Salta fuori il cuore rosso dei vecchi trinariciuti
meglio il fondamentalista islamico che l' "amerikano"
Testata:
Data: 29/09/2008
Pagina: 22
Autore: Bruno Gravagnuolo
Titolo: Ramadan contro Kagan
Di sharia, di islamizzazione dell'Europa, delle "colpe" degli intellettuali ebrei che sostengono Israele, dello stesso diritto all'esistenza di Israele e delle "giustificazioni" del terrorismo (tutti temi cari a Tariq Ramadan), si può discutere.
Del modello americano di libertà e democrazia e della sua "esportazione", cara agli odiati "neocon", invece, no. Quel modello resta, per certi post-comunisti che sembrano non aver per nulla digerito la sconfitta della guerra fredda, il vero "male assoluto". Qualsiasi altra cosa, compreso l'islamofascismo, è meglio.

E quanto si può ricavare dalla lettura della duplice recensione di Bruno Gravagnuolo  pubblicata da L'UNITA' del 29 settembre 2008. I due testi messi a confronto sono "Islam e libertà" del propagandista  fondamentalista Tariq Ramadan  e "Il ritorno della Storia e la fine dei sogni"dell'analista americano Robert Kagan.
Grandi elogi per Ramadan e netta condanna per Kagan, naturalmente.

Ecco il testo:

Due libri opposti, da leggere insieme, sullo scontro globale «di civiltà». Da un lato Tariq Ramadan, islamista ginevrino che insegna a Oxford, autore di un pamphlet che è autodifesa e proposta culturale: Islam e libertà. Sull’altro fronte Robert Kagan, già testa d’uovo al Dipartimento di Stato Usa e tra i massimi ispiratori della politica neocon: Il ritorno della Storia e la fine dei sogni. In ballo il rapporto geopolitico e culturale tra le civiltà, declinato da due autori agli antipodi. Cominciamo da Ramadan, oggetto in occidente di violente demonizzazioni, in base all’accusa di «ambiguità». Tariq sarebbe una specie di infiltrato islamico che parla una lingua biforcuta: simulatore di tolleranza. In realtà un apologeta del terrorismo. È un punto di vista paranoico, che il più delle volte si esime dalla lettura stessa dei testi. Ebbene non tutto quel che dice o fa Ramadan è persuasivo. Ad esempio è discutibile che i terroristi, annidati nelle metropoli dell’ovest, siano impregnati di mentalità occidentale e dunque contaminati dall’avversario. Certo, il terrorismo nasce in occidente storicamente, ma detto così rischia di apparire una scusante. Come pure sbagliò alla grande Ramadan, quando aderì al boicottaggio della Fiera del Libro a Torino dedicata ad Israele. Regalò un buon argomento ai suoi avversari, di là del fatto che quella Fiera poteva apparire unilaterale, a discapito del tema palestinese. Nondimeno il senso del «lavorìo» di Ramadan è inequivoco: favorire la laicizzazione dell’Islam. Combattere le sue interpretazioni dogmatiche e «letteraliste». Al fine di enucleare dal Corano una teoria dei diritti e della libertà, capace di incontrare i diritti universali maturati in Occidente nella sua lunga storia. Fatica improba, ma decisiva, che ricorda lo sforzo esegetico dei Lumi sulla Bibbia, quella che favorì la secolarizzazione e la fine delle guerre di religione. Ovviamente Ramadan parla ai «suoi», dalla sua sponda, e come «ponte» è in bilico tra due mondi: Islam e Occidente. Il che può dare a volte una sensazione di ambivalenza. Ma non c’è alcuna doppiezza satanica in questo. Solo l’inevitabile oscillazione di chi mescola due radici ed è figlio di due civiltà, pur essendo di orgini egiziane e imparentato con un esponente dei «Fratelli Musulmani». Non c’è antisemitismo, malgrado alcune tirate polemiche contro gli ebrei filoisraeliani, poi chiarite dallo stesso Ramadan nel loro senso politico. In realtà Tariq conduce una battaglia netta contro l’antisemitismo, e lo fa brandendo Maometto. Insomma, quella dell’islamista ginevrino è una lotta per distillare dalla tradizione islamica una sorta di gius-naturalismo coranico «latente». Da usare per la creazione di un «Islam europeo» in cui gli islamici non si sentano al margine o nemici, ma cittadini attivi come soggetti di diritto in uno stato di diritto. Altro elemento interessante in Ramadan è l’invito all’Occidente a riconoscere gli apporti storici dell’Islam, nella elaborazione della «ragione occidentale», troppo spesso intesa in chiave eurocentrica e integrista («le radici giudaico-cristiane»). Ramadan non è un laico radicale, è un credente. E a volte alcune sue posizioni - sui gay ad esempio - ricordano quelle cattoliche (non riconosce loro un diritto attivo alla «differenza»). Ma la direzione di fondo è giusta: va in senso laico e antifondamentalista. Tutt’altra musica con Kagan. In sintesi ecco la sua tesi: ci vuole un leader geopolitico nel nuovo disordine mondiale post-89. E non può essere che l’America, perchè la sua natura è benefica. Cosmopolita, illuminista, multietnica. Dunque, la sua egemonia svolge un ruolo liberatorio. Conosciamo i disastri di questa impostazione: Iraq, acuirsi del fondamentalismo. Ma la cosa più paradossale è il richiamo di Kagan al Kant cosmopolita. Assurdo, perché Kant nel 1794 denunciò l’oppressione e l’inganno delle guerre umanitarie, se mosse da interessi e da equivoci primati di civiltà. L’esatto opposto di quel che scrive Kagan.

Islam e libertà
di Tariq Ramadan
pp. 141, euro 9
Einaudi

Il ritorno della Storia e la fine dei sogni
di Robert Kagan
pp. 152, Euro 15
Mondadori

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