Da TEMPI di giovedì 30 gennaio 2008:
Un tema su cui ho aperto la rubrica nel 2008 è stato il dramma dei
soldati israeliani rapiti da Hezbollah e Hamas e di cui nessuno sa
nulla da un anno e mezzo, il silenzio e l’assenza di reazioni attorno
a questa vicenda, soprattutto da parte di chi è invece prontissimo ad
accusare Israele di tutte le nefandezze del mondo. Il primo esplicito
“intervento sul tema è venuto dallo sceicco Nasrallah, capo di
Hezbollah, che ha dichiarato che il suo movimento detiene pezzi di
cadaveri di soldati israeliani: piedi, gambe, teste e persino un
tronco. Non ha specificato quali siano le modalità di conservazione.
A un simile proclama degno di un serial killer non ha reagito quasi
nessuno. Le teste si sono girate dall’altra parte. Nel mondo islamico
non si è levata una sola voce, nessuno si è vergognato, nessuno ha
sentito l’esigenza di prendere le distanze, almeno per salvare la
faccia. Eppure ci si trovava di fronte alla prova tangibile che i
proclami e le “carte costituzionali” (come quella di Hamas) che
stabiliscono l’obbiettivo di trucidare ogni ebreo a tiro, non sono
chiacchiere. Sarebbe stato naturale che la delegazione musulmana che
si accingeva a visitare la Sinagoga di Roma almeno prendesse le
distanze pubblicamente. E invece, per tutta risposta, la visita è
stata annullata, sotto la pressione della dichiarazione di un
esponente di spicco della Università Al Azhar secondo cui «il dialogo
con l’Ebraismo non è contemplato finché non saranno restituiti i
diritti a chi ne è titolare». Come ha spiegato chiaramente Magdi
Allam, questo significa semplicemente: fino a che l’intera Palestina
non sarà interamente sottratta agli ebrei.
Che cosa si sarebbe detto se l’esponente di un’altra religione – per
esempio un cristiano – avesse fatto dichiarazioni come quelle di
Nasrallah e nessuno le avesse deplorate, rincarando anzi la dose con
la cancellazione della visita alla Sinagoga sotto lo stimolo di un
intervento come quello proveniente da Al Azhar? Sarebbe scoppiato uno
scandalo di proporzioni enormi.
In questo contesto drammatico, di fronte al continuo lancio di
missili da Gaza sui territori israeliani, le inevitabili reazioni di
Israele vengono stigmatizzate dal nostro ineffabile ministro degli
esteri dicendo che se «nessuno può giustificare il lancio di missili
da Gaza verso il territorio israeliano», allo stesso tempo «la
punizione collettiva di un’intera popolazione, attraverso il taglio
di servizi essenziali, tramite misure che mettono in discussione
persino il funzionamento degli ospedali non può essere compresa». A
prescindere dal fatto che questo taglio ha avuto finora un’entità
molto limitata e che la responsabilità dell’esodo di palestinesi da
Gaza verso l’Egitto ricade tutta su Hamas, sarebbe interessante
sapere da D’Alema che cosa farebbe lui al posto di Israele, a parte
lasciarsi bombardare senza reagire. Ma soprattutto si vorrebbe sapere
da lui come vada definito il lancio di missili che ha praticamente
ridotto la città di Sderot a una città fantasma, da cui la gente
fugge perché è diventato difficilissimo viverci. Colpire la
popolazione civile di un’intera città, in modo indiscriminato non è
forse una “punizione collettiva”? Se non si ammette questo, vuol dire
che si considerano i civili israeliani alla stregua di militari,
ovvero si accetta la tesi dei terroristi. Questo è l’uomo che taluni
descrivono come un vertice di intelligenza e di razionalità. La
verità è che si tratta di una mente ottenebrata dall’ostilità e dal
pregiudizio. La buona notizia è che il paese non sarà più
rappresentato da un siffatto ministro degli esteri.
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