L 'UNITA' del 5 marzo pubblica un articolo di Umberto De Giovannageli sull'offerta dell'ex presidente americano Jimmy Carter e dell'ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan: fare da mediatori tra Hamas e Israele.
Lo riportiamo non tanto per la notizia in se, dato che la proposta è del tutto irrealistica, perché Israele non potrà mai accettare come mediatori due personalità che si sono dimostrate come minimo ostili nei suoi confronti. Piuttosto, è interessante la valutazione positiva dell'UNITA', che fa il paio con quella, entusiastica, di Hamas.
Un ulteriore prova della linea politica del giornale sul Medio Oriente.
Ecco il testo:DUE NEGOZIATORI per una tregua. L'ex presidente Usa Jimmy Carter e l'ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan vorrebbero cimentarsi in una
mediazione fra Israele e Hamas, allo scopo di salvare la prospettiva che entro la fine del 2008 si raggiunga un accordo israelo-palestinese di pace. Anche perchè finchè permane la scissione politico-regionale palestinese fra il regime di Hamas a Gaza e quello dell’Anp (ossia di al-Fatah) in Cisgiordania è difficile gettare le basi di un futuro stato indipendente palestinese, dotato di continuità geografica.
I due grandi della politica internazionale hanno compiuto di recente un primo approccio rivolgendosi ad esponenti di Kadima affinchè tastassero il terreno con l’ufficio del premier Ehud Olmert. Carter ed Annan, a quanto è stato riferito, hanno chiesto di sapere se Israele vedrebbe sotto una luce positiva una loro missione nella zona, in un futuro non lontano. In particolare, hanno bisogno di sapere se sarebbe garantito loro l’ingresso a Gaza. Commenti ufficiali, per ora, non ce ne sono. Fonti di Kadima hanno detto, ufficiosamente, che l’iniziativa rappresenta «un mal di testa» per Olmert. Probabilmente intendevano dire che questi da un lato non desidera essere sgarbato nei loro confronti ma dall’altro non freme in attesa del loro arrivo. Annan è generalmente visto in Israele come un diplomatico abile ed equilibrato: con l’eccezione della vicenda del rapimento nel 2000 di tre soldati israeliani da parte degli Hezbollah, in cui Israele ebbe l’impressione che l’Onu avesse mostrato una dose di acquiescenza verso i miliziani libanesi. Emozioni ben diverse suscita invece a Gerusalemme Jimmy Carter. In teoria dovrebbe essere atteso a braccia aperte perchè con il vertice di Camp David (1978) facilitò il raggiungimento dello storico accordo di pace fra Israele ed Egitto che, 30 anni dopo, malgrado gli scetticismi di allora, regge ancora solidamente. In seguito però Carter non ha lesinato le sue critiche allo Stato ebraico. Due anni fa ha destato reazioni molto adirate in Israele quando ha pubblicato il libro «Palestina: pace, non apartheid» che conteneva una dura requisitoria verso i dirigenti di Gerusalemme. «Il presidente Carter è benvenuto a Gaza», dice il premier di Hamas Ismail Haniyeh. Adesso Carter ed Annan attendono di sapere da Israele se sia il caso di fare le valige. Fonti governative, citate dalla radio militare, hanno previsto che essi comunque sarebbero ben accolti ma anche gentilmente pilotati «verso iniziative più positive», che non sono state per ora meglio precisate.
Tra raid e razzi, la diplomazia cerca di riallacciare i fili del negoziato. Cambia posizione il presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), e poche ore dopo aver lanciato il suo ultimatum sulla necessità di ristabilire una tregua prima di riprendere i negoziati di pace con Israele, accetta le condizioni americane: «Il processo di pace è una scelta strategica - scrive o in un comunicato ufficiale - e noi abbiamo intenzione di riprenderlo». Immediata la reazione di Hamas: «Lui è un uomo troppo debole».Tanto è bastato comunque alla segretaria di Stato americana, Condoleezza Rice, per concludere la sua frenetica missione fra Gerusalemme e Ramallah, potendo annunciare «l’impegno ricevuto sia dai palestinesi che dagli israeliani sulla volontà di riprendere i negoziati», con l’obiettivo (in verità improbabile) di giungere ad un accordo di pace entro il 2008. Un risultato insperato fino a metà mattina, quando Abu Mazen tornava a ribadire che senza una tregua generale non si poteva riprendere nessun colloquio. Ma il pressing americano ha portato al ripensamento il rais. Neppure Condoleezza Rice si è invece sbilanciata su quando i colloqui potranno davvero riprendere. Un vertice ancora da confermare, ma evidentemente condizionato dalla tenuta di quella calma nella Striscia timidamente auspicata da Abu Mazen. E la calma adesso sembra prometterla anche il primo ministro israeliano Ehud Olmert: «Se cesseranno gli attacchi di razzi Qassam contro Israele, Israele non avrà alcun motivo per azioni militari a Gaza - ha dichiarato ieri -. Gli israeliani non si svegliano ogni mattina pensando a come colpire Gaza: se non siamo attaccati, noi non attacchiamo». Sul campo, la tensione resta alta, La tensione rimane molto alta. . In mattinata il Consiglio di difesa del governo israeliano aveva dato ordine all’esercito «di mettere fine definitivamente» ai lanci di razzi palestinesi da Gaza verso il Neghev. «La situazione è insopportabile» ha detto il ministro Meir Shitrit (Kadima) al termine della riunione del Consiglio. «Tsahal potrà continuare ad agire - avverte Shitrit - finchè i lanci di razzi da Gaza non termineranno: la responsabilità è tutta di Hamas. Ora sono stati avvertiti».
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