e indispensabile di un processo di liberazione nazionale. Questo equivoco ha alimentato simpatie verso leader arabi di profilo neo-nazista, protagonisti della più colossale operazione antisemita dopo la Seconda guerra mondiale. Questo equivoco ha alimentato anche una visione dello scontro arabo-israeliano in cui le ragioni di Israele, non solo quelle concernenti la sua sicurezza, sono spesso passate in secondo piano.
A chi parla, anche a sinistra, del rischio per i palestinesi di vivere in tanti bantustan controllati da Israele, vorrei suggerire di guardare con più attenzione sia la carta geografica sia la cultura trasmessa a milioni di arabi dalla loro classe dirigente moderata e rivoluzionaria. Ha ragione Miro Silvera («Contro di noi», Frassinelli editore, pag.30): «Israele è il luogo più duro in cui vivere oggi; per gli israeliani, circondati dai paesi arabi, è diventato un enorme ghetto allargato… in cui gli arabi giocano con le loro vite come il gatto con il topo».
Il diritto sacrosanto dei palestinesi alla terra e allo Stato deve essere confrontato con la soluzione di questo problema che è militare, culturale, psicologico. Israele non è né una dependance americana né il sogno socialista dei primi sionisti. E' uno Stato che si difende e che va difeso. Se l'Occidente, e in particolare l'Europa e la sinistra, assumono fino in fondo questo tema come centrale aiuteranno l'emersione di nuove leadership arabe spezzando la tentazione Usa di gestire la vicenda mediorientale alternando compromessi con leader indecenti e azioni militare traumatiche magari contro i medesimi ex loro sodali. Solo così si aiutano Abu Mazen e quelli come lui. Fuori da questa logica ci sono gli Arafat e i Saddam, cioè la guerra.
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