Riportiamo un articolo di Aldo Torchiaro pubblicato su Il Riformista martedì 3 giugno 2003.Ci sono alcuni casi sulla stampa italiana in cui appare molto curioso l'aggiramento, per così dire, del termine israeliano. Si fatica a pronunciarlo in contesti diversi da quelli legati alla quotidiana cronaca del conflitto mediorientale. Non si tiene conto del fatto che Israele, comunque ci si collochi rispetto alla sua posizione, è una fucina di creatività ed inventiva, vanta numerosi primati in fatto di produzione artistica e culturale, nell'innovazione scientifica e tecnologica. In numerosi episodi di giornalismo non troppo scrupoloso, si assiste invece a vere peripezie lessicali e a qualche trucchetto stilistico, pur di riuscire ad evitare l'insidiosa evocazione dello Stato Ebraico.
Poche settimane fa in Italia si è dedicato ampio risalto alla felice conclu sione della vicenda di una bambina napoletana, Rossella, la cui rara, terribile malattia, la "glicogenosi di tipo 2", non era curabile in Italia per l'irreperibilità dell'unica medicina esistente per salvarla. I media avevano seguito la toccante protesta dei genitori di Rossella - un lungo sciopero della fame - hanno parlato dell'intervento del ministro Sirchia e del felice esito della vicenda, con l'importazione ad hoc di questo farmaco per la piccola paziente. Possibile che nessuno abbia voluto scrivere che la ''glicogenosi di tipo 2'' viene studiata solo presso la clinica universitaria di Haifa? Il farmaco contro la ''glicogenosi di tipo 2'', testato, brevettato e prodotto in Israele, è stato due anni fa venduto dai laboratori di Haifa ad una azienda farmaceutica del Massachusetts. Sembra, strano a dirsi, che nessuno si sia chiesto grazie a che cosa si è salvata la vita di Rossella.
Lo stesso stupore riguarda, in tempi di Sindrome Respiratoria Acuta Grave, inglesizzato in Sars , lo strano disinteresse per le intense ricerche della farmaceutica israeliana in materia. La Cina ha stipulato in questi giorni contratti con il laboratorio Technion di Haifa per acquistare le linee diagnostiche antisars denominate BioDetect, approntate per effettuare rapidi test di identificazione del nuovo virus. In Israele sono già in produzione tester palmari, paline a raggi infrarossi e teleobiettivi con misurazione della temperatura a distanza, tre preziosi strumenti che permettono una diagnosi certa ed immediata dei casi di contagio. Anche in questo caso appare singolare la dimenticanza dei nostri media per questa informazione, pur di vasto richiamo. Ma non si tratta di pura disaffezione per l'informazione scientifica.
Ad oltre un anno dall'atroce, disumano assassinio del giornalista Daniel Pearl, in molti lo hanno ricordato. Il reporter, inviato del Wall Street Journal in Pakistan e Afganisthan, era stato rapito, torturato, infine sgozzato con una lama secondo il rito de lla macellazione rituale islamica. Dopo aver dovuto confessare davanti ad una telecamera: «Sono ebreo, Ani Yehudi». All'orrore che ha fatto seguito, in tutto il mondo, alla notizia della sua morte, i media hanno risposto con servizi dedicati al giovane inviato, al suo brillante curriculum, alla sua vita, in prima fila la giovane moglie francese dal carattere fermo, dignitosa anche nei momenti più difficili. Il fatto che Daniel Pearl avesse un passaporto israeliano, e che fosse negli Stati Uniti con doppia cittadinanza, è stato bypassato più o meno da tutti. Ha trovato felice eco l'espressione «ebreo americano», e con questa epigrafe si è definito il suo ritratto. Mai una volta si è parlato del rapporto d'amore tra il giornalista e lo Stato Ebraico, che era fortissimo. Né si è ritenuto di dare spazio ai funerali di stato svolti a Gerusalemme con l'intera famiglia Pearl ed il presidente israeliano Moshe Katzav. Nel centro di B'nei Berak, in Israele, c'è una strada che porta il nome di suo nonno, Chaim Pearl, che fu uno dei fondatori della città. Davvero imbarazzante che questo importante aspetto biografico del giornalista assassinato sia stato regolarmente omesso, sostituito dalla parafrasi di «corrispondente di origine ebraica di un giornale americano».
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