La politica di Biden mette in pericolo la sopravvivenza di Israele
Analisi di Antonio Donno
Con una maggioranza di 99 deputati su 120 la Knesset, il 21 febbraio, ha votato contro l’eventuale riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese ai confini orientali di Israele. Questo voto accresce le distanze di Israele dagli Stati Uniti di Biden, i quali insistono nell’affermare che la pace in Medio Oriente si otterrà soltanto con la creazione di uno Stato palestinese e con l’avvio di buoni rapporti con Israele. Eppure, il testo approvato dalla Knesset è chiaro su un punto fondamentale: dopo gli eventi orribili del 7 ottobre, il riconoscimento di uno Stato palestinese “significherebbe un’enorme ricompensa per il terrorismo e impedirebbe qualsiasi accordo di pace”. Un’affermazione ovvia, perché nessuno può negare che uno Stato palestinese accanto a Israele sarebbe uno Stato controllato dall’Iran, che sostiene politicamente e arma tutte le formazioni terroristiche che insidiano giornalmente lo Stato ebraico su ogni confine. In che modo potrebbero gli Stati Uniti assicurare la sussistenza di Israele se esso fosse circondato da nemici che ne vogliono la distruzione? Come impedire l’egemonia di Teheran su uno Stato palestinese dopo la sua creazione? L’Amministrazione Biden non si è mai espressa chiaramente su questo punto nodale, soprattutto dopo che i numerosi tentativi fatti dagli americani negli ultimi anni di trovare un accordo politico con l’Iran sono sfociati in altrettanti fallimenti.
Questi fallimenti hanno un loro preciso significato. Teheran li ha voluti per avere mano libera nel Medio Oriente. Ora che Russia e Cina si sono avvicinate politicamente ed economicamente all’Iran, il regime degli ayatollah è ancora più convinto del successo della propria politica mediorientale. E se uno Stato palestinese, controllato da Teheran, dovesse nascere, i progetti egemonici iraniani avrebbero fatto un importante passo in avanti. A questo punto, Israele dovrebbe contrastare non soltanto le formazioni terroristiche armate dall’Iran, ma uno Stato vero e proprio armato e sostenuto politicamente dall’Iran. Il quadro mediorientale diverrebbe pesantissimo per Gerusalemme. Lo ha detto chiaramente Netanyahu: “La Knesset si è unita con un’ampia maggioranza contro il tentativo di imporci la creazione di uno Stato palestinese e il voto invia un messaggio chiaro alla comunità internazionale: il riconoscimento unilaterale non avvicinerà la pace, ma la allontanerà ulteriormente”.
“Tentativo di imporci”. Quest’espressione rivela il momento cruciale che Israele sta vivendo. Mentre il suo esercito sta combattendo per eliminare i terroristi di Hamas da Gaza e rendere sicuro quel confine, gli Stati Uniti e altri Stati si uniscono per elaborare un progetto volto alla creazione di uno Stato palestinese ai confini orientali di Israele, che verrebbe a costituire una nuova, ancor più pesante minaccia terroristica alimentata dall’Iran. Si tratta di una vera e propria imposizione politica che isolerebbe definitivamente Israele in un contesto sempre più pericoloso per la propria esistenza. Se questo dovesse avvenire, gli Stati Uniti si qualificherebbero come i nuovi nemici di Israele e della sua stessa esistenza. Il voto della Knesset è un richiamo, volto all’Occidente e soprattutto a Washington, sulle terribili responsabilità che graverebbero sul mondo democratico se la vita di Israele dovesse essere messa in pericolo dall’accerchiamento terroristico che si creerebbe con la nascita di uno Stato palestinese ai suoi confini, controllato da Teheran.
Il momento è, dunque, molto difficile. Israele ha affrontato nella sua storia molti di questi momenti e ne è uscito rafforzandosi. Ha vinto le guerre scatenate dagli arabi, ma oggi è di fronte a un’insidia politica che potrebbe mettere in pericolo la sua stessa sopravvivenza. Nel corso della sua esistenza Israele ha potuto contare sul sostegno politico proprio di coloro che oggi gli sono contro, perché vogliono risolvere la questione israelo-palestinese dando vita ad uno Stato che sarà controllato dal nemico numero uno dello Stato ebraico: l’Iran. Mi commuovo ancora quando rileggo, nelle ultime pagine del fondamentale libro di Yuri Slezkine, Il secolo ebraico, questa frase: “In seguito alla Guerra dei sei giorni, [Israele si mostrò come un Paese] piccolo ma vittorioso, virtuosamente democratico, ancorché sfacciato, abbronzato, giovanile, determinato, in tuta mimetica, tutto d’un pezzo e completamente privo di dubbi” (p. 529). Oggi i dubbi negli israeliani provengono da fuori, dai suoi amici d’un tempo.
Antonio Donno