Ahmadinejad "non sta per invadere Israele né sta per cancellare niente da nessuna mappa" ci assicura Filippo Facci sul RIFORMISTA del 5 maggio 2008.
Propone forse di aspettare, per mobilitarsi contro il presidente iraniano e i suoi proclami genocidi, che sia in grado di mettere in pratica le sue esplicite dichiarazioni di intenti ?
Se Ahmadinejad non preoccupa più di tanto Facci, un'attenzione particolare sembra meriti per lui Fiamma Nirenstein. In un articolo pubblicato dal GIORNALE il 22 marzo 2008 aveva incredibilmente difeso la vignetta di Vaura che la insultava definendola una nazista (ripetendo lo stereotipo antisemita del soldato israeliano con la svastica).
Il 5 giugno, sul RIFORMISTA, accusa invece la giornalista e deputata di rappresentare, in Parlamento, Israele e non l'Italia. Parole inaccettabili, che riecheggiano l'accusa di "doppia fedeltà" agli ebrei e che introducono una chiara discriminazione. Perché solo chi si sostiene le ragioni del sostegno all'unica democrazia del Medio Oriente e dell'allenza con essa dovrebbe "rappresentare" uno Stato straniero ? Facci asserisce di trovare "grottesco" il "modo in cui si sta configurando" il mandato parlamentare di Fiamma Nirenstein. Non dice nulla su chi, al Parlamento italiano o a quello europeo, ha difeso o difende le "ragioni dei palestinesi", il che spesso vuole dire, in pratica, sostenere il terrorismo. Non è discriminazione ? Non si rischia, accettandola, di finire per invocare la censura su opinioni considerate troppo amichevoli verso Israele ?
Ecco il testo:
Ora magari dovrei persino specificare che la mia è un'opinione molto personale, così da non confonderla con altre opinioni di un giornale che su certi temi ha una linea chiarissima. Dovrei far questo nonostante la paternità esclusiva della mia opinione sia persino ovvia: la sto scrivendo io, c'è il mio nome, c'è uno spazio gentilmente concessomi. Eppure è come se su certi temi ciò non dovesse bastare a me per primo, come se certi temi meritassero appunto un sovrappiù di premesse e pistolotti, come se di un'opinione, insomma, ci si dovesse scusare: è la prima cosa che non mi piace.
La seconda è la superficialità cui mi costringo: la mancanza di spazio e tempo, ossia, per un'analisi di cui mi limito ad abbozzare a dir tanto il titolo. Che è questo: l'aderenza acritica del mondo politico italiano nei confronti di Israele sta diventando imbarazzante. Non è neanche più una posizione politica o diplomatica: è un riflesso epidermico, è una forma che supera i contenuti e che ne prescinde, è l'aderire a una politica anziché averne una.
Col tempo ho imparato che la regola del cui prodest, in questo paese, domina qualsiasi facoltà di opinione, vista altrimenti come un esercizio sterile. È probabilmente il mio caso: dovrei capire che una posizione su Israele non permette sfumature (che io invece vedo, io di sfumature nel caso di Israele ne vedo sempre un sacco).
E dovrei capire che il rischio è quello di accreditare l'antisionismo imbecille degli anti-imperialisti decerebrati, Ahmadinejad eccetera: e tutto può essere. Ma sono anche stanco, per colpa dell'opinione di Ahmadinejad, di dover rinunciare ad averne un'opinione mia: magari addirittura articolata. Sono stanco che ogni discussione su Israele entro dieci parole debba assumere una valenza meta-storica. Non ho trovato grottesca la candidatura di Fiamma Nirenstein al Parlamento italiano, ma trovo grottesca la maniera in cui si sta configurando il suo mandato: di fatto è la rappresentante di un paese che non è quello che l'ha eletta.
Trovo umiliante che lo spazio sconsiderato dedicato ai deliri di Ahmadinejad (un signore che non sta per invadere Israele né sta per cancellare niente da nessuna mappa) abbia contribuito a non far uscire neppure una riga circa il diciannovesimo anniversario della strage di Tienanmen, la cui esistenza è ancor oggi negata dal regime cinese ma senza che la circostanza abbia impedito di stringere mani e presenziare a fondamentali convivi durante i vertici Fao. Ecco, ho scritto queste cose con tutta la sciatteria e superficialità che certi temi non meritano: cui prodest? A nessuno, a niente: forse solo all'onestà intellettuale di chi si arroga la facoltà di averne almeno una.
