L'inviato europeo vuole la fine dell'"assedio" di Gaza
ma non ha risposte credibili al problema dei razzi kassam
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Data: 11/02/2008
Pagina: 9
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Gaza sotto assedio rischia di diventare la nuova Somalia
Marc Otte, inviato speciale dell’Unione Europea per il Medio Oriente teme che la prosecuzione dell'"assedio" israeliano, trasformi Gaza in una "nuova Somalia".

Di fatto, l'anarchia armata regna da tempo nella Striscia (e in tutti i territori palestinesi ) e l'Autorità palestinese ha già dimostrato di non essere in grado di riportare l'ordine, il che rende la soluzione prospettata da Otte irrealizzabile.

Israele, d'altro canto, non assedia Gaza. Cerca di fermare i passaggi di armi ae di terroristi. 
Nemmeno i parziali e temporanei  tagli dell'elettricità e del carburante possono essere definiti "assedio".  In primo luogo è bene ricordare che quell'ettricità e quel carburante vengono utilizzati anche dai terroristi per far funzionare le officine nei quali si producono i kassam.
Si deve poi fare una considerazione più generale: la vera notizia non è che Israele tagli le forniture a Gaza, entità nemica dal cui territorio viene continuamente attaccata, ma piuttosto che continui a rifornirla e ad assicurare il funzionamento dei servizi essenziali. In cambio della pioggia di razzi kassam che colpisce il suoi civili.

Ecco il testo dell'intervista a Otte pubblicata dall'UNITA' dell'11 febbraio 2008:

«Proseguire l’assedio trasformerà la Striscia di Gaza in una nuova Somalia e rafforzerà la popolarità di Hamas e degli estremisti, indebolendo il primo ministro palestinese Salam Fayyad. Chi paga il prezzo dell’assedio sono solo i civili palestinesi». Gaza come una Somalia mediorientale. Terra di nessuno, terra di conquista per i signori della guerra. Terra di caos armato. A lanciare l’allarme è Marc Otte, inviato speciale dell’Unione Europea per il Medio Oriente. Il diplomatico belga guarda con preoccupazione al futuro partendo da una allarmata considerazione sul presente: «La tattica utilizzata da Israele a Gaza - rileva Otte - non ha funzionato. L’assedio non è riuscito a buttare a mare Hamas. Il movimento integralista non è stato danneggiato, e come conseguenza vi è solo la crescita della tensione tra Israele e Egitto».
L’epicentro della tensione in Palestina era e resta Gaza. Qual è la sua preoccupazione più forte?
«C’è il rischio concreto che Gaza si trasformi in una sorta di Somalia mediorientale dove a regnare sia il caos armato. Proseguire l’assedio, una prospettiva che dovrebbe allarmare tutti…».
Compreso Israele?
«Direi a cominciare da Israele. Occorre prendere atto che la tattica utilizzata da Israele a Gaza non ha funzionato. Il blocco e le sanzioni hanno aggravato ulteriormente le condizioni di vita della popolazione civile senza aver indebolito Hamas. Al contrario, Hamas sembra essersi rafforzato in questa situazione di eterna emergenza mentre a uscire indebolita è la leadership moderata del presidente Abbas e del premier Fayyad».
A complicare la situazione c’è stato lo "sfondamento" del muro che segna il confine fra Gaza e l’Egitto. Nei giorni scorsi lei ha avuto modo di incontrare i vertici politici egiziani. Quale impressione ne ha ricavato?
«Ho registrato una forte preoccupazione unita alla determinazione di non lasciar peggiorare la situazione. Le autorità egiziane sono pronte ad assumersi le loro responsabilità nell’attuazione di un piano che prevede l’apertura del valico di Rafah e una lotta più serrata al contrabbando di armi. Ma a questo impegno deve corrispondere , è la sottolineatura egiziana, un ripensamento da parte di Israele delle scelte compiute su Gaza. Il che vuol dire, ad esempio, favorire il passaggio del controllo dei valichi di Karni e Sufa (i posti di frontiera tra Israele e la Striscia, ndr.) all’Autorità palestinese, come ha ripetutamente chiesto il primo ministro Fayyad con il sostegno egiziano».
Potrebbe bastare questo per rendere meno esplosiva la situazione?
«Sarebbe un segnale importante di una responsabilità "triangolare" - Israele, Egitto, Anp - condivisa. Si tratterebbe anche della presa d’atto del fatto che il blocco della Striscia di Gaza imposto da Israele è stato fattore fondamentale per ciò che è poi avvenuto a Rafah: questa è la convinzione manifestatami dal presidente Mubarak e dal generale Soleiman (capo dei servizi di sicurezza egiziani, ndr). A ciò aggiunga che accettare il piano-Fayyad impegnerebbe la dirigenza palestinese in un’azione di contrasto delle milizie responsabili dei continui lanci di razzi Qassam in territorio israeliano. Il presidente Abbas si è detto pronto a far fronte a questo impegno. Perché non metterlo alla prova?».
Lei parla della necessità da parte di Israele di ripensare profondamente la politica fin qui adottata per Gaza. Su cosa basa questa necessità?
«Sul fatto che la pressione esercitata sulla popolazione civile non ha provocato l’auspicata sollevazione contro Hamas. La gente non ha "gettato a mare" i capi di Hamas. Il blocco ha reso invece più complessa e problematica la situazione sia per Israele che per l’Egitto finendo per creare inutili tensioni fra i due Stati. Un dato tanto più preoccupante se si pensa che l’Egitto con il presidente Mubarak è un perno decisivo per il raggiungimento della pace in Medio Oriente. È davvero giunto il momento per Israele di decidere cosa vuol fare».
Quali suggerimenti si sentirebbe di dare al premier israeliano Ehud Olmert e al ministro della Difesa Ehud Barak?
«Israele dovrebbe accettare il piano-Fayyad e questo non per un astratto principio di giustizia ma perché è nel suo interesse».
Nel senso?
«Nel senso che quel piano metterebbe pressioni su Hamas, costringendo i suoi dirigenti a decidere se continuare ad agire in modo tale da impedire la riapertura dei valichi. Ma se Hamas agisse in questo modo, allora sì che scatenerebbe la reazione della popolazione di Gaza. Israele dovrebbe prendere atto che non potrà ottenere nulla di meglio di Salam Fayyad. Mi sembra di capire che l’esercito e lo Shin Bet (il servizio di sicurezza interno israeliano, ndr.) siamo preoccupati, e con fondati motivi, per la situazione a breve termine. Non sottovaluto questi timori ma penso anche che occorra guardare un po’ avanti e questo è il compito della leadership politica».
In passato diversi leader europei, ultimo in ordine di tempo il presidente francese Sarkozy, hanno evocato l’ipotesi di una forza internazionale da dislocare a Gaza. È ancora una ipotesi in campo?
«È un problema di volontà politica. Il dispiegamento di una forza internazionale potrebbe avvenire rapidamente ma solo dietro l’assenso, non solo formale ma fattivo, da parte del governo israeliano e dell’Autorità palestinese. Siamo in una fase di ascolto ma l’inasprimento della situazione a Gaza allontana questa prospettiva».
Nell’assumere l’incarico di inviato speciale dell’Unione Europea per il Medio Oriente, lei affermo di voler contribuire a trasformare le barriere di confine a Gaza in "ponti".
«Continuo a lavorare per realizzare questa speranza. Perché la pace fra israeliani e palestinesi non può tagliar fuori la Striscia e la sua popolazione».

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