Senza entrare nel merito del giudizio sulla figura politica dell'olandese Geert Wilders, osserviamo che Ian Buruma, nell'articolo a lui dedicato pubblicato dal CORRIERE della SERA del 5 febbraio 2008, propone una difesa del multiculturalismo che è ormai stata ampiamente smentita dai fatti.
Il multiculturalismo, semplicemente, non funziona. Prenderne atto non è intolleranza o razzismo. Così come, diversamente da quanto vuol far credere Buruma, non è intolleranza o propensione guerrafondaia per le "maniere forte" sostenere che Israele deve difendersi dagli attacchi del terrorismo.
Ecco il testo completo dell'articolo:Q uando «tolleranza» diventa una parola ingiuriosa in un Paese come l'Olanda, sappiamo che qualcosa è andato terribilmente storto. Da sempre gli olandesi sono orgogliosi di essere il popolo più tollerante della terra. In tempi meno sospetti, nessuno si sarebbe mai sognato di criticare il discorso della regina Beatrice lo scorso Natale, quando ha rivolto alla nazione un accorato appello per la tolleranza e «il rispetto delle minoranze». Ma Geert Wilders, capo del Partito della libertà, di estrema destra e antimusulmano, è rimasto talmente disgustato dalle «sciocchezze multiculturali» della regina da chiedere addirittura che venga destituita del suo ruolo costituzionale nel governo.
Questo Wilders, un arruffapopoli assai noto, il cui partito occupa nove seggi nel parlamento olandese, ha paragonato il Corano al Mein Kampf di Hitler, vuole mettere fine all'immigrazione musulmana in Olanda e reclama a gran voce che agli immigrati già presenti nel Paese venga imposto di stracciare il Corano se intendono rimanere. La tolleranza verso l'Islam rappresenta, ai suoi occhi, una politica debole di eccessive concessioni. E' convinto che l'Europa corre il rischio di essere «islamizzata ». «Presto ci saranno più moschee che chiese», tuona Wilders, se i veri europei non troveranno il coraggio per far valere le proprie ragioni e salvare la civiltà occidentale.
Nonostante la richiesta di mettere al bando il Corano, Wilders e i suoi seguaci si dicono accesi sostenitori della libertà di parola, come diritto innato degli occidentali. La regina ha affermato che il diritto alla libertà di parola non significa automaticamente il diritto di offendere. Wilders non è d'accordo. Nessuna critica dell'Islam, per quanto offensiva, deve essere intralciata dalla correttezza politica. E Wilders non perde occasione per mettere alla prova la tolleranza dei musulmani, che spesso è assai limitata. La sua ultima provocazione è un cortometraggio di denuncia del-l'Islam, che non è stato ancora diffuso, ma ha già sollevato un'ondata di panico in tutti i settori della società. Le ambasciate olandesi si preparano ad affrontare manifestazioni violente, il governo pensa di adottare speciali misure di sicurezza e, cosa sorprendente per un politico olandese, e per di più di scarso rilievo come Wilders, la notizia delle sue bizzarrie è approdata sulla stampa mondiale.
Alcuni commentatori sostengono che Wilders, nato e cresciuto cattolico in una cittadina della provincia olandese, è un vero credente, come i suoi avversari musulmani, che si è fissato l'obiettivo di conservare intatto il retaggio «giudeo-cristiano» dell'Europa. Sarà pure un credente sincero, ma questo argomento è fasullo. La sua battaglia contro l'Islam è anche, e forse soprattutto, una battaglia contro le élite culturali e politiche, gli ambienti intellettuali più influenti in Olanda, gli eurocrati di Bruxelles, la sovrana celebre per le vedute liberali. I suoi discorsi sono punteggiati di riferimenti ai poteri arroganti, che hanno perso ormai qualsiasi contatto con la gente comune. La «tolleranza » appare segno elitista e di debolezza, tipico delle persone che vivono molto lontane dalla dura realtà della strada, dove gli onesti cittadini si sentono minacciati da stranieri indisciplinati e violenti.
