Pubblichiamo alcuni articoli sull'Iran.
AVVENIRE riporta l'appello di Shirin Ebadi contro le esecuzioni capitali volute dal regime:
Teheran fermi il boia». Il giorno dopo una delle più drammatiche “esecuzioni di massa” degli ultimi anni, l’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, ha rivolto un disperato appello al suo Paese perché metta fine alle sentenze capitali.
«La pena di morte deve essere abolita in tutto il mondo», si legge in un comunicato diffuso dal Centro per la difesa dei diritti umani,
l’associazione presieduta dalla combattiva Ebadi. Un’istanza che, in realtà, ha ben poche probabilità di essere accolta. Per il regime degli ayatollah, il patibolo è un prezioso deterrente, oltre che contro la criminalità, contro il dissenso interno, reale o presunto la componente più “aggressiva” verso l’occidente – capeggiata da Ahmadinejad e il suo capo negoziatore per il nucleare Jalili – e quella più “moderata” – guidata dal ministro degli Esteri Mottaki e dal presidente del Parlamento Larijani. Allo stesso tempo, si fa ogni giorno più forte nel Paese il grido di protesta di quanti – soprattutto studenti, intellettuali, professionisti – vorrebbero maggior libertà. Richieste inaccettabili per il regime, che continua a rispondere col pugno di ferro. Dall’inizio dell’anno, il ricorso al boia si è intensificato.
Nel solo mese di luglio, sono saliti sul patibolo 39 condannati. Una “mattanza” come quella di domenica, però, non si era ancora vista. Nel carcere di Evin, a Teheran – il cui nome ricorda torture ed esecuzioni sommarie prima all’epoca dello Scià e poi sotto Khomeini – , all’alba, ora locale, sono state impiccate, contemporaneamente, 29 persone. Dovevano essere 30, ma un detenuto è stato graziato in extremis. «Erano delinquenti comuni, condannati per gravi delitti – ha precisato il procuratore di Teheran Said Mortazavi - come l’omicidio e il traffico di droga». Secondo il Centro per la difesa dei diritti umani di Shirin Ebadi, però, i prigionieri uccisi non avrebbero avuto un processo «equo», molti non si sarebbero nemmeno potuti in tribunale. La strage sembrerebbe, dunque, un monito generalizzato verso tutti i cittadini, una pubblica ostentazione di forza. Questo spiegherebbe anche perché sia stata fortemente pubblicizzata dalle autorità nelle scorse settimane. Tanto che, fino all’ultimo, molti pensavano che il macabro rito si sarebbe svolto in pubblico – coi detenuti appesi alle gru, come spesso è accaduto – e non dentro il carcere fortezza.
Sulle impiccagioni a Teheran, da L'OPINIONE, un commento di Michael Sfaradi:
Il CORRIERE della SERA pubblica un articolo sulle reazioni di Teheran all'accoglienza italiana Maryam Rajavi, del Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana:
TEHERAN — «Regime mafioso». Così il quotidiano di Teheran Kayhan ha definito ieri il governo di Silvio Berlusconi. Per il giornale iraniano — diretto da Hossein Shariatmadari, consigliere dell'ayatollah Ali Khamenei — le istituzioni italiane sarebbero «colpevoli» di aver accolto Maryam Rajavi, la leader del Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana (braccio politico dei Mujaheddin del Popolo) che la scorsa settimana ha avuto una serie di colloqui a Roma con alcuni deputati e con il sindaco Alemanno. L'editoriale attacca in particolare la petizione di una decina di parlamentari per la rimozione dei Mujaheddin del Popolo dall'elenco europeo delle organizzazioni terroriste: «Il regime mafioso italiano sostiene un piccolo gruppo terrorista, mentre nemmeno gli Usa, che li sostengono di nascosto, hanno il coraggio di toglierli da quell'elenco».
Leader Maryam Rajavi guida il Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana, braccio politico dei Mujaheddin del Popolo. Da qualche tempo in Europa si discute se cancellarli dalle organizzazioni terroristiche
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