«E’ il paradosso della storia. Più di 80 anni fa mio nonno scappò in Ucraina dalla Germania per mettersi in salvo. Io poche settimane fa ho fatto il percorso inverso per salvare 220 orfani della mia comunità». E tornato nella sua Odessa il rabbino Avraham Wolff, dopo aver organizzato due convogli umanitari passati per Moldavia, Romania e Ungheria e arrivati su fino a Berlino. «Ora anche mio nipote è lì», dice mostrando il video di un bambino di quattro mesi e mezzo sorridente. Odessa nervosa. Odessa confusa. Odessa che festeggia la liberazione e che odia chi la rese possibile. Era il 10 aprile del 1944, 78 anni fa, quando la bandiera sovietica veniva issata sull'Opera dopo che le truppe russe avevano strappato le svastiche. Fuori dalla sinagoga di Chabad, le strade sono deserte: è stato proclamato il coprifuoco totale fino all'alba. «Quando i nazisti entrarono a L'Opera Timori che l'Opera venga colpita. «Ma non succederà, gli inglesi ci hanno mandato armi» Odessa erano rimasti pochi ebrei, ci avevano già pensato i rumeni a sterminarci», continua Rabbi Wolff mentre accende le luci della sala di preghiera. «Io sono arrivato qui da Israele nel 1992. Ho sempre vissuto in pace. L'Ucraina e Odessa soprattutto sono sempre state ebree. I suoi leader stessi hanno origini ebraiche, Petro Poroshenko, Yulia Timoshenko, Volodymyr Zelensky. Ma ora questa guerra ha cambiato tutto. Da 35 mila che eravamo qui in città ora siamo rimasti in poche migliaia. La scuola, il liceo, l'università, gli orfanotrofi, tutto chiuso». Soffre mentre lo dice rabbi Wolff. Ma cerca di sorridere. E alla domanda se per l'Ucraina sarà necessaria una nuova Norimberga guarda dritto fisso davanti a sé. «L'Olocausto resta unico nella Storia. Ma le fosse di Bucha sono una linea rossa, per noi e per tutto il mondo. Noi possiamo solo tentare di proteggere la comunità e tenere viva la memoria. Voi giornalisti fate il vostro lavoro, raccontate là verità, continuate a farlo e, vi prego, aiutateci a fermare la guerra». Venerdì i deputati della fazione Trust in Deeds, quella del sindaco Gennadiy Trukhanov , e i veterani hanno deposto fiori al monumento al marinaio sconosciuto sotto all'obelisco di piazza io aprile. Di sottofondo, le sirene. In cielo, le esplosioni, anche a pochi passi dal centro, le ultime ieri pomeriggio. «Sono i droni russi che la nostra contraerea sta abbattendo», dice Igor. Odessa sotto attacco. Odessa che aspetta un missile sopra l'Opera, simbolo di tutto, da un momento all'altro. «Ma non succederà, gli inglesi ci hanno mandato le armi nuove», continua Igor. In strada Viktor si affretta verso casa. Ha portato fuori il cane, un pitbull femmina cui ha dipinto le unghie di rosa. Ha 23 anni. Lavora come commesso in un negozio della Roshen, la fabbrica di cioccolato dell'ex presidente Poroshenko. «Oggi per me era sempre stato un giorno di festa. Ma ora non lo so. Volevo andarmene in vacanza questo mese, non posso lasciare il Paese a causa della legge che vieta agli uomini di farlo. Che senso ha tutto questo? La guerra è così stupida». In cucina intanto Roberto grida, mentre saluta gli ultimi clienti prima dell'inizio del coprifuoco. «Venissero pure i russi che li aspettiamo, venissero». Ai checkpoint i militari provano a sorridere. «Non vi preoccupate, gli orchi non arriveranno mai». L'idea di uno sbarco dal mare sembra scongiurata, dicono gli analisti. Ma nessuno azzarda più previsioni. Domenica scorsa Odessa si è svegliata con colonne nere di fumo che si alzavano dai depositi di carburante in fiamme, dopo che almeno 6 missili russi avevano bucato la contraerea. Durante la settimana è stata colpita una base militare a Kransosilka, sobborgo a nord est di Odessa, dove c'è almeno un militare è stato ucciso. Un altro missile avrebbe colpito il porto nei giorni scorsi e sabato un altro a Chernomorsk, contro un centro logistico vicino a una base. Gli animi sono decisamente cambiati, con controlli sempre più serrati e una censura sempre severa sull'informazione. «Se volete fotografare qualcosa dovete prima chiedere il permesso e avvertire sempre se vi spostate», dice il sergente Alex, giù al comando centrale. Al tramonto il cielo sì fa nero. Come l'umore della Regina, che di fare festa oggi Odessa non ha proprio voglia.
