Non si può eliminare Arafat perchè l'Europa ancora lo corteggia
Intervista al direttore del Centro Studi Strategici di Israele
Testata:
Data: 21/05/2003
Pagina: 3
Autore: Cristiano Fubiani
Titolo: Inbar: Israele ha le mani legate. Non può eliminare il rais, per ora
Pubblichiamo l'intervista di Cristiano Fubiani al direttore del Centro di studi strategici "Begin-Sadat" di Tel Aviv, pubblicata sul Secolo XIX il 21 maggio 2003.Gerusalemme. «Israele non può eliminare Arafat, almeno per il momento». Lo dice a denti stretti, Efraim Inbar, 56 anni, direttore del Centro di studi strategici "Begin-Sadat"di Tel Aviv. Nonostante le dichiarazioni di fuoco e gli strali che Sharon ha scagliato contro il rais palestinese a seguito dei recenti attentati terroristici, per adesso lo Stato ebraico avrebbe infatti le mani legate.
Professor Inbar, Israele considera Arafat il peggiore dei terroristi, ma perché non ha il coraggio di colpirlo?
«Personalmente ritengo che il presidente dell’Anp si sia macchiato delle stragi più sanguinose e che, come tale, dovrebbe essere considerato un obbiettivo da colpire. Israele però non può permettersi di eliminarlo, almeno per il momento. E’ vero che gli americani lo hanno isolato, ma gli europei continuano a corteggiarlo. Questo è un grave errore, ma lo Stato ebraico non vuole essere isolato. Solo quando l’Ue capirà che Arafat è il vero ostacolo sulla via della pace e si deciderà a unirsi nella comune lotta al terrorismo le cose cambieranno ».
Il vice-premier Ehud Olmert ha detto però che finché Arafat sarà al potere gli ebrei non potranno sentirsi al sicuro. L’ipotesi dell’esilio del rais si avvicina?
«Olmert ha ragione quando dice che gli ebrei non possono sentirsi al sicuro, con o senza Arafat. Il costante desiderio dei palestinesi è infatti proprio quello di uccidere il più alto numero possibile di ebrei e gli attentati dei giorni scorsi lo confermano. Quanto all’ipotesi dell’esilio, credo che a Israele convenga molto di più tenerlo bloccato a Ramallah, che non lasciarlo libero di organizzare missioni terroristiche all’estero».
A proposito di terrorismo: Abu Mazen è in grado di fermare i gruppi armati?
«Ne dubito. Israele lo sta mettendo alla prova, chiedendogli di avviare una guerra civile contro Hamas, la Jihad islamica e gli estremisti di al-Fatah. Il suo impegno dovrebbe essere quello di uccidere i terroristi. Dubito che lo farà, ma se non lo farà il suo governo è destinato a crollare».
Il neo-premier dell’Anp ha però annunciato di voler riavviare il dialogo con le organizzazioni armate già la prossima settimana al Cairo.
«Questi colloqui non servono a nulla. Sono falliti in passato e falliranno ancora. Né Hamas, né la Jihad vogliono una tregua. Cinque attentati suicidi in meno di 48 ore sarebbero dovuti servire ad Abu Mazen per capire chi sono i suoi interlocutori».
Capitolo diplomazia e "road map". Quale futuro per il piano di pace?
«L’incontro tra Sharon e Abu Mazen è un fatto positivo. Israele intende dare al neo-premier dell’Anp una chance e la "road map" contiene elementi nuovi rispetto al passato, ma non dobbiamo dimenticarci che il suo successo dipende solo dai palestinesi. Se loro dimostreranno di saper fermare il terrorismo, riformando i servizi segreti e neutralizzando Arafat, la pace è possibile. In caso contrario, ogni accordo salterà e gli stessi palestinesi sprofonderanno nell’abisso».
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