Questa della debolezza delle élite non è una nozione confinata all'Olanda. In Israele, i suoi rappresentanti sono chiamati, con un ghigno sarcastico, «le anime belle», siano essi gli attivisti colti che criticano gli abusi israeliani contro i palestinesi, o i pacifisti israeliani convinti che le trattative siano sempre preferibili alla violenza, e che persino gli arabi hanno i loro diritti. L'uomo della strada, più a contatto con il mondo reale, sa invece come stanno davvero le cose. Bando ai compromessi: il pugno di ferro, la linea dura, sono questi i metodi per ottenere risultati. Negli Stati Uniti, la parola «liberale», in bocca ai conduttori radiofonici populisti e ai politici di destra, è diventata quasi sinonimo dello snob effeminato della costa atlantica, o peggio ancora, dell'«intellettuale di New York». I liberali, sotto questa prospettiva, non sono soltanto dei rammolliti, ma nascondono anche sentimenti distintamente antiamericani.
L'associazione tra élite e forestieri, tolleranza e grandi metropoli è di lunga data. Le élite spesso parlano lingue straniere e le grandi città si rivelano più accoglienti e tolleranti alle popolazioni miste. Dai politici americani che si scagliano, o fingono di scagliarsi, «contro Washington», ai populisti francesi che parlano a nome della «Francia profonda », il populismo moderno è invariabilmente ostile alle capitali. E «Bruxelles», capitale dell'Unione Europea, incarna tutto quello che i populisti, siano essi di destra o di sinistra, odiano visceralmente. Gli immigrati musulmani vivono ad Amsterdam, Londra o Marsiglia e non nelle cittadine di provincia dove i populisti di destra raccolgono il maggior numero di consensi.
Tuttavia, la politica del risentimento si diffonde quando riesce a insinuarsi nei timori reali della gente. Esistono motivi innegabili che ci rendono ansiosi davanti alla globalizzazione economica, alla burocrazia paneuropea, all'enorme afflusso di immigrati che spesso sfugge a controlli efficaci e all'aggressione del-l'Islam radicale e politicizzato. Queste paure sono state troppo a lungo ignorate. Si avverte una sensazione tra gli europei, e non solo in Olanda, di essere stati abbandonati in un mondo che è rapidamente cambiato, dove le multinazionali sono più potenti degli Stati, dove i ceti agiati e altamente istruiti delle grandi città se la cavano discretamente, mentre la gente comune delle province si dibatte tra mille difficoltà, e dove i politici eletti democraticamente non solo si rivelano impotenti, ma si sono già miseramente arresi davanti a queste forze di gran lunga superiori che minacciano i comuni cittadini. La tolleranza è vista allora non solo come debolezza, ma addirittura come tradimento.
La minaccia musulmana, dal canto suo, non è affatto una fantasia. Un numero esiguo di estremisti ha inflitto violenze reali nel nome della fede islamica e continuerà a farlo. Eppure il risentimento popolare è più diffuso e profondo. Wilders, e altri come lui, non si limitano ad attaccare gli estremisti. Il suo successo nasce da quel senso di tradimento e, come spesso accade, l'odio per le élite ha trovato sfogo nell'odio per gli stranieri, dall'aspetto diverso e dai costumi insoliti. E' nostro dovere combattere l'estremismo islamico, certo, ma evitando di far leva sugli istinti più oscuri e pericolosi delle masse irragionevoli, perché da questo non è mai venuto nulla di buono.
Sempre in tema di "politicamente corretto", un articolo su un dizionario di frasi utili elaborato dal ministero dell'Interno di Londra per gli agenti di polizia e i funzionari pubblici impegnati nell'anti- terrorismo.:LONDRA — Per contrastare i fondamentalisti della «guerra santa islamica» è meglio non chiamarli «jihadisti». Vanno definiti «criminali», «assassini», «teppisti», a seconda della gravità del reato commesso.
