Su l'UNITA' di oggi, 13/09/2008, a pag. 13, con il titolo " Israele pronto a liberare i capi di Hamas", Umberto De Giovannangeli traccia un quadro di quanto potrebbe, sottolineiamo potrebbe, avvenire se Israele accettasse le condizioni dei terroristi di Hamas per la librazione di Gilad Shalit. Udg dà l'accordo quasi concluso. Ciò che dà fastidio nel suo articolo, è l'equiparazione tra Israele, uno Stato democrato, e Hamas, un branco di criminali al potere a Gaza. Non una parola che chiarisca le differenze, sono due poteri che trattano. Nulla di nuovo, intendiamoci, è lo stile di Udg, che continua indisturbato anche sotto la nuova direzione, che si sta rivelando identica a quelle precedenti. Ecco l'articolo:
LA LIBERTÀ per i capi politici di Hamas in cambio del soldato Shalit. È più di una ipotesi. È l’approdo, da mettere a punto, di una lunga trattativa mediata dall’Egitto tra Israele e il movimento islamico palestinese vincitore delle elezioni (gennaio 2006) nei
Territori e che dal giugno 2007 ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. La lista è pronta. L’Unità ha avuto modo di prendere visione del documento. La fonte che lo ha permesso è uno dei più stretti collaboratori del leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh. Ciò che emerge è un cambio di strategia negoziale da parte di Hamas: la scelta, infatti, è quella di puntare innanzitutto al ritorno in libertà dei 40 deputati legati al movimento integralista che Israele ha arrestato nel corso di ripetute incursione, nella Striscia e in Cisgiordania, successive al rapimento (giugno 2006) del caporale Gilad Shalit ad opera di un commando di Hamas. Il primo della lista dei politici da liberare è Aziz al Dweik, speaker del Consiglio legislativo palestinese (Clp, il Parlamento dei Territori). Dweik, come gli altri parlamentari di Hamas, non è accusato di crimini di sangue, ed è la ragione per la quale le autorità israeliane non hanno posto un veto alla sua liberazione. Altri nomi di spicco della lista sono quelli dei parlamentari di Hamas Ibrahim Hamad; Hassan Salame Abdullah Barghouti; Daoud Abu Seir; Rahman Zeidan (già ministro dei Lavori pubblici). Dietro la scelta di Hamas c’è un calcolo politico che investe anche gli equilibri di potere in campo palestinese. La scarcerazione dei 40 deputati, potrebbe infatti portare alla fine del mandato del presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) nel gennaio 2009 grazie al cambiamento degli equilibri in Parlamento. Abu Mazen rimarrebbe probabilmente in carica di fatto, ma ciò minerebbe la sua legittimità. L'uscita di prigione dei 40 deputati significherà che Hamas tornerà ad avere la maggioranza in seno al Clpe, con 74 seggi su 132. Il Parlamento precedente, dominato da Fatah, aveva allungato a cinque anni il mandato di Abu Mazen ovvero fino al gennaio 2010, quando sono previste le elezioni parlamentari e presidenziali. Hamas ha sempre contestato questa estensione, sottolineando che la legge fondamentale prevede un mandato di quattro anni e può essere cambiata solo con il voto dei due terzi dell'assemblea. Di nuovo maggioritari, i deputati del movimento islamico torneranno probabilmente al mandato di quattro anni che si conclude nel gennaio 2009. «La liberazione di tutti i prigionieri detenuti nelle carceri israeliane è una delle priorità della resistenza. E in questo contesto, ottenere la liberazione di parlamentari eletti dal popolo palestinese vuol dire ribadire la nostra sovranità oltre che ricostruire le istanze rappresentative della volontà popolare», dice a l’Unità Nasser al-Shaer, vice premier nell’esecutivo guidato da Haniyeh. Al Shaer rappresenta l’anima pragmatica, sociale di Hamas. È stato più volte incarcerato da Israele, anche quando ricopriva la carica di vice premier. Liberare i 40 parlamentari rappresenterebbe un indubbio successo politico per Hamas. Tanto più significativo se rapportato alle crescenti difficoltà incontrate dalla leadership moderata dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). A darne conto è lo stesso Abu Mazen. In occasione del 15.mo anniversario degli accordi di riconoscimento reciproco fra Israele e Olp, il rais palestinese ha rilasciato al quotidiano israeliano Haaretz una intervista improntata a scetticismo in cui ha riferito che nei negoziati con il premier Ehud Olmert «non sono stati registrati successi» e che nelle questioni principali sono solo state messe sul tavolo «proposte diverse». L'obiettivo di raggiungere un accordo definitivo entro il 2008 - secondo gli accordi della conferenza di Annapolis - resta lontano, Abu Mazen continuerà comunque a negoziare con Olmert fino all'ultimo giorno che resterà in carica, poi proseguirà con il suo successore, sulla base dell'esito delle elezioni primarie del partito Kadima del 17 settembre. Ma le posizioni sono distanti e forse - suggerisce - sarebbe il caso di riprendere in mano la iniziativa presentata dall'Arabia Saudita nel 2002 a Beirut. Prevedeva la normalizzazione delle relazioni fra Israele e il mondo arabo, in cambio di un ritiro totale di Israele dai territori occupati (Gerusalemme est inclusa) e di una soluzione concordata della questione dei profughi. Un progetto che - ricorda - fu ben visto allora anche dall'Iran. Esprimendosi con grande senso autocritico, Abu Mazen ammette ancora una volta che i palestinesi hanno sbagliato, nel 2000, quando hanno intrapreso una rivolta armata. «Farò tutto il possibile per impedire una terza intifada, armata», promette. Ma ha bisogno che Israele gli dia una mano. Quella mano che sarebbe pronta a firmare la scarcerazione dei 40 parlamentari di Hamas, in cambio del soldato Shalit.
(ha collaborato Osama Hamdan)
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