Può un documentario portare all’arresto del suo regista? In Israele, sì. È il caso di Mohammed Bakri che il prossimo giovedì 28 febbraio sarà processato nello stato ebraico per “vilipendio dell’esercito israeliano”.
La sua colpa? Quella di aver realizzato un documentario sul massacro compiuto dagli israeliani il 3 aprile 2002 nel campo profughi palestinese di Jenin (ospitante quattordicimila profughi circa), che fu raso al suolo. La pellicola fu realizzata l’indomani dell’incursione dall'esercito israeliano a Jenin, messa in atto lo scopo per catturare o uccidere militanti palestinesi, responsabili di attacchi suicidi. Vengono mostrati gli effetti diretti delle armi, insieme a interviste.
Attacchi aerei contro inermi civili che vivono a stento. Si ripete la storia dei più forti che se la prendono coi più deboli. Si ripete la storia degli USA che vanno a bombardare i pastori afgani alla ricerca di un terrorista, che magari se ne stava al caldo in Arabia Saudita.
Il film è stato molto censurato. Bandito inizialmente, in un secondo momento l'Alta Corte israeliana ne ha permesso la visione. Conti alla mano, fra Tel Aviv e Gerusalemme, non si è superato il numero quattro.
Nella stessa Italia non è mai arrivato nelle sale cinematografiche ufficiali. A partire dalla seconda settimana di gennaio 2008, in coincidenza con la riapertura del processo, sono state organizzate proiezioni pubbliche del film simultaneamente in diverse città italiane, e il film sta iniziando a girare attraverso circuiti locali.
Nella giornata odierna, sarà infatti proiettato al Circolo Culturale Candiani (piazzale Candiani, 7) di Mestre (VE), nella sala conferenze (quarto piano) a partire dalle 17. Ingresso libero.
A organizzare l’appuntamento, in collaborazione con il Centro Pace di Venezia, la sezione locale dell’associazione Pax Christi.
|