È uno dei consigli contenuti in un dizionario di frasi utili elaborato dal ministero dell'Interno di Londra per gli agenti di polizia e i funzionari pubblici impegnati nell'anti- terrorismo.
L'obiettivo è di non dare alla comunità musulmana del Regno Unito la sensazione che le autorità la ritengano colpevole o sospetta in massa di estremismo. E tra le espressioni da non usare, appunto, c'è proprio «islamic extremism »: meglio «violent extremism ». E ancora: invece di «radicalizzazione » andrebbe detto «indottrinamento » o «lavaggio del cervello»; «deradicalizzazione» va corretto in «riabilitazione». Al posto di «battaglia per i valori», agli investigatori è suggerito di dire «valori condivisi».
Centinaia di dizionari con la traduzione delle espressioni della «retorica aggressiva» in quelle della persuasione sono già state distribuite e una copia è stata passata al
Guardian, quotidiano progressista che ha rivelato il piano sul nuovo linguaggio del terrore.
«Qui non si tratta di correttezza politica, ma di efficacia. Il linguaggio fa parte dello sforzo di comunicare con le comunità. La gente smette di ascoltare se pensa di essere sotto attacco», ha spiegato un portavoce dello Home Office.
Dopo l'11 settembre Tony Blair seguì l'alleato George Bush e cominciò a parlare di guerra al terrorismo islamico, di Armageddon,
il termine usato nelle Scritture per indicare la battaglia finale tra i re della terra (incitati da Satana) e il Dio dei cristiani, tra il bene e il male. Uno dei primi atti di Gordon Brown, quando a fine giugno dell'anno scorso ha ereditato la guida del governo, è stato di cancellare l'espressione «guerra al terrorismo».
Troppo bellicoso, da crociata e nella sua visione la vittoria militare non basta, ci vuole sempre la soluzione politica dopo: quella che qui si chiama la «sfida per conquistare cuori e menti» (degli sconfitti, naturalmente).
Diversi analisti (e una parte dello schieramento politico) temono che gli atti di terrorismo in Gran Bretagna, compiuti da cittadini di fede musulmana, siano stati ispirati da risentimento per le campagne militari in Iraq e in Afghanistan. Una teoria controversa, sempre respinta da Tony Blair che ricordava come questa fase storica sia stata aperta dall'attacco alle Torri Gemelle, primo atto di una guerra che l'Occidente non aveva mai dichiarato. E un ex jihadista britannico del gruppo Al Muhajiroun (quello da cui sono venuti gli attentatori suicidi del 7 luglio 2005), ha rivelato che lui e i suoi compagni ridevano di cuore quando qualche esperto in tv proclamava che il terrorismo islamico era originato dalla politica estera dell'Occidente.
Il contrasto al terrorismo, come qualsiasi guerra, comunque si combatte anche con la psicologia e il nuovo dizionario per agenti mette in guardia dal rischio di dare l'impressione che sia in corso uno «scontro di civiltà ». Per questo, tra gli altri esempi di parole da evitare ci sono battaglia e scontro, da sostituire con sfida e minaccia. E poi «islamofobia»: più appropriato «discriminazione».
Questa è la teoria del linguaggio. Poi viene la pratica. Il Parlamento di Londra è scosso in questi giorni dalla polemica per la scoperta che un deputato laburista è stato «intercettato» dalla polizia mentre in carcere parlava con un sospetto di terrorismo che è anche un membro del suo collegio elettorale.
Ascoltare e registrare le conversazioni dei parlamentari è vietato (anche se non per legge) in Gran Bretagna dagli anni Settanta, quando si sospettò che il primo ministro laburista Harold Wilson fosse stato spiato dai servizi segreti e per questo si fosse poi dimesso. Il deputato si chiama Sadiq Khan ed è di origine musulmana e il detenuto con cui parlava è Babar Ahmad, sospetto jihadista (o meglio, sospetto criminale) di cui gli Stati Uniti chiedono l'estradizione.
Guido Santevecchi
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