L'Iran minaccia le monarchie del Golfo
crisi con gli Emirati arabi
Testata: Corriere della Sera
Data: 17/08/2008
Pagina: 12
Autore: Federico Fubini
Titolo: Hormuz, lite fra gli Emirati e l'Iran Basi di Teheran sulle isole contese
Dal CORRIERE della SERA del 17 agosto 2008:

DUBAI (Emirati Arabi) — Sono un pugno di abitanti e dodici chilometri di sabbia in mezzo al mare. È un isolotto più arido persino di quello di Perejil (o Leila), che nel 2002 fece gonfiare i muscoli al Marocco e alla Spagna di José Maria Aznar. È più che abbastanza però per far uscire allo scoperto antiche ruggini e paure del tutto nuove: sciiti contro sunniti, iraniani contro arabi del Golfo, esportatori di petrolio divisi fra avversari e ospitanti delle basi americane situate poco lontano da qui.
Perché Abu Musa, una collina gialla piantata all'imbocco del Golfo Persico, vale infinitamente più della sabbia di cui è fatta. Lo si è visto giovedì, quando il governo degli Emirati arabi uniti ha convocato d'urgenza l'incaricato d'affari iraniano ad Abu Dhabi e gli ha consegnato una busta sigillata. Era una lettera di protesta, il massimo grado della formalità diplomatica, perché Teheran ha fatto sapere di aver aperto a Abu Musa qualcosa come una capitaneria di porto e un centro di salvataggio in mare.
Non sarà la bomba atomica che l'Iran è accusato di perseguire, ma è una rivendicazione di sovranità nel braccio di mare forse più nevralgico del pianeta. Da sempre contesa fra le due sponde, Abu Musa è a sessanta chilometri dagli Emirati e a trenta dall'isola tutta iraniana di Qeshm. Assieme a altri due vicini isolotti contesi fra Abu Dhabi e Teheran, la Grande e la Piccola Tunb, è qui il cuore dello stretto di Hormuz da cui passa ogni giorno almeno un terzo di tutto il greggio e gran parte del gas liquido che alimenta il resto del mondo. Ed è qui che l'Iran minaccia di passare alle ritorsioni chiudendo Hormuz ai tanker arabi, se e quando l'America o Israele dovessero colpire i siti nucleari di Teheran. Il simbolismo di una capitaneria di porto non poteva dunque sfuggire neppure ad Abu Dhabi, la capitale di una federazione di emirati ricchi di greggio e privi quasi del tutto di forza d'urto militare in proprio. Non poteva, a maggior ragione, perché nel frattempo l'Iran ha già piazzato una guarnigione e un aeroporto militare nei due isolotti della Grande e Piccola Tunb, quindi bloccato tutti gli approdi.
Ora è probabile che per giorni si accavallino gli appelli al negoziato e al rispetto degli accordi. Quello in vigore, concluso nel '71 dopo la ritirata dell' Impero britannico, dà agli Emirati e all'Iran una podestà condivisa sul minuscolo arcipelago e permette all'esercito di Teheran di piazzarvi uno stanziamento. Ma è difficile che la tensione fra arabi e persiani del Golfo sparisca tanto presto, proprio mentre gli incidenti e le provocazioni si accavallano.
Solo questa settimana il vice- ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mohammadi ha lanciato l'ultima, con poche frasi taglienti. «La prossima crisi nel Golfo - ha detto il vice- ministro - coinvolgerà la legittimità delle monarchie e dei sistemi tradizionali, che nella situazione attuale non possono sopravvivere». Negli Emirati, in Qatar o in Arabia Saudita, dove dominano sovrani assoluti di tipo feudale, la frase di Mohammadi è suonata immediatamente come un invito all'insurrezione popolare in stile khomeinista. Subito Mohammadi ha smentito la sua stessa dichiarazione, peraltro attribuitagli dall'agenzia ufficiale iraniana. Ma fra i grattacieli visionari di Abu Dhabi e Dubai e le centrifughe atomiche dall'altra parte del Golfo, nemmeno un'ipotesi di pace ad Abu Musa può più placare la spirale del disprezzo fra «fratelli » musulmani.

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