La SICLIA del 7 agosto 2008 pubblica un articolo di Salvatore Falzone che riporta acriticamente le dichiarazioni don Massimo Naro, rettore del Seminario di Caltanissetta, di ritorno da Israele.
A pregiudizi e false informazioni sullo Stato di Israele ( la "barriera difensiva" come "simbolo più violento" della divisione religiosa, le " lussureggianti piantagioni israeliane e il deserto pietroso lasciato ai palestinesi", i controlli rabbinici sull'osservanza della legge ebraica nei ristoranti attribuiti falsamente all'ingerenza confensionale dello Stato... ) don Massimo Naro unisce una buona dose di ostilità religiosa verso l'ebraismo, del quale propone un'immagine deformata e malevola.
Ecco il testo completo dell'articolo:
«I giovani ebrei, vestiti di nero e col tradizionale kippà in testa, cominciano ad affollare le vie, ormai reduci dalla rigorosa osservanza del giorno sacro, mentre dai quattro minareti della Città santa i megafoni amplificano le nenie dei muezin. E noi a pregare nell'orto degli ulivi, sabato scorso, di sera, tra gli alberi millenari sotto cui Gesù
visse la sua agonia spirituale»: così don Massimo Naro, rettore del Seminario di Caltanissetta, spiega quello che definisce lo “straordinario paradosso” rappresentato dalla capitale del nuovo Stato di Israele, Gerusalemme, dove lo stesso don Naro è stato assieme ad altri quaranta preti nisseni, tutti al seguito del vescovo Mario Russotto, per fare i loro esercizi spirituali, pellegrini sulle strade percorse già duemila anni fa da Gesù di Nazaret.
«Gerusalemme - continua don Massimo Naro - è l'affascinante crocevia di varie etnie, culture, religioni, che convivono faticosamente e al contempo mantengono le distanze, fino a farsi la guerra senza esclusione di colpi, tra ceck points presidiati dalla polizia israeliana e buldozer guidati da kamicaze palestinesi. Arabi musulmani ed ebrei che si contendono la terra di Abramo e una minoranza di arabi cristiani che rischiano di rimanere stritolati tra la diffidenza degli uni e l'intolleranza degli altri, mentre i custodi ortodossi e cattolici dei luoghi della Pasqua di Cristo stentano a dare una testimonianza credibile di comunione e di pace».
Parole forti, queste di don Naro, che sottolineano le tante contraddizioni che dilaniano dal di dentro la Città della Pace (questo significa Gerusalemme). «Gerusalemme - dice ancora - è la città in cui l'unicità di Dio è affermata e smentita al contempo: tre giorni dedicati al culto divino - il venerdì per i musulmani, il sabato per gli ebrei, la domenica per i cristiani - ma anche tre modi contrapposti di parlare a Dio e di Dio».
«Il simbolo più violento di ciò è il muro alto 8 metri che divide la Città Santa e che si sviluppa per 700 chilometri, insinuandosi tra i kibbutz e i villaggi beduini, tra le lussureggianti piantagioni israeliane e il deserto pietroso lasciato ai palestinesi: una
spaccatura profonda, che diventa la cifra di un disagio storico che coinvolge non solo quella striscia di terra, ma anche tutto il Medio Oriente e anzi il mondo intero».
Così come c'è pure un'altra “cifra” di questa “spaccatura”: i bambini di Gerusalemme. Che sono diversi tra loro: «Quelli ebrei giocano, quelli arabi chiedono l'elemosina».
Dal viaggio a Gerusalemme, don Naro dice di portarsi appresso due lezioni importanti. «La prima - dice - può valere anche in Italia a riguardo del rapporto tra laicità e ruolo pubblico della religione. In Israele ho saputo dei rabbini che ispezionano le dispense dei ristoranti per verificare se le carni suine, reputate impure e vietate agli ebrei, siano tenute separate dagli altri alimenti, per non contaminarli. E ho visto gli ascensori degli alberghi funzionare, di sabato, automaticamente, per evitare ogni minima fatica agli utenti ebrei rispettosi del giorno di riposo cultuale. Una cosa del genere sarebbe inammissibile in Italia e in tutta Europa. Non perché qui la società
è più secolarizzata che là, ma piuttosto perché diverso è il modo di intendere e vivere la religione secondo la tradizione cristiana: i dettami biblici sono sì rispettati, ma non presi alla lettera, bensì interpretati secondo il loro profondo senso spirituale. Il letteralismo - aggiunge - conduce all'integralismo, l'interpretazione spirituale invece porta alla sana laicità».
E la seconda lezione? «E' quella sul rapporto di continuità e discontinuità che c'è tra ebraismo e cristianesimo: questo rimane radicato in quello, a tal punto che non si capisce davvero il vangelo di Cristo se non lo si legge nel solco dell'antico messaggio giudaico; ma il cristianesimo rappresenta pure una radicale novità rispetto all'ebraismo. Un'antica preghiera giudaica, recitata ancor oggi dagli uomini delle famiglie israeliane, dice: Grazie Signore, perché sono giudeo e non pagano, perché sono libero e non schiavo, perché sono maschio e non femmina; è una preghiera che induce alla discriminazione in nome della religione. San Paolo riscrisse questa tradizione giudaica superandola finalmente: per l'Apostolo non c'é più giudeo né pagano, non c'é più libero né schiavo, non c'é più uomo né donna...».
Ma don Naro dice di portarsi dietro anche un ricordo particolare. Quale? «Aver trovato, in una chiesa costruita dai crociati di re Tancredi nel 1099, un'immagine di san Cataldo, già pellegrino anche lui in Terra Santa, raffigurato con la mitria episcopale in testa, alla stessa maniera in cui i normanni lo raffigurarono poi anche nella Palatina di Palermo e nel Duomo di Monreale, riconoscendogli l'onore esclusivo, negato a tutti gli altri vescovi greci e latini, di stare col capo coperto dentro il tempio di Dio».
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