Fondato da Antonio Gramsci ma rifondato da Yasser Arafat
Testata: Data: 22/06/2002 Pagina: 15 Autore: un giornalista Titolo: Il pentimento di Arafat: ora accetterei il piano Clinton
Una presa in giro, una terribile beffa soprattutto per chi ha visto morire uccisi nei feroci attentati degli ultimi due anni i propri figli, mariti, genitori. Questo è il pentimento di Arafat.
Ma l’Unità sceglie di dare credito ancora una volta a questo capo terrorista infido e bugiardo che cambia opinione a seconda di come spira il vento, che usa i media come se fosse una star e che si trasforma nel giro di pochi giorni da lupo a pecorella (ma soltanto per chi ci crede).
Esaminiamo le notizie che De Giovannangeli riporta e quelle, più insidiose, che preferisce omettere.
"Ripartire da Camp David. Da quel piano Clinton allora rigettato, ma che oggi si dice pronto ad accettare come base per raggiungere la pace dei coraggiosi. Yasser Arafat affida il suo ripensamento ad una lunga intervista concessa all’autorevole quotidiano di Tel Aviv Ha’aretz.
"Ripensamento"? Come se anziché andare al cinema avesse scelto di andare a teatro??
Se invece di "ripensare" si fosse limitato a "pensare" due anni fa, più di 500 civili israeliani e molti di più quelli palestinesi sarebbero ancora vivi.
"Il leader palestinese dice di accettare le linee di un accordo di pace proposte dall’allora presidente Usa Bill Clinton nel corso della (infruttuosa) maratona diplomatica di Camp David (luglio 2000), che ebbe come protagonista, oltre a Clinton e Arafat, l’allora premier israeliano Ehud Barak"
Barak non fu solo "protagonista" ma colui che offrì il massimo che poteva per giungere alla pace.
Fu il primo premier israeliano che si spinse là dove nessuno dei precedenti leader era giunto: concedere Gerusalemme araba agli arabi-palestinesi, oltre alla costituzione di uno Stato di Palestina, alla restituzione dell’88% dei Territori e al rimpatrio di 10.000 rifugiati palestinesi.
Era un’occasione irripetibile per garantire la pace alle generazioni future, ma Arafat disse NO e preferì la strada della violenza e del terrore. Il seguito purtroppo è noto a tutti.
Ancora: "Un’apertura a cui se ne accompagnano altre, di non minore importanza: Arafat infatti si dice pronto a discutere modifiche delle linee armistiziali antecedenti la guerra dei Sei Giorni, e accetta in principio la sovranità israeliana nel rione ebraico della Città vecchia di Gerusalemme sul Muro del Pianto"
Il giornalista non si chiede come mai ci sono voluti due anni per giungere a questa "importante apertura"?
"Uno dei temi più spinosi toccati nell’intervista riguarda la lotta al terrorismo. Arafat imputa a forze straniere la responsabilità della recente ondata terroristica che ha provocato la morte di oltre 30 civili israeliani in pochi giorni".
Il giornalista evita di ricordare che l’ultimo attentato alla periferia nord di Gerusalemme, costato la vita a 7 civili israeliani è stato compiuto, come molti altri in precedenza, dal gruppo terroristico dei Martiri di al-Aqsa legato ad Al-Fath, il partito di Arafat e omette la notizia proveniente da ufficiali dell’intelligence (peraltro riportata da altri quotidiani) che il leader palestinese continua a sostenere le attività terroristiche anti-israeliane, aiutando i combattenti mediante una complessa rete di finanziamenti.
Dunque, non proprio un agnellino il nostro Arafat!
"Inoltre il presidente palestinese ricorda di aver adottato in passato misure severe contro Hamas, giungendo ad imporre gli arresti domiciliari al fondatore del movimento integralista, sceicco Yassin."
Quello che invece il giornalista non ricorda è che dopo due giorni ( di solito è il tempo massimo di permanenza nelle galere di Arafat) lo stesso sceicco è stato visto insieme ad alcuni collaboratori partecipare alle funzioni alla moschea.
E sempre la memoria un po’ labile impedisce a De Giovannangeli di ricordare ai lettori che proprio alcuni giorni fa il leader palestinese aveva definito "fascista" l’ingresso dei soldati israeliani a Ramallah e aveva anche accusato Israele di essere uno stato deciso a imporre, con la costruzione del muro, un regime di apartheid che avrebbe comportato nuove sofferenze al popolo palestinese.
La paura di essere scalzato come leader, la consapevolezza di non essere più un interlocutore credibile né per gli israeliani né per gli americani, qualunque sia il motivo che ha spinto Arafat ad annunciare questo "ripensamento", l’importante è non lasciarsi abbindolare dalle sue parole e non dimenticare mai – come dice il ministro degli Esteri Peres - "Che c’è sempre una grande differenza fra quello che dice e quello che fa".
Piccole Vittime israeliane nell’assalto alla colonia, piccole vittime palestinesi al mercato di Jenin, così recita il sottotitolo dell’articolo apparso su l’Unità del 22 giugno a pagina 11
"Medio Oriente, la strage dei bambini"
Non è la prima volta che il giornalista mette sullo stesso piano il massacro di bambini israeliani e l’uccisione involontaria di bambini palestinesi.