Di seguito, l'articolo del 22 marzo pubblicato dal GIORNALE, col titolo "Anche cretino è satira"
È nota una vignetta di Vauro, sul Manifesto della settimana scorsa, dove Fiamma Nirenstein era sottotitolata «Fiamma Frankenstein» ed era disegnata col volto deformato e tre simboli sul petto: la stella di David, il fascio littorio e il simbolo del Pdl. Vignetta miserabile? Fiamma Nirenstein l’ha scritto sul suo blog. Vignetta schifosa? Legittimo dirlo. Tuttavia non ho trovato neanche un collega, e parlo di persone che di Fiamma Nirenstein hanno la massima stima, che non abbia ritenuto eccessivi i pericoli di antisemitismo prospettati a margine del caso, con tanto di intervento da New York dell’Anti Defamation League.
L’editorialista Magdi Allam ha collegato la vignetta con acquiescenze nei confronti di Bin Laden; Riccardo Pacifici, portavoce degli ebrei romani, ha detto che una persona non antisemita, ma che faccia vignette come quella di Vauro, può essere peggiore di chi sia intimamente antisemita. Forse è troppo: anche perché la lezione delle vignette olandesi su Maometto, e sulla libertà d’espressione, purtroppo vale per tutti: anche per un disegnatore che si voglia considerare, al limite, un cretino. Un disegnatore che giovedì sera, ad Annozero, ha mostrato delle vignette sull’aborto e su Giuliano Ferrara che personalmente giudico le più volgari e imbarazzanti che io abbia mai visto in vita mia.
Del RIFORMISTA si deve segnalare anche, positivamente, un editoriale che critica l'articolo di Giuseppe Cassini pubblicato da L'UNITA' del 4 giugno:
Non sono stati molti gli articoli pasdaran usciti sulla stampa italiana in occasione della visita di Ahmadinejad. Ma, tra questi, il punto più basso è stato toccato - a nostro modesto e opinabile avviso - dall'Unità di ieri. L'articolo di Giuseppe Cassini cominciava con un tentativo di sarcasmo sul Papa, scampato al temuto sbarco iraniano, a differenza del suo predecessore che dovette riparare a Castel Sant'Angelo a causa del sacco dei lanzichenecchi, dei quali si ricorda la connazionalità con il papa tedesco. Prosegue poi con l'affermare che «la scelta più conveniente per il primo ministro italiano sarebbe stata quella di andare incontro al suo pari grado iraniano» e sedersi intorno a un tavolo con lui. A parte il fatto che, se proprio si vuole usare questo linguaggio da caserma, Berlusconi non è pari grado di Ahmadinejad, essendo il primo premier e il secondo presidente della Repubblica, l'errore politico di Berlusconi consisterebbe nella sua servile fedeltà agli Stati Uniti. Errore doppio perché - ci ricorda Cassini - in realtà Obama si appresta ad aprire un dialogo con Ahmadinejad, proprio come fece «con molto pragmatismo, l'ultimo governo Prodi, proteggendo i nostri interessi enormi, in soldoni un volume di scambio pari a sei miliardi di euro».
L'articolo dell'Unità è insomma la summa di tutti i luoghi comuni dell'appeasement senza princìpi. Ahmadinejad è un buontempone quando dice di voler distruggere Israele, il nucleare è un suo diritto, e comunque ci sono in ballo i soldi. Dunque la trattativa con lui dovrebbe sostanzialmente lasciarlo in pace, concedergli l'atomica, in cambio di una promessa di fare il bravo ragazzo (dell'effetto che questa politica avrebbe su Israele non si accenna). E, naturalmente, si aggiunge che così farà Obama.
Peccato che proprio ieri il candidato democratico alla presidenza abbia testualmente detto: «Il pericolo posto dall'Iran è così serio e reale che il mio obiettivo sarà eliminare questa minaccia». E peccato soprattutto che su questi temi all'Unità non facciano scrivere Furio Colombo, che ne sa di più e che l'altra sera ha parlato alla nostra manifestazione contro Ahmadinejad e ha detto cose non dissimili da quelle che diciamo noi, che hanno detto Goffredo Bettini, Nicola Zingaretti, Gianni Vernetti, Emanuele Fiano e Olga d'Antona, e da quelle che ha detto ieri Obama. Ci auguriamo dunque che sia presto ridata la penna a Colombo. E se proprio la nouvelle vague concitista-tiscalista dell'Unità non glielo consente, può sempre chiederci ospitalità. Saremo lieti.
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