Riduzione della storia ebraica alla Shoah, "completa sovrapposizione tra Israele e Shoah" e tra Israele ed ebraismo, che ha come risultato, in Italia, "il paradossale slittamento a destra della comunità ebraica".
Le tesi dell'ultimo libro di Ariel Toaff piacciono a LIBERAZIONE che difende anche il precedente libro del professore che sosteneva sì una "tesi pesante" (la veridicità delle accuse antisemite di omicidio rituale), ma fu all'origine "uno scontro furibondo e soprattutto preventivo, visto che il libro non era ancora uscito pur essendo già stato unanimemente sconfessato".
In realtà, dopo l'uscita del libro di Toaff decine di recensioni degli storici più qualificati lo demolirono sotto il profilo scientifico. In realtà è la storiografia ebraica descritta da Toaff , vittimistica e unilaterale, ad essere "virtuale", esistendo solo nella sua polemica arretrata e strumentale. In realtà gli ebrei, come gli altri cittadini italiani, votano sia a destra che a sinistra, com'è loro diritto, ma il vero problema che Toaff e LIBERAZIONE preferiscono ignorare è la forza chel'odio per Israele ha nella sinistra italiana.
Ecco il testo dell'articolo di Stafania Podda, da LIBERAZIONE del 19 settembre 2008:
Può una storia di millenni essere compresa ed esaurita in un unico, pur tragico, passaggio? Può un'identità complessa, cosmopolita e ricca di contaminazioni, come quella ebraica, essere schiacciata da un passato di morte e condannata al ruolo di eterna vittima sacrificale? E' la Shoah a definire gli ebrei o è stata piuttosto la memoria dilatata e ritualizzata di quell'evento ad aver alterato l'identità ebraica?
Domande difficili e scomode, perché toccano un tabù che Israele ha superato da tempo ma che in Italia rimane tale, puntellato da automatismi di reazione e di risposta. Ariel Toaff, storico italiano che vive a Tel Aviv, lo affronta nel suo ultimo saggio Ebraismo virtuale (Rizzoli), senza preoccuparsi delle polemiche che verranno. Anzi, sollecitandole. D'altronde Toaff non è nuovo ai confronti accesi, questo saggio segue di pochi mesi quel Pasque di sangue che lo aveva fatto diventare il bersaglio del mondo accademico e religioso.
Il libro sosteneva una tesi pesante, quella per cui nelle confessioni estorte agli ebrei nel corso del Medioevo dall'Inquisizione, ci fosse un fondo di verità. E che quindi tra il 1100 e il 1500 circa, in Europa, gli ashkenaziti fondamentalisti compirono sacrifici umani e utilizzarono il sangue nei riti pasquali. Per la prima volta, un testo dava veste storica ad una credenza popolare, assurta a mito fondante dell'antisemitismo. Da qui uno scontro furibondo e soprattutto preventivo, visto che il libro non era ancora uscito pur essendo già stato unanimemente sconfessato.
Se un anno fa, Ariel Toaff - figlio di Elio, l'ex rabbino capo di Roma, grande figura dell'ebraismo italiano - aveva attirato su di sé ogni sorta di anatema con un saggio sul Medioevo, stavolta affronta il presente in uno dei suoi snodi fondamentali. Con Ebraismo virtuale parla della Shoah e, anche in questo caso, la tesi di fondo è spregiudicata, a tratti politicamente scorretta. Memore delle critiche ricevute e delle accuse di aiutare gli antisemiti a creare le condizioni per un nuovo genocidio, Toaff attacca quello che ritiene un uso strumentale della Shoah. Di una Shoah - sostiene - evocata a ogni piè sospinto, senza senso della misura e dell'opportunità, e in tal modo banalizzata e svuotata da ogni significato. Con il risultato che una storia millenaria, complessa e ricchissima, ha finito con l'essere fagocitata da quella tragedia che tutto comprende e tutto spiega. Spiega anche, secondo lo storico, l'accanimento con cui è stato messo all'indice dalla comunità scientifica e religiosa perché - come gli è stato detto da un collega israeliano - «la Shoah c'entra sempre». L'onnipresenza di questa vicenda avrebbe dunque finito con l'alterare l'identità ebraica, inchiodandola e fissandola per sempre allo status di vittima. Per dirlo, Toaff usa parole dure, stavolta non sembra avere intenzione di sfumare alcunché: «Un ebraismo virtuale e oleografico, fatto di vittime invertebrate e di martiri innocenti, languido e molliccio, si è sostituito - scrive - all'immagine vera e reale di un popolo di gente in carne e ossa, che tra mille contraddizioni ed errori, tra eroismi e viltà, ha saputo sopravvivere lasciando traccia indelebile di sé nella storia».
