Da LIBERAZIONE del 7 febbraio 2008, un articolo che con argomenti assurdi minimizza il pericolo del terrorismo:
Al Qaeda sarebbe sul punto di completare l'addestramento di una nuova rete di operativi per attaccare gli Stati Uniti partendo dai santuari protetti nelle zone tribali del Pakistan, dove si stanno rapidamente riorganizzando. L'ha dichiarato ieri Michael McConnell davanti al comitato del Senato sull'intelligence, riunito soprattutto per cercare di chiarire per quale motivo sono stati distrutti i nastri degli interrogatori delle menti dell'11 settembre, gli unici membri di alto livello dell'organizzazione terrorista che siano mai finiti nelle mani delle autorità statunitensi. La Cia non è riuscita a chiarire la questione e il dibattito - almeno ufficialmente - verte unicamente sull'impiego della tortura, ma l'audizione è stata comunque un'occasione per infondere un po' di buon vecchio terrore negli americani, troppo distratti dai problemi economici contingenti e dai testa a testa del Super martedì. Ma quanto bisogna prendere sul serio questi avvertimenti? Ci sono prove circostanziate o è soltanto l'ennesima versione di quella che il professor Leif Wenar dell'università di Sheffield definisce il «falso senso d'insicurezza» che l'entourage di Bush amministra abilmente da otto anni? Insomma, bisogna avere paura di Bin Laden o è un falso problema?
Per rispondere a questa domanda senza disporre di una palla di vetro si può utilizzare il buon vecchio metodo statistico che, sulla base dei dati già disponibili, può fornire previsioni credibili. Invece di lanciarsi in supposizioni più o meno fondate sulle intenzioni e sulle capacità operative dei terroristi, perché non andare a dare un'occhiata ai numeri? Davvero la minaccia di Al Qaeda è la peggiore mai concepita? Per rispondere a queste domande abbiamo attinto a piene mani da "Economia canaglia", interessantissimo libro scritto da Loretta Napoleoni, esperta di terrorismo internazionale e di finanza, che fornisce un'interessante comparazione fra il terrorismo di oggi e quello di ieri. Viene fuori ad esempio che l'isteria dei controlli aeroportuali è del tutto immotivata: è negli anni Settanta che si raggiunge l'apice dei dirottamenti di aerei occidentali che, da allora, sono in netto declino. Va bene, direte voi, però gli attacchi terroristici internazionali sono più frequenti e più sanguinosi. Niente di più falso: le statistiche ufficiali mostrano infatti che in questo caso sono gli anni Ottanta ad avere il primato (1.219 attacchi), seguito dagli anni Settanta (920 attacchi) e dagli anni Novanta (626 attacchi). Incredibilmente il primo decennio del 2000 risulta il più tranquillo (solo 188 attacchi) se si esclude l'evento eccezionalmente devastante dell'11 settembre. Una rapida analisi delle statistiche europee conferma che il rischio di morire in un attentato era molto più alto negli anni Settanta e Ottanta di quanto non lo sia oggi. Ma allora di che cosa bisogna avere paura?
Certamente gli americani dovrebbero pensare meno alla minaccia esterna e più a quella interna - nel senso che i maggiori pericoli derivano da quello che entra nel loro corpo. E' infatti l'obesità il vero killer che supera in efficienza il tabacco ed è al primo posto delle morti che potrebbero essere prevenute. Circa 400 mila decessi l'anno, cioè il 16 per cento del totale, sono dovuti all'obesità, ovvero alle abitudini "canagliesche" dell'industria alimentare costantemente a caccia di composti sempre più economici (i dolcificanti di mais invece del saccarosio, o i nuovi prodotti senza grasso ma pieni di carboidrati). Il risultato è appunto un'epidemia di cardiopatie e diabete senza precedenti che sta letteralmente falcidiando i cittadini statunitensi mentre la lobby dell'industria alimentare fa muro contro qualunque tentativo di regolamentazione del settore.
Tolto il cibo spazzatura e le bevande a base di zucchero e bollicine, il luogo più pericoloso per gli americani resta comunque la propria casa. Ogni anno negli Stati Uniti vengono assassinate 16 mila persone, ma molte di più rischiano la vita semplicemente sedendosi dietro al volante. E' vero che l'11 settembre del 2001 sono morte ben 3.000 persone ma, da quella data, di incidenti stradali ne sono morte ben 200 mila. Insomma, come scrive la Napoleoni, «La probabilità che un americano muoia in un incidente aereo è di circa una su 13 milioni (11 settembre incluso), mentre basta percorrere solo 18 chilometri alla guida sulle strade più sicure d'America (le interstatali in zone rurali) per raggiungere lo stesso livello di rischio. E' più probabile morire sulla strada dell'aeroporto che non esplodere nel terminal o in volo». Ma se è bastato che un pazzo infilasse dell'esplosivo nei tacchi delle scarpe per riformare il sistema di sicurezza e le abitudini di viaggio di milioni di persone, quale misura bisognerebbe prendere contro l'industria alimentare in grado di fare fuori, da sola, quasi mezzo milione di americani l'anno? E cosa dire dei fabbricanti di Suv la cui entrata in commercio è bastata, da sola, a incrementare la mortalità degli incidenti su strada?
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