Se identico è il dolore ben diversa è la motivazione che ha condotto a quelle tragiche morti: da una parte l’intenzione deliberata di uccidere proprio quei bambini, con un odio che scaturisce dal profondo, dall’altra una tragica fatalità, frutto di un errore non voluto.
Dopo aver elencato i nomi delle vittime israeliane e palestinesi, scrive il giornalista:
"….vittime inconsapevoli di una sporca guerra che non conosce limiti e ignora ogni pietà"
Combattere una guerra non significa entrare in una casa, puntare un’arma contro tre bambini, guardarli in faccia prima di ucciderli a sangue freddo. Non è "la guerra" che ignora ogni pietà ma il terrorista che dinanzi a quei visini impauriti che si chiedevano perché dovessero morire non ha avuto tentennamenti e ha aperto il fuoco!
Evidentemente per il giornalista non c’è differenza fra uccidere deliberatamente e uccidere per errore, senza alcuna volontà di fare del male a bambini innocenti.
Prosegue: "All’attacco terroristico dell’altra notte a Itamar Israele ha risposto scatenando una massiccia offensiva militare che ha portato alla rioccupazione di sei città e villaggi autonomi in Cisgiordania".
Le offensive militari sono sempre "massicce", gli attacchi terroristici non sono mai feroci.
Ancora: " L’episodio più grave avviene a Jenin. La popolazione, riferiscono fonti palestinesi, (sicuramente affidabili!!) era uscita dalle case in mattinata, dopo aver appreso che il coprifuoco era stato revocato per alcune ore allo scopo di consentire l’approvvigionamento di generi alimentari. "Avevano fame, volevano pane, così sono andati al mercato per comprarne un po’. E gli israeliani hanno aperto il fuoco" – racconta Haider Irsheid, governatore ad interim del distretto cisgiordano. Ed è in questo frangente che vengono colpiti a morte i tre bambini"
Gli israeliani erano proprio lì, appostati e non aspettavano altro che di prendere la mira e uccidere quei poveri bambini – in sintesi è quanto "suggerisce" il giornalista.
In realtà non vi era stato alcun annuncio di revoca del coprifuoco da parte dell’esercito israeliano; soltanto voci non ufficiali fra la popolazione ne avevano dato notizia.
Nel frattempo mentre alcuni soldati stavano perquisendo delle abitazioni alla ricerca di terroristi, un gruppo di palestinesi, contravvenendo al coprifuoco, si stava dirigendo nella loro direzione. Un tank che accompagnava i soldati aveva sparato due colpi di avvertimento allo scopo di disperdere il gruppo. Disgraziatamente uno dei colpi esplodeva vicino ai palestinesi uccidendoli.
Ancora: Un portavoce di Tsahal, l’esercito dello Stato ebraico ammette l’"errore". Ma il riconoscimento dell’"errore" non cancella l’orrore per quei bambini morti mentre cercavano un po’ di pane".
Lungi dal cancellare l’orrore per la morte di quei bambini, vorremmo sottolineare che da una parte c’è uno stato democratico che si trova a combattere una guerra che non ha voluto con un esercito impegnato quotidianamente in operazioni militari per fronteggiare un terrorismo feroce e disumano e che comunque ammette l’errore e si scusa, dall’altra parte una popolazione che esulta ad ogni nuovo attentato e i cui leader nel condannare gli attentati (quando lo fanno) non hanno mai avuto parole di pietà verso le vittime. Per loro stessa ammissione, "gli attacchi sono un danno per la causa palestinese, non portano libertà e indipendenza al popolo, ma accrescono il numero dei paesi che appoggiano l’occupazione israeliana". Ecco la loro vera preoccupazione!!
Riportiamo infine la breve cronaca, sapientemente interpretata, di quanto è accaduto dopo il funerale della famiglia Shabo a Itamar.
"Sangue chiama sangue e i funerali della famiglia Shabo a Itamar hanno avuto un seguito di violenza efferata. Gruppi di coloni esasperati si sono voluti trasformare in giustizieri e, subito dopo il rito funebre, danno il via ad una vera e propria caccia all’arabo incendiando campi e alcune case vicino a Nablus e uccidendo un giovane palestinese di 22 anni che aveva tentato invano di opporsi alla violenza dei fanatici vendicatori"
"Violenza efferata", "giustizieri", "fanatici vendicatori", gli aggettivi non mancano al nostro giornalista per definire un gruppo di abitanti (finiamola di chiamarli coloni!!) di Itamar che, esasperato da mesi di terrore e violenze, ha reagito.
Ha reagito perché ogni giorno vede i propri figli massacrati, ha reagito perché in qualsiasi momento del giorno o della notte un terrorista palestinese può fare irruzione nelle loro case e compiere una strage, ha reagito infine perché dinanzi all’impossibilità di vivere una vita normale la disperazione soverchia ogni sentimento razionale.
Vorremmo infine suggerire una riflessione: perché i terroristi che si fanno saltare in aria trascinando con sè decine di civili inermi sono considerati poveri palestinesi "disperati", "privi di un futuro" , "senza alcuna speranza", mentre gli israeliani, stanchi di morire, se reagiscono si guadagnano l’etichetta di "fanatici vendicatori"?
Invitiamo i lettori di I.C. a esprimere le loro opinioni su questi articoli scrivendo alla redazione de L'Unità lettere@unità.it