Dal momento che i rinforzi in Iraq hanno al momento impedito la sconfitta americana in quel paese, qualcuno inizia a sperare che la sconfitta si verifichi invece in Afghanistan ?
E' questo il dubbio che sorge leggendo i consigli a Barack Obama di Katrina Vanden Heuvel, raccoliti in un articolo pubblicato il 9 agosto 2008 da L'UNITA', che lo riprende dalla rivista dell'estrema sinistra americana The Nation.
Certo, il rischio della "trappola afghana" potrebbe essere reale, ma nel momento in cui lo si denuncia, si dovrebbe anche indicare da dove trae origine: ovvero dal rifugio che le forze talebane e di Al Qaeda hanno trovato in alcune zone del Pakistan, forse con la complicità di settori dei servizi segreti di Islamabad.
Se invece il rischio del dissanguamento delle forze armate americane è evocato solo per invocarne il ritiro dall'Afghanistan, chi lo fa dovrebbe anche chiarire come, secondo lui, dovrebbe proseguire la lotta con i terroristi che hanno colpito gli Stati Uniti l'11 settembre. A meno che la proposta non sia, semplicemente, quella della resa.
Ecco il testo:
In caso di elezione, il senatore Barack Obama avrà la possibilità di ristabilire un contatto con un mondo che cerca una America diversa da quella di Abu Ghraib e di Guantanamo, una America familiare definita dagli ideali democratici ai quali aspiriamo. La sua elezione, unitamente a politiche intelligenti ed umane, potrebbe contribuire a restituire al nostro Paese la reputazione che merita e a voltare pagina lasciandoci alle spalle le politiche insensate e distruttive messe in atto da alcuni uomini folli.
Obama ha dimostrato la sua capacità di giudizio. La sua opposizione alla guerra fin dall’inizio e il suo fermo impegno a ritirare alla svelta le truppe americane dall’Iraq - dove si combatte una guerra che da tempo non ha più alcun significato strategico - sono una prova eccellente della sua capacità di giudizio. (La sua intenzione di mantenere in Iraq un contingente militare e alcune truppe mercenarie ci vede invece in disaccordo.)
È di conseguenza difficile capire per quale ragione mentre adotta una posizione assolutamente condivisibile sull’Iraq, Obama continui a parlare di incrementare la presenza militare americana in Afghanistan (ciò vale non solo per il senatore Obama, ma anche per la maggior parte dei democratici di Washington che sostengono, quasi si trattasse di un mantra, che dobbiamo andarcene dall’Iraq per avere più soldati da mettere in campo in Afghanistan). Non vi sembra il caso di riflettere sul pericolo che i programmi del senatore Obama in materia di sanità e di riforme economiche progressiste potrebbero finire per essere sacrificati sull’altare di un’altra guerra senza fine da 3.000 miliardi di dollari?
Per questo sollecito il senatore Obama a leggere tre documenti e a riflettere a lungo e attentamente sui pericoli per la sua piattaforma programmatica - sia interna che internazionale - derivanti dal mettere fine ad una guerra disastrosa per cacciarsi nel vicolo cieco di un’altra. Sono convinta che vi siano alternative che meritano di essere valutate prima di prendere un siffatto impegno e alcune di queste idee è possibile trovarle in questi documenti.
Una dichiarazione dell’organizzazione umanitaria internazionale Oxfam America sollecita tanto Obama quanto McCain ad allargare il dibattito riguardante l’Afghanistan non limitandosi a parlare del livello di impegno militare, ma considerando l’importanza di uno sviluppo mirato, di aiuti sostenibili e del pericolo di maggiori perdite tra i civili: «alleviare la povertà e proteggere i civili dalla violenza sono aspetti essenziali di una strategia volta a portare la pace e la stabilità nel Paese. Se il prossimo presidente degli Stati Uniti... non proseguirà la lotta alla povertà e alla miseria che afflige il popolo afgano e non contribuirà a proteggere i civili, sarà impossibile una pace duratura nel Paese...».
In un articolo apparso sul Financial Times, Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale e sostenitore del senatore Obama, mette in guardia gli Stati Uniti dalla trappola di un’altra occupazione dell’Afghanistan tipo quella dell’Unione Sovietica - e Brzezinski lo sa bene perché fu tra quelli che organizzarono la prima trappola ai danni dei sovietici. «È importante per la politica americana in generale e per Obama in particolare riconoscere che mandare altri soldati in Aghanistan non rappresenta la soluzione definitiva del problema», ha detto l’ex consigliere per la sicurezza nazionale. «Corriamo il rischio di ripetere l’errore dell’Unione Sovietica... La nostra strategia rischia di sfuggirci di mano».
Infine un editoriale pubblicato dal Guardian parla della «tentazione di inviare altre truppe nell’illusione di risolvere il problema con la medesima logica già adottata in Iraq... Per molti sta diventando chiaro che non è possibile una vittoria militare». L’editoriale prosegue suggerendo la linea del micro-credito a favore di uno sviluppo agricolo sostenibile.
Non c’è una risposta facile, ma certamente dobbiamo andare oltre la reazione riflessa dell’escalation della presenza militare allo scopo di trovare alternative sagge ed umane.
Quando il senatore Obama ha incontrato il presidente Hamid Karzai, i colloqui hanno avuto per tema principale Al Qaeda e non lo sviluppo sostenibile, la povertà o il raccolto record di oppio che contribuisce a finanziare i signori della guerra.
L’escalation militare determinerebbe un incremento delle vittime civili e danneggerebbe ulteriormente la reputazione internazionale degli Stati Uniti. È ora di riflettere seriamente prima di trovarci impelagati in un’altra occupazione che avrebbe un prezzo pesante in vite umane e risorse.
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