Oggi il partito di maggioranza relativa Kadima, che guida la zoppicante coalizione governativa israeliana, sceglie il suo nuovo leader fra due favoriti: il ministro degli Esteri Tzipi Livni e il ministro dei Trasporti Shaul Mofaz. L’Economist dedica a Livni, ex membro del partito di destra Likud, cresciuta da genitori di provata fede nazionalista antibritannica, un’attenzione da super star con titoli «elettorali» che chiedono di «dare a Livni una chance». Questo curioso entusiasmo, che fuori da Israele non è soltanto britannico, è legato alla crescente trasformazione della politica in teatro: teatro in cui Livni - bella, giovane e notoriamente incorruttibile - ha buon gioco come simbolo del mondiale fenomeno dell’emergente femminocrazia. Viene però anche apprezzato il coraggio di una conversione da ardente sostenitrice del «Grande Israele» all’idea dell’inevitabile spartizione di Eretz Israel, la terra di Israele, fra Palestina e Israele. Le chance di Tzipi Livni, accusatrice del suo premier sospettato di corruzione, restano tuttavia in bilico. Anzitutto per il sostegno che gli elementi più a destra dell’elettorato di Kadima danno al suo avversario Mofaz, duro militare di origine ebraica orientale, ostile a concessioni ai palestinesi. In secondo luogo, perché se Livni sarà scelta dagli elettori di Kadima al posto di Olmert dovrebbe creare un nuovo governo al posto di quello formalmente caduto con le dimissioni del primo ministro. È un compito difficile perché non è detto che l’attuale compagine governativa possa essere ricostruita con la partecipazione dei partiti religiosi opposti a ogni divisione di Gerusalemme e tradizionalmente misogini. Inoltre, il premier uscente mantiene i pieni poteri sino alla formazione di un nuovo esecutivo approvato dal Parlamento. Ehud Olmert accusato dalla polizia di corruzione ma non ancora incriminato sembra ben deciso a non spianare il terreno al suo successore, qualunque esso sia. Intende usare del tempo, che le regole istituzionali israeliane gli danno, per restare alla guida di un governo anche se ormai non-più-governo con il quale spera di raggiungere con i palestinesi accordi di principio che tanto Livni quanto Mofaz avranno difficoltà a onorare. Questo pasticcio fa pensare che nonostante le reticenze dei deputati - soli autorizzati a decretare la fine della legislazione e lo scioglimento del Parlamento - a provocare elezioni anticipate, Israele sotto la spinta di un’opinione pubblica sempre più critica dell’immobilismo governativo e del comportamento dei partiti venga a trovarsi prima del previsto davanti a una nuova legislazione. In tal caso, secondo i sondaggi attuali, il partito Likud guidato da Benjamin Netanyahu trionferebbe in una consultazione elettorale che difficilmente perdonerebbe tanto a Livni quanto a Mofaz di essere stati, con Ariel Sharon, dei fedifraghi del Likud.
Alberto Stabile, nella sua cronaca sulle primarie pubblicata da REPUBBLICA, critica Shaul Mofaz in quanto avrebbe espresso "una filosofia militarista, basata sul mito della forza, assai devota alla «tecnica» ma inevitabilmente rivolta al passato".
Stabile è naturalmento libero di preferire a Mofaz la sua rivale Tzipi Livni, anche se è inusuale che un corrispondente da un paese straniero prenda posizione sulla vita politica interna a un partito, ma la sua valutazione ha una portata molto più generale. Ciò che Stabile condanna non è tanto la proposta politca di Mofaz, ma l'idea stessa che Israele debba essere militarmente forte per difendersi dai suoi nemici.
Quest'ultima, però, più che un'idea è una constatazione. Negarla sarebbe sarebbe un errore fatale, dato che i nemici di Israele ne vogliono la distruzione.
Di questo, con buona pace di Stabile, Tzipi Livni è consapevole quanto Mofaz.
Ecco il testo dell'articolo:
GERUSALEMME - Il popolo di Kadima, circa 73mila iscritti, s´accinge oggi ad incoronare un nuovo leader cui spetterà il duplice compito di guidare il partito e il governo. Questo significa, innanzitutto, che la stagione di Ehud Olmert è finita. Assediato da troppe inchieste giudiziarie, messo alle strette dal principale alleato, il laburista Ehud Barak, Olmert ha promesso di dimettersi nel momento in cui verrà scelto il suo successore. E senza alcun dubbio, fanno sapere i consiglieri del primo ministro, «si dimetterà».
