Ecco la Sinistra 5 stelle
Commento di Diego Gabutti 
Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio 
Sul  fronte progressista (dove ha spopolato per settant’anni la sinistra  preistorica di Togliatti, Berlinguer, Occhetto, Veltroni, D’Alema e  Ditta cantante) c’è stato un colpo di scena: è nata la Sinistra 5  Stelle. Prima la dittatura del proletariato: il Gulag, La Corazzata  Potemkin, Baffone, Berija, l’Armata Rossa. Poi la «democrazia», vuoi  «popolare» vuoi «progressiva», dei carri armati a Budapest e Praga, del  compromesso storico, della P38 e dei compagni che sbagliano (tipo  Breznev in Afghanistan e Pol Pot in Cambogia). E adesso, allegria, la  democrazia «diretta» della Piattaforma Rousseau, di Nicola Zingaretti e  Davide Casaleggio, di Beppe Grillo e Dario Franceschini, dei radical  chic e di quelli che il presidente campano, Vincenzo De Luca, chiama  efficacemente «le mezze pippe» (all’inizio soltanto «Dibba» e Di Maio,  poi l’intero baraccone dei fenomeni viventi). Questo per dire il gran  quadro storico dei progressi dello spirito umano. E anche per dire che più fuori tema di così la «sinistra» ex, post,  vetero e neo comunista non era mai andata (e pensare che soltanto negli  ultimi vent’anni, ci sono stati «l’Ulivo mondiale» di Romano Prodi e  Bossi e Fini «costole della sinistra»). Né era mai caduta più in basso.  Nel tempo dei tempi, quando il PCI anelava ad allearsi con la DC per  invidia del partito socialista, i suoi capi cercavano d’arruffianarsi  Giulio Andreotti, Aldo Moro e Amintore Fanfani, gente dura e  rispettabile, mentre adesso il PD sbava dietro Laura Castelli,  «Giuseppi» Conte e Vincenzo Spadafora, duri soltanto di comprendonio, e  poco presentabili persino agli occhi degli editorialisti di Repubblica e  del Foglio, che pure tifano per la Sinistra ½ Pippa in odio agli ex  lombardi immaginari (oggi italiani chimerici) di Matteo Salvini. 
Pietro  Ingrao fremeva per la barba tabaccosa di Fídel, oggi Gianni Cuperlo  stravede per le treccioline di Greta. C’erano le Frattocchie, adesso c’è  la Grillo e Casaleggio Associati. Un tempo, quando le capitava di  straparlare in materia economica, la sinistra mesozoica inneggiava ai  piani quinquennali e ai trionfi dell’industria pesante in URSS (altro  che green economy). Oggi esulta per la tassa sui voli low cost e sulle  merendine. Un tempo la classe operaia doveva «dirigere tutto» e oggi a  dirigere tutto sono gli ex bibitari partenopei e i fratelli sfigati e  fuori parte degli attori più o meno (meno che più) famosi.  Non è soltanto un bel quadro storico dei progressi dello spirito umano. È  anche un bel colpo d’occhio. Scampati a Tangentopoli, sopravvissuti a  Berlusconi, eccoci qui a rimirare Nicola Zingaretti, Chiara Appendino (o  Virginia Raggi, a scelta) e Gigio Di Maio che si prendono a braccetto e  avanzano, danzando e cantando, sul Sentiero Giallo, Over the Rainbow.  Come la piccola Dorothy, come il Leone Fifone e l’Uomo di Latta, il  segretario democratico e i suoi nuovi alleati sono diretti alla Città di  Smeraldo, dove regna il Mago di Oz (un mago farlocco, per restare in  tema d’imposture). Manca, fateci caso, l’Uomo di Paglia: Matteo Renzi si  è infatti dileguato, uscendo a sorpresa dal film, ma senza rinunciare  al controllo del cast e della sceneggiatura. Prima ha costretto il Leone Fifone (cioè Zingaretti, per non far nomi ma  cognomi) a fidanzarsi con Dorothy Appendino e con l’Uomo di Latta (Di  Maio, balocco telecomandato stile Toy Story della Grillo e Casaleggio  Associati). Ottenuto quel che si prefiggeva, cioè una coproduzione tra  sinistra mesozoica e mezze pippe, Renzi è tornato a mangiare pop corn,  come all’inizio della legislatura. Capotavola invisibile della  maggioranza di governo, il fondatore d’Italia Viva smanetta tranquillo  l’iPhone in attesa che la Sinistra ½ Pippa si sfracelli contro le  politiche dell’immigrazione, la legge di bilancio, il debito in crescita  perenne, le belinate di LeU, il PIL in caduta libera, le gaffe  prevedibilmente memorabili del ministero degli esteri, quelle non meno  scontate e catastrofiche di Palazzo Chigi, l’eterno ritorno di Pierluigi  Bersani, le liste uniche in Umbria. Lui, Renzi, è insieme il regista,  l’autore della storia e il critico cinematografico: dopo aver  distribuito le parti, s’accinge a distribuire anche bacchettate sulle  dita e pizzicotti sulle guance ai protagonisti (ma saranno più le  bacchettate che i buffetti, conoscendo loro e lui). 
Morale:  non c’è bisogno d’un astrologo per profetizzare che Gigetto e  Zingaretti, simili al cieco che aiuta lo zoppo a traversare una strada  molto trafficata, porteranno il populismo e la sinistra alla rovina  sotto lo sguardo impassibile di Matteo Renzi. Come ha scritto Angelo  Panebianco sul Corriere di domenica, «sarebbe anche uno spettacolo  divertente, se non riguardasse proprio noi» (e se amassimo l’orrido).  Complimenti, in ogni modo, al regista dell’operazione, che dopo aver  incarnato, col referendum costituzionale, la sola chance che abbia avuto  la sinistra, negli ultimi venticinque anni, d’uscire dal suo coma  massimalista, e dopo aver sgombrato il campo dal salvinismo sovranista,  s’appresta a staccare la spina anche alla Sinistra ½ Pippa, alla quale  tutti auguriamo una fine pietosa. 
Diego Gabutti
Già collaboratore del Giornale (di Indro Montanelli), di Sette (Corriere della Sera), e di numerose testate giornalistiche, corsivista e commentatore di Italia Oggi,   direttore responsabile della rivista n+1 e, tra i suoi libri:   "Un’avventura di Amedeo Bordiga" (Longanesi,1982), "C’era una volta in   America, un saggio-intervista-romanzo sul cinema di Sergio Leone"   (Rizzoli, 1984, e Milieu, 2015); "Millennium. Da Erik il Rosso al   cyberspazio. Avventure filosofiche e letterarie degli ultimi dieci   secoli" (Rubbettino, 2003). "Cospiratori e poeti, dalla Comune di Parigi   al Maggio'68" (2018 Neri Pozza ed.)