Qualunque articolo sulla barriera difensiva israeliana, e sui disagi che causa alla popolazione palestinese dovrebbe incominciare, per elementare obbligo di rispetto dei fatti e dell'equità, con il ricordare le stragi del terrorismo suicida, e dunque le vite umane che quella barriera ha contribuito a salvare.
Il famigerato "muro" non è affatto "una barriera di difesa dagli attacchi dei kamikaze" soltanto per "gli israeliani", come scrive Umberto De Giovannangeli sull' UNITA' del 2 ottobre 2008. Lo è nei fatti, e per qualunque persona intellettualmente onesta.
Qualunque articolo sui check point che costellano la Cisgiordania dovrebbe parimenti ricordare le vittime del terrorismo, incluse quelle fatte tra i "coloni", cittadini israeliani che meritano protezione da parte dello Stato esattamente come gli altri.
Qualunque discussione sui confini dello Stato di Israele dovrebbe tener presente l'estrema vulnerabilità di quelli precedenti alla guerra del 1967. Vulnerabilità che rendeva allora e tornerebbe a rendere in futuro difficile, se non impossibile una pace stabile.
Tutte queste regole di corretta informazione sono completamente disattese da u.d.g. , che costruisce un unilaterale atto d'accusa contro Israele, infarcito dei consueti stereotipi dei "poveri palestinesi", dei "cattivi coloni" che rubano la terra, i soldati, dei cattivi soldati che esercitano un potere arbitrario.
Abbondano anche le espressioni rituali delle peggiore propaganda d'odio contro Israele: "bantustan", "ghetti", "prigioni a cielo aperto"; non manca nulla di quel che si poteva prendere dal lessico delle demonizzazione.
Di seguito, il testo completo:
Il ragazzo invalido fa fatica a superare il muro. Si arrampica, annaspa, lancia un grido di dolore. E poi si lascia cadere nelle braccia degli infermieri della Mezzaluna rossa palestinese. Il tutto sotto lo sguardo distratto di un giovane soldato israeliano in assetto di guerra. Scene di vita quotidiana ad Abu Dis, primo sobborgo arabo «murato» all'uscita di Gerusalemme, in direzione della Cisgiordania. Youssef - è il nome del ragazzo infermo - ci racconta in lacrime la sua storia: «Due anni fa, una pallottola di gomma sparata da un soldato israeliano durante una manifestazione a Ramallah mi ha colpito alla gamba. Da allora faccio fatica a muovermi. Devo essere trasportato in carrozzella e per avere le cure necessarie oggi devo superare questo maledetto muro per raggiungere l'ospedale. Mi creda, è un inferno». Un inferno di cemento e di filo spinato che si snoda per centinaia di chilometri.
Per gli israeliani è una barriera di difesa dagli attacchi dei kamikaze; per i palestinesi è il Muro della sofferenza e dell'umiliazione. Mahmud, 7 anni, è cresciuto assieme al Muro. Ha visto quell'ombra di cemento proiettarsi sulla sua abitazione. Oscurandone la vista. Il Muro ha trasformato la loro vita in un incubo. È la realtà angosciante che segna la quotidianità dei 200 abitanti del villaggio di Al-Nueman, piccolo villaggio palestinese situato tra Gerusalemme e Betlemme. Eravamo stati ad Al-Nueman un anno fa. A un anno di distanza, la realtà è ancor più angosciante. Gli abitanti sono intrappolati tra Gerusalemme, nella quale non possono entrare in quanto residenti della Cisgiordania, e il Muro che li separa dalla Cisgiordania stessa (in quanto le loro case sono state annesse a Gerusalemme). L'unico collegamento tra il villaggio e il mondo esterno è un posto di blocco in Cisgiordania sul limite del suo territorio, attraverso cui solo i residenti di Al-Nu'eman possono entrare o uscire: «Siamo chiusi in una prigione, è una condizione disperata», afferma Mohamed, 72 anni, uno degli anziani di Al-Nu'eman. Per andare a scuola, al lavoro, a comprare il cibo, gli abitanti dipendono dai «capricci» dei soldati al checkpoint. A nessuno - conferma l'anziano Mohamed - è permesso di oltrepassarlo tranne agli abitanti del villaggio: nessun nipote può far visita ai nonni, il medico non può assistere i malati, nessuna coppia appena sposata può mettere su casa nel villaggio della sua famiglia. Al-Nu'eman è diventata una prigione a cielo aperto.
Allo stesso tempo, l'espansione dell'insediamento ebraico di Har Homa e l'anello stradale previsto attorno a Gerusalemme costeggeranno il villaggio da ovest a est, demolendo ulteriori abitazioni. La municipalità di Gerusalemme non offre servizi al villaggio, e nessun fornitore di servizi dalla Cisgiordania ha il permesso di entrare, lasciando il villaggio in una situazione di assoluta precarietà in cui perfino i servizi di base quali gas, elettricità e acqua corrente sono minacciati.