Il che non implica che esca immediatamente dalla scena. Poiché le dimissioni del premier innescano automaticamente la crisi di governo, il successore di Olmert dovrà essere in grado, in tempi brevi, di ottenere la fiducia dell´attuale maggioranza o di trovarne un´altra. Ora, è possibile che, passata la buriana, le cose tornino a posto nel giro di qualche settimana, perché in fondo soltanto l´opposizione ha interesse a far saltare il banco. Ma è anche possibile che la situazione si avviti su se stessa, prevalgano egoismi e incomunicabilità all´interno della coalizione e dello stesso Kadima e si finisca con lo scommettere sulle elezioni anticipate, che alcuni danno per probabili la prossima primavera. Ecco, allora, che Olmert, resterebbe in carica, sia pure per l´ordinaria amministrazione, ancora per parecchi mesi, durante i quali il suo team di legali non si risparmierà per ridimensionare gli scandali che hanno travolto il premier.
I concorrenti lanciati alla conquista della doppia poltrona di Olmert sono quattro, ma la volata finale riguarda soltanto due: la ministra degli Esteri Tzipi Livni, passata in pochi anni dalla condizione di "astro nascente" a quella di protagonista, e il ministro dei Trasporti Shaul Mofaz, ex capo di Stato Maggiore ed ex ministro della Difesa, un tipico prodotto di quell´inesauribile macchina di formazione e di promozione di quadri dirigenti che sono le forze armate israeliane.
Livni guida da tempo e senza cedimenti i sondaggi, ben oltre il 40 per cento dei consensi contro il 28-30 per cento accreditato al concorrente. Gli altri due candidati ufficialmente in corsa, il ministro dell´Interno, Meir Shitreet e il ministro della Sicurezza Interna, Avi Dichter, ex capo del Servizio di Sicurezza Generale, o Shin Bet, appaiono tagliati fuori (intorno al 7-10 per cento). Tuttavia, in caso di ballottaggio, obbligatorio se nessun candidato supererà oggi il 40 per cento, potrebbero risultare decisivi per assegnare la vittoria finale.
I due favoriti della vigilia hanno interpretato la campagna elettorale in modo totalmente diverso. Livni ha giocato più sull´immagine della donna e madre, che sa benissimo quanto costa un chilo di pane (Mofaz ha sbagliato clamorosamente la cifra), piuttosto che su quella di responsabile della diplomazia israeliana impegnata in prima persona nel negoziato di pace coi palestinesi. I suoi commenti sulle grandi questioni regionali sono stati rari e generalmente improntati alla massima prudenza. Mofaz, invece è stato decisionista.
Nonostante fra i due non via sia alcuna contrapposizione di natura ideologica, perché Kadima non è un partito ideologico, Livni è Mofaz hanno finito con l´inscenare il vecchio contrasto tra mito e realtà. Alle prese con la questione capitale, ovvero come Israele deve fronteggiare un conflitto che va vanti da 60 anni, Livni, seppur tra le righe, ha offerto una visione realista, entro una certo grado compromissoria, che scaturisce anche da una lunga riflessione che l´ha portata ad abbandonare i miti della destra nazionalista al rispetto dei quali era stata educata. Mofaz ha espresso invece una filosofia militarista, basata sul mito della forza, assai devota alla «tecnica» ma inevitabilmente rivolta al passato.
Eric Salerno sul MESSAGGERO esprime una condanna della linea politica di Mofaz simile a quella di Stabile, estendendola alla società israeliana nel suo complesso, descritta come pervasa da una fiducia cieca nella guerra:
Lui, uomo, ex generale, falco con le medaglie giuste vuole offrire l'immagine di sicurezza di cui gli israeliani sono assetati come se i carri armati potessero risolvere il conflitto con i palestinesi o quello non meno stantio con la siria o l'odio crescente che ha preso il posto delle sperranze nate quindici anni fa con gli accordi di Oslo.
A Salerno andrebbe ricordato che gli accordi di Oslo portarono alla prima ondata di attentati suicidi, compiuti da chi rifiutava anche l'idea di un compromesso con Israele.
In quanto al conflitto "stantio" con la Siria: è uno strano aggettivo per il perdurante sostegno di Damasco al terrorismo antisraeliano di Hamas ed Hezbollah e per l'alleanza con il regime genocida di Teheran. Se Salerno volesse suggerire che sarebbe ora di smetterla, però saremmo d'accordo...
Lui però, sta facendo il suol abituale processo a Israele, ed è a Israele che, incredibilmente, attribuisce anche la mancata pace con la Siria.
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