Anna Zafesova: 'Duemila bambini ucraini trasferiti a forza in Russia'
“Bambini, perdonateci per disordine, vivete in pace e studiate bene, dio vi protegga». Firmato «Russi». Il messaggio lasciato sulla lavagna della scuola di Katyuzhanka, nella regione di Kiev, è scritto in una bella calligrafia, senza errori, a differenza di altre scritte sgrammaticate lasciate dagli invasori in molte case saccheggiate delle città ucraine. Sembra essere fatto apposta per illustrare le buone intenzioni dei soldati russi, e infatti viene diffuso da Margarita Symonian, rapa della propaganda del Cremlino, nello stesso giorno in cui alla stazione di Kramatorsk è stata provocata una strage da un missile russo sulla fiancata del quale c'era scritto «Per i bambini». La difesa dei più piccoli sembra la nuova linea d'attacco dell'ideologia del Cremlino, riesumando un classico della propaganda sovietica, il cui simbolo è la statua del soldato dell'Armata Rossa che tiene in braccio una bambina, a Berlino. Che le scuole ucraine vengono saccheggiate e devastate, distrutte e imbrattate di scritte insultanti verso gli ucraini, non viene mostrato, così come non si parla delle fosse per seppellire civili uccisi, scavate a poche decine di metri. I telespettatori russi non vedono nemmeno la bambina ucraina alla giacca della quale la mamma ha cucito un'etichetta plastificata, di quelle che si appendono alle valigie, per poterla identificare nel caso finissero sotto un bombardamento. I bambini sono vittime della guerra: ieri la commissaria per i diritti umani del parlamento ucraino Lyudmila Denisova ha raccontato che 176 minori sono stati uccisi e 324 feriti, in 44 giorni di guerra. Ma stanno diventando anche un'arma: almeno 1.937 ragazzini ospitati negli orfanotrofi ucraini sono stati portati in Russia dall'inizio della guerra, e alla Duma circola la proposta di approvare un regolamento di adozione semplificato per i piccoli ucraini. Secondo Denisova, sono già state avviate 289 pratiche di adozioni: «Sono i nostri figli. Restituiteceli», ha detto alla televisione ucraina. E Maryna Lypovizkaya, della Ong Magnolia, che si dedica ai bambini scomparsi, ha raccontato alla Cnn che dall'inizio della guerra sono almeno due mila i minori che mancano all'appello: alcuni sono forse rimasti uccisi nei bombardamenti, altri si sono persi nella fuga dalle città assediate, ma altri probabilmente sono finiti dall'altra parte. Allo stato attuale, sono 131 mila i minori ucraini che sono stati portati in Russia, su un totale di 674 mila cittadini sfollati verso il territorio del Paese nemico. Denisova denuncia una «deportazione forzata», e numerosi ucraini fuggiti da Mariupol hanno raccontato ai giornalisti occidentali che i militari russi non gli avevano lasciato alcuna scelta: «Siamo stati recuperati dalle cantine dove ci nascondevamo dalle bombe e caricati su dei pullman». Una volta trasferiti nel Sud della Russia, sono stati collocati in tende e palestre, fotografati e schedati con rilevazione delle impronte digitali: «Mi hanno trattato come fossi stata una criminale, una proprietà della Russia», ha raccontato una donna sotto anonimato alla Cnn. Gli ufficiali dell'Fsb guardano il contenuto dei telefoni dei profughi, li interrogano sulle loro idee politiche, sulle attività svolte dai parenti rimasti in Ucraina e dagli eventuali conoscenti in Russia, li sequestrano i cellulari e i passaporti. «Dobbiamo impedire che in Russia si infiltrino i nazisti ucraini», spiegano queste procedure le autorità russe e, secondo molti testimoni, chi non supera i test, soprattutto gli uomini, sparisce. Gli altri ricevono 100 euro in rubli, una sim card russa e dei documenti provvisori, e vengono caricati su treni e pullman diretti verso varie regioni della Russia, soprattutto remote e disagiate. Denisova ha denunciato ieri la presenza di centinaia di ucraini - soprattutto donne, ma anche 147 bambini, tra cui diversi neonati — chiusi in un campo recintato a Penza: «Non sanno dove si trovano, né se verranno spostati, non possono uscire e vengono sorvegliati». Una deportazione che però sembra per ora proseguire in una maniera non sistematica: mentre alcuni gruppi di cittadini ucraini vengono trasferiti in modalità che ricordano un confino, altri sono riusciti a scappare e a raggiungere la frontiera russa, per tornare in Ucraina. Una donna di Mariupol ha raccontato di essere riuscita a viaggiare fino a Pietroburgo e a passare il confine con l'Estonia, nonostante l'assenza del passaporto, sequestrato dai russi proprio per impedire l'espatrio dei profughi forzati: «Vogliono deportarci e assimilarci, come avevano fatto ai tempi di Stalin con altri popoli».
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