Le dichiarazioni di Tariq Ramadan sulla Fiera del libro di Torino sono la miglior risposta a quanti hanno descritto l'intellettuale fondamentalista come un "moderato" aperto al dialogo.
Le menzogne propagandistiche dell'intervista che segue e la tesi razzista per la quale non "si può approvare nulla che provenga da Israele" rivelano il vero Ramadan.
Quello descritto dai pochi che hanno cercato di smascherarne la doppiezza, come, in Italia, Magdi Allam.
Da LIBERO, la traduzione dell'intervista a Tariq Ramadan:
Tutti coloro che «hanno una coscienza viva» a prescindere dal loro credo, dovrebbero boicottare la Fiera del Libro di Torino, in programma dall’8 al 12 maggio, che avrà Israele come ospite d’onore, in coincidenza con il Sessantesimo anniversario della sua fondazione. È l’appello lanciato, in un’intervista ad Aki - Adnkronos International, da Tariq Ramadan, discusso intellettuale di origine egiziana, nipote di Hasan al-Banna, fondatore in Egitto della formazione filo-islamica dei Fratelli musulmani, e professore di Filosofia e Studi Islamici all’Università di Friburgo e a Ginevra. L’Unione degli scrittori arabi ha protestato contro la designazione di Israele come invitato d’onore della prossima edizione della Fiera Internazionale del Libro di Torino. Ha intenzione di boicottare il salone del Libro? «Sì, e lo faremo sapere in modo chiaro. Nel momento in cui viene pubblicato il rapporto della commissione d’inchiesta israeliana Winograd su quanto accaduto nell’estate del 2006 in Libano, il quale mette in evidenza solo gli errori del governo israeliano nel gestire la guerra senza parlare assolutamente delle vittime civili libanesi, nel momento in cui assistiamo alla distruzione di Gaza a causa dell’assedio israeliano, siamo obbligati ad uscire dal nostro silenzio. È il momento che la coscienza internazionale si ribelli. Dobbiamo affermare in modo chiaro che non si può approvare nulla che provenga da Israele. Se vogliamo far cessare le violenze nei territori palestinesi dobbiamo porre fine al nostro silenzio. È il nostro silenzio internazionale che produce le violenze che si registrano in Medio Oriente e nel momento in cui sapremo denunciarle e saremo coerenti le cose cambieranno. A partire da ora non possiamo riconoscere la legittimità di celebrare uno Stato nel momento in cui si tratta di Israele, il quale lascia una scia di morte e desolazione». C’è quindi un appello che lei vuole lanciare agli scrittori arabi e musulmani affinché boicottino la fiera del Libro di Torino ? «Mi rivolgo non sono agli scrittori arabi e musulmani, ma a tutti gli uomini di coscienza. Normalmente, per essere coerente, ogni uomo e donna europei di coscienza che rispettano i diritti e la dignità dell’uomo devono boicottarla. Non è affatto una questione araba o islamica, ma è un problema di coscienza internazionale. Se la comunità internazionale tace e continua a tacere davanti a persone che reprimono e usano la violenza, per farla cessare è necessario non tacere ». * Inviato a Parigi Aki - Adnkronos International (traduzione per Libero di Hamza Boccolini)
Tahar Ben Jelloun sulla Repubblica si dimostra meno fanatico di Ramadan e prende le distanze dal boicottaggio.
Le sue motivazioni confermano però che anche per lui Israele deve rimanere perennemente sul banco degli imputati.
Il boicottaggio, scrive è "un modo per fornire allo Stato di Israele argomenti per presentarsi non come occupante dei territori palestinesi, bensì come vittima".
L' "occupazione" della Cisgiordania, ricordiamo, è conseguenza di una guerra di aggressione araba, che mirava a distruggere Israele.
L'intolleranza che originò il conflitto del 67 è la stessa che oggi ispira i fautori del boicottaggio, che Ben Jelloun condanna, evidentemente, solo per ragioni tattiche.
