Libano: quando la resa diventa un'intesa
rassegna di quotidiani
Testata:
Data: 16/05/2008
Pagina: 11
Autore: Francesca Caferri - Roberto Bongiorni - Stefano Marinoni - Umberto De Giovannangeli
Titolo: Beirut, rimosse le barricate è tregua governo-Hezbollah - Accordo, in Libano rientra la crisi - Intesa governo- Hezbollah - Frattini non vedrà il Dalai Lama

"Beirut, rimosse le barricate è tregua governo-Hezbollah" è il titolo di REPUBBLICA ,
"Accordo in Libano, rientra la crisi" quello del
SOLE 24 ORE.
"Intesa governo- Hezbollah", il titolo del
MESSAGGERO

Tre giornali che presentano la resa a Hezbollah come "intesa" , "tregua" o "accordo".

Di seguito, da REPUBBLICA, l'articolo di Francesca Caferri:

BEIRUT - Le ruspe fanno la loro comparsa nelle strade di Beirut quando è già il tramonto: iniziano a rimuovere i cumuli di terra e spazzatura che per quasi una settimana hanno paralizzato la città sotto gli sguardi dei beirutini. Più perplessi che entusiasti.
Sotto la mediazione della Lega Araba l´opposizione libanese guidata da Hezbollah e il governo di Fuad Siniora - appoggiato dagli Stati Uniti - hanno raggiunto ieri sera un accordo che mette fine alla settimana di violenza che ha insanguinato il Libano e lasciato più di 80 morti sul terreno. In serata, tuttavia, in una nuova sparatoria a Baalbek, nella parte orientale del Paese, c´è stata un´altra vittima.
Le due parti hanno accettato un patto in sei punti che prevede che nessuno degli attori in campo - e il riferimento chiaro è a Hezbollah, vincitore indiscusso dei combattimenti dei giorni scorsi - «usi più le armi come strumento per ottenere risultati politici» e che, a partire da oggi stesso, inizi a Doha un nuovo round di incontri di «dialogo nazionale». Nella capitale del Qatar i protagonisti della politica libanese si incontreranno per cercare di mettere fine alla crisi politica che da 18 mesi paralizza il paese dei Cedri: concordare la formazione di un governo «di unità nazionale», una nuova legge elettorale, finalizzare l´elezione del generale Michel Suleiman - numero uno dell´esercito e candidato unico, su cui tutti i partiti sono d´accordo - alla presidenza della Repubblica, rimuovere il sit-in dell´opposizione che dal dicembre 2006 paralizza il centro di Beirut sono i punti nell´agenda del dialogo. Come segno di impegno verso il dialogo, Hezbollah e i suoi alleati hanno accettato di rimuovere i blocchi stradali e di consentire così la ripresa della normale attività all´aeroporto e al porto di Beirut, bloccati dall´inizio degli scontri.
Termina così, grazie all´intervento della Lega araba, una delle settimane più drammatiche vissute dal Libano dalla fine della guerra civile a oggi: quella che ha visto uomini armati e a volto coperto tornare a sparare nelle vie della capitale e i cecchini riappropriarsi dei tetti. Una settimana per alcuni versi ancora peggiore di quelle dell´estate del 2006, quando le bombe israeliane cadevano sulla città ma almeno i libanesi avevano la consolazione di sentirsi, una volta tanto, uniti di fronte a un nemico comune.
A testimonianza della drammaticità del momento, nella capitale libanese ieri la tensione è rimasta alta per tutto il giorno: incuranti delle buone notizie che filtravano da televisioni e radio, gli abitanti hanno limitato al minimo indispensabile gli spostamenti e, in molti casi, si sono semplicemente rifiutati di attraversare la linea invisibile che da mercoledì taglia in due la città. Quella che durante la guerra civile ha diviso la Beirut ovest musulmana dalla Beirut est cristiana e che, a partire dalla scorsa settimana, è tornata ad esistere. I cristiani sono rimasti con i cristiani, i sunniti con i sunniti, gli sciiti con gli sciiti: le vecchie frontiere sono tornate e, a parere di molti qui a Beirut, non scompariranno facilmente, accordo politico o meno.

