In Yemen, una rivolta inaspettata dà un colpo di freno alle speranze di pace 
Analisi di Zvi Mazel 
(Traduzione di Yehudit Weisz)

Terroristi Houthi filo-iraniani 
Da  cinque anni, lo Yemen è dilaniato da una sanguinosa guerra civile tra  gli Houthi, gli sciiti  zayditi del Nord del Paese e il legittimo governo a maggioranza sunnita.  Gli sforzi delle Nazioni Unite e dell'America per trovare un  compromesso o, per lo meno, per far dialogare le parti sono falliti,  probabilmente a causa dell'intervento di grandi e piccole potenze,  alcune delle quali vedono il conflitto come un mezzo per far avanzare la  loro politica nella regione, le altre si preoccupano soprattutto dei  loro interessi economici. Un nuovo attore apparso sulla scena il mese  scorso rende la situazione praticamente inestricabile. È il “Consiglio  provvisorio dello Yemen del Sud” , che lotta per l’indipendenza  ritrovata di quello che fu uno Stato separato per secoli. Mentre ieri  erano ancora alleate, oggi le sue forze attaccano le truppe governative e  hanno sequestrato Aden e la sua regione. A questa spiacevole sorpresa  per il Presidente Abd Rabbo Mansour Adi, si è aggiunto un  altro duro  colpo: gli Emirati Arabi Uniti stanno sostenendo i ribelli.  Si ricorderà che questi  Paesi avevano inviato un contingente nello  Yemen nel quadro di una coalizione formata dall'Arabia Saudita, per  aiutare il governo nella sua lotta contro gli Houthi. Ora i suoi aerei  sono sospettati di aver bombardato delle postazioni controllate  dall'esercito ufficiale. Il motivo è che gli Emirati Arabi Uniti  vogliono sviluppare un'infrastruttura nei porti del Sud quale parte del  ramo marittimo della "Nuova via della seta", l'ambizioso progetto cinese  di sviluppare collegamenti con il resto del mondo. La Repubblica dello Yemen è una creazione recente. Dalla notte dei  tempi, Nord e Sud avevano  una propria entità e identità. Nel 1832 la  Gran Bretagna aveva occupato il porto di Aden che dominava l'accesso  allo Stretto di Bab el Mandeb per garantirne il controllo sulla rotta  delle Indie.  Inoltre gli inglesi avevano occupato anche gran parte  dell'entroterra, stabilendo di fatto un'entità yemenita distinta.  A  quell’epoca il Nord del Paese era dominato da più di un millennio da un  regime religioso, quello degli Zayditi, sebbene fosse stato integrato  per diversi secoli dall'Impero ottomano. Nel 1918, dopo il crollo di  questo Impero, il Nord divenne un Paese indipendente. Il regime  teocratico fu rovesciato nel 1962 da un colpo di stato militare  sostenuto da Gamal Abdel Nasser. Nel 1967 fu la volta del Sud ad ottenere l'indipendenza dalla Gran  Bretagna. Nell’orbita dell'Unione Sovietica prese il nome di “Repubblica  Democratica Popolare dello Yemen”. 