Ecco il testo:
Sto leggendo l´ultimo romanzo di Amos Oz, Vie et mort en quatre rimes e ho messo da parte quello di Amir Gutfreund, Les gens indispensables ne meurent jamais, per leggerlo nelle prossime vacanze, essendo di ben 500 pagine. Se comprendo bene la logica di coloro che lanciano una campagna per il boicottaggio del prossimo salone del libro di Torino, dovrei gettar via questi due libri, forse addirittura bruciarli. Perché? Perché sono scritti da israeliani. Contemporaneamente, il pubblico israeliano dovrebbe esso pure gettar via i miei libri tradotti in ebraico, e condannarli all´esilio. Si potrebbe continuare questo giochetto e impedire ad esempio che i poemi del palestinese Mahmud Darwish possano entrare nelle librerie e nelle case israeliane. Sarebbe una guerra contro la cultura, da qualsiasi parte provenga. È contrario allo spirito della civiltà araba e non può produrre altro che catastrofi, erigere il muro dell´incomprensione, della paura e dell´odio.
Bisogna distinguere in modo netto: la politica di uno Stato non è assimilabile alla produzione letteraria degli scrittori di quello Stato. Io sono tra coloro che criticano con la massima durezza la politica di occupazione, e non confondo Olmert con Oz, Grossman o Gutfreund. Posso anche non amare una determinata opera. Ma questo non ha niente a che vedere con il Paese di origine di chi l´ha scritta.
Boicottare il salone del libro di Torino non ha senso. Un po´ ovunque nel mondo ci sono scrittori israeliani che incontrano scrittori arabi e palestinesi. Il dialogo tra di loro non è il dialogo tra i loro Stati. Loro discutono, possono anche litigare, ma il boicottaggio è un´ammissione di debolezza, un modo per generalizzare il fanatismo, e anche un modo per fornire allo Stato di Israele argomenti per presentarsi non come occupante dei territori palestinesi, bensì come vittima
I palestinesi non hanno bisogno di questa piccola guerra che non soddisferà le loro speranze. Il popolo palestinese ha bisogno di giustizia, ha bisogno di uno Stato vero, all´interno di frontiere certe e riconosciute. Non sa che farsene di questo boicottaggio nel momento in cui sono in corso dei negoziati, anche se non portano a risultati soddisfacenti.
Bisogna finirla con questi riflessi di un´altra epoca, e ammettere che ci saranno due Stati, fianco a fianco, Israele e la Palestina. Presto o tardi, questi due popoli giungeranno a coesistere. Sono stanchi entrambi e vogliono vivere in pace. Gli attacchi quasi quotidiani contro la gente di Gaza sono inammissibili, perché si tratta di famiglie penalizzate a causa dei loro dirigenti. In ogni caso, non è il boicottaggio del prossimo salone del libro di Torino che aprirà il cammino della pace e della riconciliazione. Criticare la politica di uno Stato. Criticare un romanzo sul piano letterario. Tutto questo è possibile. Mai, però, confondere le due cose e suscitare in questo modo incomprensioni maggiori. Servirà soltanto a fare gli interessi dei mercanti d´armi.
Traduzione di Fabio Galimberti.
Da Il FOGLIO , un articolo di Giorgio Israel
La gazzarra attorno all´invito a Israele come paese ospite della XXI Fiera del Libro di Torino sta assomigliando maledettamente alla vicenda della mancata visita del Papa alla Sapienza. Ricordiamo i tre fattori che sono intervenuti nel meccanismo che ha determinato la rinuncia del Papa. Il primo è stata la palla "culturale" lanciata da un gruppo di docenti sulla base dell´argomento inconsistente che il Papa voleva rifare il processo a Galileo. Il secondo fattore è stato il solito gruppo di violenti che staziona alla Sapienza da tre generazioni, che ha raccolto la palla e ha minacciato sfracelli, contestazioni acustiche e peggio. L´interazione di questi due fattori ha fatto crescere la tensione alle stelle. È intervenuto allora il terzo ingrediente, ovvero l´ignavia istituzionale, in particolare del governo che evidentemente non ha dato al rettore le garanzie del caso, se è potuto accadere che i violenti occupassero il rettorato e ottenessero, attraverso un ricatto, il controllo di gran parte dell´area antistante l´Aula Magna per autogestire la contestazione. L´aspetto inaudito è che vi sia chi difende l´idea che agire così sia garantire la libertà di espressione. Ma che paese è mai quello in cui si ritiene "democratico" ricevere un invitato a pernacchie e pomodorate, offrendo una piattaforma di lancio adeguata a cogliere il bersaglio? È il paese in cui certi "educatori" pensano che sia libera espressione del pensiero, garantita dalla Costituzione, entrare in un´aula, srotolare uno striscione e sbraitare slogan impedendo di parlare chi è stato designato a farlo. Perciò, ha fatto benissimo il Papa a non andare.