Riscattare gli ostaggi? Un business che funziona
Analisi di Michelle Mazel 

Terroristi di Hamas
Quest'anno  l'Iran ha brillantemente dimostrato di sapere come manipolare i Paesi  occidentali per raggiungere i suoi scopi. Uno dei suoi agenti viene  colto in un caso flagrante di spionaggio o sta per compiere un  attacco? Per farlo rilasciare, niente di più semplice. Basta fermare un  ricercatore o un turista che ha avuto la pessima idea di recarsi nel  regno degli Ayatollah. È auspicabile, ma non indispensabile, che si  tratti di un cittadino del Paese che detiene l’agente. Le proteste di  innocenza del malcapitato, accusato di un crimine immaginario, saranno  vane, così come lo sarà l'indignazione dei media. 
Anche  gli interventi diplomatici saranno inutili. Una giustizia prona agli  ordini si affretta a condannare l'ostaggio, perché di un ostaggio si  tratta, a pesanti punizioni nelle sinistre galere il cui nome stesso  ispira orrore.  Presto o tardi, i negoziati inizieranno in segreto. Un  anno, a volte due anni dopo, l'agente iraniano viene consegnato alle  autorità del suo Paese mentre l'ostaggio viene portato in aeroporto per  imbarcarsi sull'aereo che lo porta in libertà. I media occidentali  salutano in coro il felice esito di una tragedia dalla quale la vittima  difficilmente si riprenderà, mentre si diffondono commenti scandalizzati  sulle pratiche di  Teheran.                                                                                         
Questi stessi media, tuttavia, tacciono  stranamente sull'uso di ostaggi da parte delle autorità di Gaza per  liberare i loro prigionieri che sono nelle carceri israeliane e che  presentano come valorosi combattenti in una giusta lotta  contro “l'occupante sionista”. Si sa bene che secondo lo Statuto di  Hamas, l'obiettivo di questa organizzazione, ritenuta terrorista da  molti Paesi, è quello di distruggere Israele per fondare un califfato  islamico sulle sue rovine. Il suo slogan, “Dal fiume al mare la  Palestina sarà libera” - il fiume è il Giordano e il mare, il  Mediterraneo - non lascia spazio ad alcuna ambiguità.
I  negoziati in corso in questo momento mediante l'intermediazione degli  egiziani dovrebbero, allo stesso modo, coinvolgere alcune  coscienze. Hamas chiede a Israele di rilasciare dozzine dei suoi  militanti con un pesante passato terroristico, responsabili  dell'assassinio di civili indifesi. La controparte? I poveri resti di  due soldati israeliani morti negli scontri del 2014. Le loro famiglie,  che vogliono dare loro una degna sepoltura, stanno facendo pressione sul  governo. Come “bonus” Hamas è disposto a cedere generosamente a  Israele, Hicham al-Sayeed e Avéra Mengistu, due civili israeliani, il  primo, un beduino, il secondo, nato in Etiopia, entrati nella Striscia  di Gaza deliberatamente o per errore. Si dice che entrambi soffrano di  disturbi psichiatrici. Alla Croce Rossa non è stato permesso di  visitarli e le loro famiglie non hanno avuto loro notizie.
 Nikolai Mladenov
Nikolai Mladenov
Ci  sarebbe piaciuto, ancora vorremmo sentire, Nikolai Mladenov  pronunciarsi in merito a questa vicenda, lui che fino alla scorsa  settimana è stato il coordinatore delle Nazioni Unite per il processo di  pace in Medio Oriente, lui che ha spesso fatto prediche a Israele, e  Joseph Borrel, responsabile della politica estera dell'Unione Europea e,  perché no, anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite in  persona. Ci sarebbe piaciuto, vorremmo ancora che spiegassero nel modo  più cortese, più diplomatico ma con la massima fermezza ai dirigenti di  Hamas cosa c'è di disumano, di ripugnante in questo sordido  mercanteggiamento. Purtroppo, così non è, e verosimilmente non sarà. 

Michelle Mazel scrittrice  israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il  marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del  Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de  Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume  della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".