Terroristi Houthi in Yemen 
La  caduta dell'URSS, il suo principale sostegno, nel 1990 l’aveva portato  ad accettare un'unione con il Nord. Nacque così la Repubblica dello  Yemen. Un’unione, dopo tutto, mal accettata da una popolazione che  aspirava a rimanere indipendente. Nel 1994 una vera guerra civile oppose  il Nord al Sud. Il Sud fu sconfitto, ma le scaramucce continuarono; nel  2007 venne creato ”il movimento del Sud” per far riconoscere la  specificità della regione nell’ambito dell’unione. Il suo fallimento non  fece che rafforzare le aspirazioni all'indipendenza. Gli Houthi, concentrati principalmente nel Nord del Paese, avevano  protestato contro quella che consideravano la politica discriminatoria  del governo centrale nei loro confronti. Dopo diversi anni di scontri e  fugaci tregue, nel 2014 hanno invaso parte del centro e del Sud del  Paese e hanno occupato la capitale Sanaa, Taez e i porti strategici di  Aden e Hodeida, costringendo il Presidente a fuggire, prima ad Aden, che  lui dichiara capitale provvisoria, e dopo che gli Houthi avevano  conquistato anche Aden, cerca poi di governare dalla vicina Arabia  Saudita. Dal 2015, Riyad ha assunto la guida di una coalizione di otto Paesi per  essere aiutata, dato che l'Iran sciita, suo nemico giurato, si era  schierato con gli Houthi, fornendo loro i mezzi logistici e finanziari  per continuare la lotta e lanciare attacchi contro strutture strategiche  in Arabia Saudita. Da parte loro, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti  sostengono il governo legittimo e Washington fornisce assistenza non  meno rilevante all’Arabia Saudita e agli Emirati. In questo tipo di  conflitto, in cui i belligeranti possono mettere in campo solo forze  molto modeste, questi interventi stranieri comportano l'uso di aerei da  combattimento e bombardieri che fanno più vittime civili che militari.  Ciò ha portato il Congresso degli Stati Uniti a chiedere due volte al  Presidente Trump di interrompere le spedizioni di armi ai Paesi in  guerra. La richiesta viene respinta due volte da un veto presidenziale. Le forze della coalizione sono state in grado di liberare immediatamente  Aden, ma non Sanaa o Hodeida, il porto strategico che domina la  navigazione nel Mar Rosso del Sud e attraverso il quale passano gran  parte del commercio estero yemenita, aiuti umanitari, armi e munizioni  degli Houthi. Nel 2018, dopo il fallimento del crollo delle forze della  coalizione, il rappresentante delle Nazioni Unite è riuscito a  convincere le due parti a incontrarsi a Stoccolma; è stato raggiunto un  accordo per ritirare tutte le forze dal porto per consentirne il  corretto funzionamento; questo accordo è rimasto lettera morta.   La rivolta del Consiglio dello Yemen del Sud ha ulteriormente  rimescolato le carte, soprattutto perché si tratta di una fonte di  tensione tra l'Arabia Saudita e i suoi tradizionali alleati degli  Emirati Arabi Uniti. Mentre l'Aeronautica Saudita ha continuato i suoi  attacchi contro gli Houthi, gli Emirati avevano iniziato all'inizio di  quest’anno a ridurre le loro truppe nel Sud, e a rafforzare il loro  sostegno a quelle del Movimento di Liberazione del Sud.  Per molto tempo gli Emirati Arabi Uniti hanno prestato particolare  attenzione ai porti del Golfo di Aden e del Mar Rosso meridionale,  un'area minacciata non solo dall'Iran e dai suoi agenti Houthi, ma anche  perché è obiettivo di Turchia e Qatar. Dubai, uno dei cinque Stati  degli Emirati Arabi Uniti, è proprietario della società DP World, il  terzo operatore portuale a livello mondiale.  Per accrescere i loro interessi, gli Emirati Arabi Uniti hanno stretto  accordi con i Paesi rivieraschi per sviluppare e gestire diversi porti  come Berbera, Somaliland, Bossaso nel Paese di Pount (due regioni  autonome in Somalia), Assab in Eritrea, che hanno portato ad una  cooperazione con la Cina, tesa a istituire una rete di porti tra Asia ed  Europa per facilitare il transito delle sue merci nel quadro della  “Nuova via della seta”. Aden e altri porti nello Yemen del Sud ne fanno  parte. Per suggellare la loro cooperazione, i due Paesi hanno firmato a  luglio 2018 un accordo, che consente alla Cina di sviluppare il porto  degli Emirati di Jebel Ali e renderlo uno dei principali centri di  transito della nuova via della seta. Il commercio tra questi due Paesi  ha superato i 70 miliardi di dollari nel 2018 e quasi duecentomila  cinesi si sono stabiliti a Dubai. DP World ha strutture ad Aden e gli  Emirati Arabi Uniti vogliono mantenere buoni rapporti con il Sud e  desiderano verosimilmente che diventi indipendente . Questo non è il  caso dell'Arabia Saudita. È dall'altra parte del suo lunghissimo confine  con il Nord che si trovano le principali concentrazioni di Houthi, e  Riyadh è a favore di un compromesso con il governo centrale che  riporterebbe gli Houthi all'interno dell'Unione e neutralizzerebbe la  minaccia sul suo confine meridionale. A tal fine, l'Arabia Saudita ha  invitato i rappresentanti del Movimento del Sud a venire a Jedda, per  trovare un compromesso con i rappresentanti del Presidente Hadi. Ricordiamo che l'Arabia e gli Emirati sono i principali alleati degli  Stati Uniti nel Golfo e un baluardo contro la politica aggressiva  dell'Iran. Washington sta compiendo notevoli sforzi per riconciliarli e  trovare un modus vivendi con gli Houthi, che agiscono per conto  dell'Iran. Quest'ultimo, da parte sua, sta facendo sforzi non meno  rilevanti, per silurare un'iniziativa che lo priverebbe di una leva  importante nel suo confronto con l'Arabia Saudita e gli Stati Uniti. 

Zvi  Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al1992 è  stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È  stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore  Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea  e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. E' ricercatore senior  presso il Jerusalem Center for Public Affairs. La analisi di Zvi Mazel  sono pubblicate in esclusiva in italiano su Informazione Corretta