La stretta di mano tra il presidente libanese Michel Suleiman e il siriano Bashar al Assad e le relazioni diplomatiche tra Beirut e Damasco sono davvero "un primo mattoncino verso la normalità" ? Davide Vannucci, che ne scrive per L'UNITA' del 15 agosto 2008 ne è convinto.
Il fatto che il Libano si sia di fatto consegnato ad Hezbollah e l'indeterminatezza della matrice del recente attentato di Tripoli, dietro il quale non è da escludere una "mano siriana", però, dovrebbero suggerirgli qualche dubbio.
Certo di ciò di cui farebbe bene a dubitare, Vannucci dubita invece di ciò di cui farebbe bene ad essere certo: che cioè, come ammette persino l'Onu, le fattorie Sheeba non siano mai appartenute al Libano e che le rivendicazioni territoriali di Hezbollah, come ha ammesso lo stesso gruppo terroristico, siano soltanto pretesti per la jihad a oltranza contro l'esistenza stessa di Israele.
Ecco il testo completo:
QUELLA CHE altrove è una notizia normale, in Medio Oriente diventa un fatto eccezionale: Libano e Siria, per la prima volta dal giorno dell’indipendenza, hanno delle relazioni diplomatiche. La stretta di mano tra Michel Suleiman e Bashar al Assad è un primo mattoncino verso la normalità, anche se, come dimostra l’attentato di mercoledì a Tripoli, sono ancora in tanti a volerla boicottare.
Il viaggio a Damasco del presidente libanese apre una fase nuova, perché parole come «coordinamento» e «comitati congiunti» sono uno spartito mai suonato da quelle parti. Le questioni sul tavolo restano molte, ma il riconoscimento reciproco è la premessa necessaria per la loro soluzione. Il testo letto ieri da Bussaina Shaaban, consigliere politico del presidente siriano Assad, passerà alla storia: «I due presidenti hanno deciso di allacciare relazioni diplomatiche conformemente al trattato Onu e al diritto internazionale». Il quotidiano libanese «L’Orient le Jour» traduce per i non addetti ai lavori: «La Siria accetta formalmente la sovranità libanese, con 65 anni di ritardo». Siria e Libano entrarono a far parte del mandato francese, dopo la prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero ottomano. Il Libano ottenne poi l’indipendenza nel 1943. Ma i due Paesi non ebbero mai relazioni diplomatiche. La Siria, dopo lo scoppio della guerra civile libanese, nel 1975, ha esercitato una forte tutela sul vicino di casa, considerandolo alla stregua di un protettorato. Le truppe di Damasco si sono ritirate solo nel 2005, dopo l’omicidio del premier libanese Rafik Hariri e dietro pressione della comunità internazionale, che sospettò il suo forte coinvolgimento nell’attentato.
Il passo successivo al riconoscimento dovrà essere quindi la demarcazione delle frontiere. In ballo non ci sono solo i territori del Nord del Libano e la valle della Bekaa, ad Est. Il pomo della discordia coinvolge anche Israele e si chiama «Fattorie di Shebaa», un’area di grande importanza, soprattutto per le risorse idriche, situata al confine fra i tre Paesi. Israele sostiene che le fattorie fanno parte delle alture del Golan, occupate da Gerusalemme nel 1967 e annesse nel 1981. La zona sarebbe dunque israeliana, tant’è che la risoluzione 425 dell’Onu (quella che impose a Gerusalemme il ritiro dal Sud del Libano) non fa menzione delle fattorie. In effetti, come ha riconosciuto l’Onu, quella risoluzione non si applica a Shebaa, per cui Israele, non abbandonando le fattorie, l’avrebbe rispettata integralmente. Però le frontiere del 1923 (quelle stabilite dal mandato francese) assegnerebbero l’area alla Siria. Il Libano, dal canto suo, chiede a Damasco il riconoscimento della «libanesità» della zona. La questione è così complessa che, per il momento, è stata accantonata. Ha dichiarato il ministro degli Esteri siriano, Walid al Muallim: «I confini non possono essere definiti a Sheeba fino a quando continuerà l’occupazione israeliana». In realtà, molti, in Libano, accusano la Siria di utilizzare la questione di Sheeba come alibi per favorire Hezbollah e la sua lotta armata contro Israele.
La situazione mediorientale, però, è in continua evoluzione. Damasco ha deciso di condurre colloqui indiretti con Israele, attraverso la Turchia. Un’ipotesi che Beirut, al momento, non prende in considerazione, parola del ministro degli Esteri Fawzi Salluk: «Non siamo interessati ad avere colloqui diretti o indiretti con Israele». Tuttavia, al Muallim «informerà il Libano sugli sviluppi della situazione». In sostanza, Beirut firmerà un accordo di pace con Gerusalemme solo quando l’avrà fatto la Siria.
Assieme al comitato congiunto libano-siriano per la delimitazione delle frontiere, ne verrà riattivato un altro, destinato a stabilire la sorte dei detenuti libanesi in Siria (circa 600 «desaparecidos», secondo le associazioni dei familiari) e dei dispersi siriani in Libano (741, secondo Damasco). Parole nuove, anche se la sobria cerimonia funebre per i soldati uccisi a Tripoli mercoledì (nove, oltre ad otto civili), ci ricorda come il boicottaggio delle novità, quando la direzione è quella del dialogo, è lo sport preferito dagli estremisti.
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