Se Gaza è una enorme prigione a cielo aperto, la Cisgiordania è una terra frantumata in mille ghetti. Al check point di Qalandya, che separa Gerusalemme dalla West Bank, si procede a rilento, tra scarichi di camion e cumuli di immondizia che rendono l'aria irrespirabile. Ad un tratto si sente gridare. Un'anziana palestinese si rivolge ad un giovane soldato israeliano: "Ho tutti i documenti in regola, ho il permesso che mi avevate chiesto: perché ancora non mi lasciate passare dall'altra parte?". La sua domanda resta senza risposta. 'angoscia è compagna di viaggio, e cresce di chilometro in chilometro, perché questo Muro sembra davvero non finire mai. Nahalin, Hussan, Batir, Walaja: sono quattro villaggi nel cosiddetto Triangolo Cristiano a sud di Gerusalemme. I quattro villaggi sono circondati dal Muro, intrappolati da tutti i lati. Attraversare ciascuna delle enclavi, da un muro all'altro, richiede 10-20 minuti di cammino. Ogni abitante di questi villaggi non è mai lontano dal muro più di un chilometro. Non solo i terreni agricoli, ma le scuole, gli ospedali, le cliniche, i mercati, i negozi, i luoghi di lavoro, sono tutti fuori. Per uscire bisogna passare un cancello, attraverso un check-point dell'esercito israeliano. Il cancello sarà probabilmente chiuso, perché è aperto solo un paio di ore al giorno, o perché qualche autorità ha deciso di dichiarare lo stato di massima allerta, o perché è una festività ebraica, o più banalmente perché il soldato incaricato non si è svegliato in tempo. E se accade che il cancello è aperto, racconta Amal, 21 anni, il soldato potrà lasciarti passare (se hai il permesso necessario), oppure no (per qualsiasi motivo, o senza alcun motivo). Ci sono dozzine di villaggi accerchiati in questo modo in tutta la Cisgiordania. Villaggi come Faqqua, vicino a Jenin: il Muro non solo separa i contadini dalla maggior parte della propria terra, ma circonda tutto il villaggio.
Il nostro viaggio al di là del Muro, è un viaggio nella disperazione di un popolo di ingabbiati. «Il Muro - denuncia Yasser Abed Rabbo, segretario del Comitato esecutivo dell'Olp, - ha spezzato in due decine di villaggi palestinesi, ha provocato la distruzione di centinaia di ettari di terreni palestinesi coltivati e altrettanti sono stati confiscati da Israele. Con il Muro Israele ha inglobato una parte significativa di territorio palestinese, separando peraltro Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania. Basta prendere una carta geografica aggiornata per rendersene conto». E la carta geografica, oltre che una diretta percezione visiva, evidenzia che a Gerusalemme e nella sua periferia il muro è incontestabilmente un muro più alto di quello di Berlino, Abu Dis, il monte degli Ulivi, Beit Kanina, Kalandia e più a sud la strada che porta a Betlemme sono l'angosciante emblema di una dignità umana calpestata. Come quella del piccolo Mahmud, o dell'anziano Mohamed. "La Cisgiordania è oggi frammentata in quattro settori: il Nord (Jenin, Nablus e Tulkarem), il Centro (Ramallah), il Sud (Hebron) e Gerusalemme est che assomigliano sempre di più ai Bantustan del Sudafrica. Le restrizioni alla circolazione imposte da un rigido sistema di autorizzazioni, rinforzato da circa 520 check point e blocchi stradali, assomigliano al sistema del «lascia-passare» (in vigore nel Sudafrica dell'apartheid) applicato con una severità che va molto al di là e non può essere giustificata con il diritto all'autodifesa da parte d'Israele», rileva John Dugard, già inviato speciale dell’Onu per la tutela dei diritti umani nei Territori palestinesi.
Ramallah dista da Gerusalemme una ventina di chilometri. Per raggiungerla abbiamo impiegato quasi due ore, in buona parte trascorse in attesa ad uno dei sei check-point che abbiamo incontrato. «Il Muro, una volta completato dal nord della Cisgiordania a Gerusalemme, farà sì che Israele si sarà annesso il 7% della West Bank, fra cui 41 colonie ebraiche. Laddove attraversa aree urbane - il 10% del percorso, ma con la più alta densità demografica - il Muro è composto da blocchi di cemento armato alti fino a 9 metri. Nelle aree rurali, invece, il Muro assume la forma di barriera larga dai 50 agli 80 metri e composta da vari elementi: filo spinato, trincee, rete metallica, sensori di movimento, pista di pattugliamento e striscia di sabbia per il rilevamento delle impronte. Quella barriera spezza villaggi. Divide famiglie. Distrugge terreni agricoli. E crea enclavi (aree in cui la gente sarà totalmente circondata dal muro) entro le quali vivono già oltre 200mila palestinesi.
Secondo un recente rapporto del movimento israeliano «Peace Now», sono in fase di costruzione nelle colonie israeliane in Cisgiordania circa mille edifici, per un totale di 2.600 appartamenti. Il 55% di questi edifici si trova a est della Barriera di sicurezza costruita da Israele a ridosso della linea di demarcazione con la Cisgiordania. «Peace Now» sostiene che il governo israeliano cerca peraltro di «cancellare» quella linea di demarcazione mediante la costruzione di zone abitate fra il territorio israeliano e zone popolose di insediamento in Cisgiordania. Questo è il futuro.
Il passato-presente di una colonizzazione incessante, asfissiante, è racchiuso nel rapporto di oltre 1000 pagine redatto, per conto dell'Istituto israeliano per la ricerca economica e sociale. Da Roby Nathanson. Economista ed ex consigliere di Yitzhak Rabin, Nathansono ha scoperto che in Cisgiordania, al 2006, gli israeliani avevano costruito per 15 milioni di metri quadrati; avevano edificato 39.483 appartamenti al costo di 43 miliardi di dollari; 18.462 ville per 4,7 miliardi; 140 centri commerciali per 150 milioni; 656 edifici pubblici per 454; 322 sinagoghe per 113; 255 asili per 382. Per connettere fra loro le colonie, le autorità israeliane avevano asfaltato oltre mille chilometri di strade al costo di 1,6 miliardi di dollari. E negli ultimi due anni la crescita degli insediamenti non si è arrestata. Al di la del Muro, cova una rabbia, profonda, diffusa. Pronta ad esplodere.
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