Lo studioso, che insegna Storia del Medioevo e del Rinascimento all'università Bar-Ilan, vede soprattutto negli ebrei della Diaspora i responsabili di questo processo di costruzione iconografica e di completa sovrapposizione tra Israele e Shoah. Schiacciati da un più o meno consapevole senso di colpa per non aver scelto di vivere la sfida del sionismo laddove esso è stato realizzato, hanno scelto di espiarlo attraverso un appoggio acritico e incondizionato a Israele. «Ogni scelta politica dei governanti israeliani - nota - diviene la loro scelta, automatica ed entusiasta, e tutti i partiti politici di Israele, in maniera intercambiabile, si trasformano nel loro partito. Ma con una netta preferenza per la destra nazionalista e fondamentalista, piagnucolosa e bellicosa».
Il risultato di questa ineludibile identificazione tra Israele e l'ebraismo è, in Italia, il paradossale slittamento a destra della comunità ebraica. Una comunità, attacca Toaff, che si è fatta ostaggio e strumento di riscatto di una destra erede del fascismo e delle leggi razziali, una destra non ancora libera da quel bagaglio ideologico. Se la discriminante diventa Israele - o meglio il sostegno acritico al suo governo di qualunque segno esso sia e qualunque scelta faccia - ecco che si arriva all'elezione di Gianni Alemanno a sindaco di Roma. Toaff, che da ebreo ha dovuto incassare l'accusa di dare linfa all'antisemitismo e di essere un traditore della propria gente, questa palese contraddizione non può fare a meno di sottolinearla: «Sembra paradossale che la memoria ebraica si stia sviluppando in senso opposto quando si tratti del nazismo o del fascismo. Mentre quella sorprendentemente va rinvigorendosi e dilatandosi col tempo, questa altrettanto sorprendentemente si indebolisce e scolorisce ogni giorno di più».
Questo succede in Italia, perché in Israele la situazione è diversa. Il dibattito intellettuale non conosce tabù, non ci sono ricerche storiche archiviate una volta per sempre, non esiste mitologia che non possa essere smontata. E se negli ultimi trent'anni l'insegnamento accademico si è molto concentrato sugli anni della persecuzione nazista a scapito del resto della storia ebraica, il dibattito resta comunque libero e vivo. Anche se si deve discutere - come fa Idith Zertal nel suo Israele e la Shoah. La nazione e il culto della tragedia (Einaudi) - di come Auschwitz abbia finito con l'essere utilizzata per creare una cultura e una politica della morte al servizio di una nazione e dei suoi governanti.
I toni del saggio di Toaff sono quelli del pamphlet, dell'invettiva i cui destinatari sono chiaramente individuabili, anche perché le parole con cui l'autore ringrazia il padre Elio - «ultimo epigono dell'illustre tradizione dei rabbini italiani colti, aperti, tolleranti e schietti» - suonano come un'aperta sconfessione dei suoi successori. Nonostante in molti passaggi appaia evidente l'ansia di Toaff di regolare i conti con chi ha scatenato una guerra ideologica e pregiudiziale al suo precedente libro, Ebraismo virtuale pone comunque interrogativi interessanti, in un precario equilibrio tra libertà intellettuale e rischio di strumentalizzazione. Toaff è consapevole della deriva possibile: «Non sono né stolto né ingenuo da ignorare che la minaccia delle immancabili strumentalizzazioni da parte degli antisemiti, delle generalizzazioni in malafede, dell'odio religioso e razziale verso gli ebrei, della delegittimazione dello Stato di Israele è sempre presente. Ma nonostante tutto - conclude - penso che il gioco valga la candela».
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