L'UNITA' pubblica un'articolo di Umberto De Giovannangeli che vorrebbe essere una difesa della politica estera di Massimo D'Alema.
Vale invece come un serio e preoccupato interrogativo sulla politica di Franco Frattini:

«PARTENDO IN PRIMIS - aggiungeva - dal boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino fino a richiedere la sospensione e il rinvio dei Giochi per arrivare, per quanto riguarda il nostro Paese, al ritiro delle delegazioni dei nostri rappresentanti diplomatici in Cina...». In
campagna elettorale, per il boicottaggio delle Olimpiadi, e per un sostegno esplicito, senza se e senza ma, nei confronti del Dalai Lama si esprimeva la riconfermata parlamentare del Pdl Margherità Boniver e con lei altri esponenti di Forza Italia e Alleanza Nazionale. In campagna elettorale. E anche prima. Dicembre 2007: il Dalai Lama è in visita a Roma, a riceverlo per il governo è il sottosegretario agli Esteri, Gianni Vernetti, ma non il primo ministro Romano Prodi. Tuona il parlamentare di Forza Italia, Benedetto Della Vedova: «Prodi si vergogni: non era all’estero, lo ha evitato». Incalza Sandro Bondi, oggi oggi ministro della Cultura: «Indebolita l’immagine dell’Italia». An, dal canto suo, spara a zero contro l’allora presidente della Camera, Fausto Bertinotti: se non ha fatto parlare in Aula il Dalai Lama, è perchè lui (Bertinotti) è «comunista».
E a dar manforte al centrodestra indignato è Il Giornale che così commentava l’impossibilità di Romano Prodi di ricevere il Dalai Lama: «Ma ogni delicatezza per non disturbare la Cina, dispotismo comunista che da quando esiste ha fatto la guerra a tutti i suoi vicini». E continua: «Perciò anche in Italia come in Canada e negli Stati Uniti e in Germania si deve ricevere con ogni onore il Dalai Lama». Questo un anno fa, questo nella recentissima campagna elettorale. Ora, però, la situazione è cambiata. Non in Tibet, certo a Roma. Ora a prevalere è la realpolitik, che non ammette «provocazioni». A spiegarlo è il neo ministro degli Esteri, Franco Frattini. In una intervista a tutto campo pubblicata ieri dal Financial Times, il titolare della Farnesina spiega che lui non ha intenzione di provocare inutilmente gli «amici cinesi» incontrando il Dalai Lama. Tuttavia - prosegue il quotidiano riassumendo il pensiero del ministro - Frattini ha manifestato il proprio sostegno all’approccio portato avanti dal Dalai Lama per ottenere l’autonomia del Tibet, precisando inoltre che si oppone alla posizione di chi nell’Ue cerca di sospendere l’embargo sulle armi in Cina. Comunque sia, la porta della Farnesina non è aperta per il leader spirituale tibetano. Imbarazzante.
Il ministro degli Esteri chiude la porta al Dalai Lama e dà credito a Hezbollah, «riabilitando» così il suo predecessore, Massimo D’Alema. Per Frattini «anche gli Stati Uniti si rendono conto, per consolidare la stabilità libanese e per eleggere un presidente, è evidente che ci vogliono tutte le fazioni in contrasto, compreso il partito politico di Hezbollah, che ha membri in Parlamento», dice Frattini conversando con i giornalisti che l’hanno accompagnato a Lima per il vertice Ue-America Latina e Caraibi.
Una riflessione, quella sulla natura complessa di Hezbolllah, che quando fu avanzata da D’Alema costò all’allora ministro degli Esteri una bordata senza fine di accuse pesantissime, la più tenera «va a braccetto con i terroristi di Hezbollah», rivoltegli da tutti, ma proprio tutti, i leader del centrodestra. A cominciare da Silvio Berlusconi. «L’America - denunciava il Cavaliere in campagna elettorale - ci ha messo da tempo nella lista dei paesi su cui non si può contare. Questo governo strizza l’occhio ad Hezbollah...». Non meno tenero era stato Gianfranco Fini: «Hezbollha è non solo, ma anche, una organizzazione terroristica - sosteneva il neo presidente della Camera -. Anche in questa occasione ha trovato solidarietà e gode anche della solidarietà del ministro degli Affari Esteri italiano». Quel ministro era D’Alema. E Frattini?

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