Stato d'allerta per il terrorismo
I molti attentati di questi ultimi giorni non sono tutti uguali
Testata: Il Giornale di Sicilia
Data: 23/05/2003
Pagina: 3
Autore: Valter Vecellio
Titolo: Si materializza lo spettro della guerra globale
Riportiamo un articolo di Valter Vecellio pubblicato su il Giornale di Sicilia venerdì 23 maggio 2003
L’intenzione era quella di dirottare un aereo e di schiantarsi, sull’esempio dei terroristi dell’11 settembre, contro un edificio di Gedda in Arabia Saudita. Per fortuna i tre militanti di Al Qaeda sono stati neutralizzati prima, ma la minaccia, grave ed incombente, resta. Non per un caso negli Stati Uniti lo stato di allerta è tornato ad essere "Orange": il quarto grado nello stato d’allarme, dopo "green", "blue", "yellow", e prima solo del massimo, il "red". CIA ed FBI parlano apertamente di "attacco da brividi", non si esclude che Al Qaeda possa fare ricorso ad armi non convenzionali, come una cosiddetta "bomba sporca" per contaminare un’area abitata, o a qualche gas. In Arabia Saudita le ambasciate occidentali sono state sgomberate in fretta e furia.
Si tratti poi di piano preordinato o di effetto emulativo, fatto è che negli ultimi giorni è stato un crescendo di sanguinosi attentati e stragi: in Arabia Saudita, in Marocco, in Cecenia, in Israele, in Turchia…
Ogni bomba, ogni attentato, ha una sua storia. I kamikaze che si fanno esplodere in Cecenia (anche se sempre più tra la resistenza cecena si stanno affermando le spinte islamiche più integraliste), sono cosa diversa dai fanatici di Hamas o delle Brigate di Al Aqsa, che insanguinano Gerusalemme e Tel Aviv: e si inquadrano in una strategia che si propone di bloccare da una parte ogni processo di pace tra israeliani e palestinesi; e non sono estranee a una lotta feroce tra le fazioni palestinesi stesse per la conquista della leadership.
Gli attentati in Arabia Saudita si inquadrano invece nel tentativo di destabilizzare il paese: da una parte i contrasti intestini tra la stessa, sterminata, famiglia reale, che si prepara alla successione dell’anziano e malato re Fahd; dall’altra il sogno di Bin Laden di impadronirsi di un paese che letteralmente galleggia su un oceano di petrolio, controlla le maggiori riserve del mondo; e custodisce i luoghi santi per l’Islam: potenza simbolica, e potenza del petrolio insieme. Gli attentati nei paesi arabi moderati come il Marocco, infine, si spiegano con il tentativo di condizionarne la politica; il messaggio è chiaro: o con gli "infedeli" (Stati Uniti, Israele e quant’altro); o con chi gli "infedeli" li combatte.
Questo il contesto; ma al di là delle "sfaccettature", il quadro complessivo presenta una galassia terrorista in piena attività e ripresa, che colpisce in modo improvviso e imprevisto, e intende accreditare un’immagine di potenza e di colpire un po’ ovunque.
In una parola: quella guerra globale, lunga e sanguinosa, di cui George W. Bush e Tony Blair hanno parlato subito dopo le stragi delle Twin Towers e del Pentagono. La concentrazione di attentati e di terroristi suicidi dimostra che la capacità offensiva del fanatismo integralista islamico pur se indebolita, è ancora capace di scendere in campo con rincarata violenza. Con la caduta di Saddam è crollato un pilastro portante del terrorismo internazionale; ma proprio perché ha subito pesanti colpi, Al Qaeda ha necessità di dimostrare la sua vitalità e capacità distruttiva.
Ora, mentre del cosiddetto movimento per la pace senza "se" e senza "ma" restano le sbiadite bandiere arcobaleno appese alle finestre (ma ci possiamo scommettere: torneranno pesantemente in campo non appena ci sarà da manifestare contro gli Stati Uniti), le varie cancellerie mettono in guardia – giustamente – contro il terrorismo globale, le sue minacce e pericoli; e a mettere in guarda da questo rischio e pericolo non sono solo Washington, Londra, Madrid, o Roma; analoghi allarmi si colgono a Parigi, a Berlino, a Mosca: vale a dire quei paesi che maggiormente hanno contrastato le iniziative per neutralizzare i terroristi, i loro complici e le loro centrali.
Nel recente conflitto dell’Afghanistan Parigi e Mosca irriducibili ci hanno detto che non si doveva morire per il petrolio. Una politica "pacifista" motivata dal fatto che si cercava in ogni modo di difendere i lucrosi contratti stipulati dalla francese Elf e dalla russa Lokoil con il regime di Saddam. Francesi e russi, insomma, facevano quel che accusavano gli Stati Uniti di voler fare. Ora il premier russo Vladimir Putin e il presidente francese Jacques Chirac sono tra quanti esortano alla creazione di fronti comuni con il terrorismo. E’ il segno di un mutato clima, di una ritrovata consapevolezza delle minacce che ci sovrastano? Auguriamocelo, anche se è pur sempre opportuno mantenere una doverosa scorta di scetticismo: Robert Kagan, nel suo recente "Paradise and Power" ci dimostra come da almeno cinquant’anni buona parte dell’Europa chieda agli Stati Uniti di garantire la sua sicurezza e incolumità, senza esser disposta a pagare i prezzi che questa comporta. Ci si sta finalmente rendendo conto che, al pari della campana di John Donne, anche il terrorismo islamico è un qualcosa che "suona" per tutti?

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