Un intervista ad Abraham B. Yehoshua sulla Giornata della Memoria
accostata a un fazioso appello per Gaza
Testata:
Data: 27/01/2008
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Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Yehoshua: l’Europa ci aiuti a battere l’antisemitismo anche nell’Islam - Le Chiese cristiane: porre fine al dolore di Gaza
L'UNITA' del 27 gennaio 2008, in occasione della giornata della memoria pubblica un'intervista allo scrittore israeliano Abaraham B. Yehoshua, che riportiamo:

La forza della Memoria nella Giornata della Memoria. Una cavalcata nel tempo. Per non dimenticare. È quella condotta dal più grande scrittore israeliano contemporaneo: Abraham Bet Yehoshua.
Oggi viene commemorata in Europa la Giornata della Memoria. Qual è, ai suoi occhi, il valore di questo evento?
«Ho un grande rispetto per questa decisione dell’Europa, e penso sia giusto che la commemorazione della Shoah avvenga proprio là, nei luoghi, nelle strade, nelle foreste, in cui tutto ciò è fisicamente avvenuto. La Shoah non è una questione limitata alla Germania. I popoli europei che vi hanno preso parte sono molti, ed è quindi giusto che questa consapevolezza penetri nelle coscienze di tutti gli europei. Penso poi che sia giusto dare una propria identità ad ognuna delle tragedie che rientrano nella triste categoria del genocidio. E sia chiaro che dico questo non per diminuire la gravità degli altri genocidi - come ad esempio quelli avvenuti in Ruanda o in Cambogia - ma per evitare che la specificità di ognuno di questi venga offuscata o confusa. La specificità della Shoah sta - fra l’altro - nella sua incomprensibilità, a meno che non si faccia un semplicistico ricorso alla malvagità umana. Nel caso degli ebrei, non questioni territoriali, ideologiche, etniche, economiche o religiose hanno rappresentato il sostrato del genocidio, come è avvenuto in tutti gli altri casi. Gli ebrei europei aspiravano all’integrazione nelle società in cui vivevano; non rappresentavano alcuna minaccia teologica o religiosa né per le società più vicine alla religione né tanto meno per un regime come quello nazista che era laico e perfino anti-clericale; economicamente parlando, lo sfruttamento degli ebrei vivi sarebbe senz’altro stato enormemente più vantaggioso rispetto all’annientamento deciso nei loro confronti. L’inafferrabilità delle motivazioni che hanno portato alla Shoah non può che rafforzare l’idea che - dopo quanto è avvenuto - solo il popolo ebraico può essere responsabile del proprio futuro».
Quindi Israele come patria del popolo ebraico è l’unica soluzione all’antisemitismo?
«È così. Le nazioni europee lo avevano già cominciato a capire prima dell’Olocausto, ma purtroppo non abbastanza da precederlo. Dopo la Shoah in parte per convinzione e in parte per l’orrore di cui erano stati testimoni, tutti - tanto l’Europa occidentale quanto quella orientale - in un periodo molto problematico dei loro rapporti, hanno avuto fra i pochi punti di concordia, il supporto alla nascita e allo sviluppo dello Stato d’Israele. Avevano visto a che cosa aveva portato l’antisemitismo, ne sono rimasti inorriditi e hanno compreso che l’antisemitismo non era da combattere solo per salvare le vittime dalla propria sorte di vittime, ma anche per salvare i carnefici dalla propria sorte di carnefici».
E la Giornata della Memoria deve aiutare ad approfondire questo aspetto della Shoah?
«Questo e tanti altri. Il valore dell’assunzione di responsabilità è importante ma soprattutto per quanto concerne l’approfondimento del significato degli atti del proprio popolo, della comprensione delle motivazioni per cui le cose sono avvenute. In quanto a noi ebrei, dobbiamo scavare nella nostra identità per capire in che modo la nostra presenza nella storia possa avere creato quello oscuro spazio ideologico che è stato colmato da quelle idee insane e farneticanti che sono state fatte proprie da tanti e che hanno portato alla tragedia dell’Olocausto. Ma di quella tragedia c’è un aspetto che non va sottovalutato».
Quale?
«Riusciamo a capire meglio l’uomo, dopo l’Olocausto. È vero, abbiamo sempre saputo che l’uomo è capace di compiere il male più efferato e il bene più straordinario; ma nonostante questo l’Olocausto ci ha svelato un nuovo abisso di male a cui l’uomo può giungere, ma anche la forza della sua resistenza. Degli scheletri ambulanti nei campi di concentramento, che da un punto di vista biologico dovevano quasi considerarsi come morti, davano ancora delle prove di moralità, dividendo con gli altri l’ultimo pezzo di pane che restava. Dalla disperazione più tremenda può perciò nascere anche la speranza. Noi che siamo stati lì, e che ne siamo usciti, possiamo e secondo me dobbiamo alzare il vessillo della fede nell’uomo».
Questo evento - la stessa decisione di celebrare una Giornata della Memoria - è senz’altro un passo importante sul piano della memoria storica, ma i dati di indagini riportano che, nonostante tutto, l’antisemitismo è in espansione. Quali misure si aspetta dall’Europa per debellare questo virus?
«Sono preoccupato del fatto che, purtroppo, il virus dell’antisemitismo non è stato debellato. Si è indebolito; oggi non può mostrarsi in tutta la sua virulenza perché considerato inadatto, sconveniente; ma nelle sue nuove mutazioni continua ad essere presente e a lanciare anatemi e accuse spesso ingiuste contro Israele. Io sono il primo a sollevare critiche sugli errori dei governi israeliani, ma nello stesso tempo individuo spessissimo in molti degli attacchi portati a Israele cose che con le divergenze politiche non hanno nulla a che fare e che riportano invece a meccanismi che vorremmo cancellati. So che debellare completamente l’antisemitismo è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è il combatterlo sotto ogni sua forma. L’Europa lo deve combattere con tutta la sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene. Per la salute delle proprie società. Per non permettere che questo virus si espanda e colpisca le parti vitali del proprio organismo. La Giornata della Memoria ha dietro di sé una storia breve, ma mi sembra già di individuarne la sua importanza. Una importanza che non sta, ovviamente, nelle cerimonie che avvengono quel giorno, ma in tutto quello che c’è intorno, che la prepara: le azioni educative; la trattazione dell’argomento da parte dei mass media. Con il bombardamento di informazioni che ognuno vive ogni giorno, solo un approfondimento morale e intellettuale del tema ha la possibilità di penetrare il cuore e le menti. E gli ebrei continueranno ad aggiungere a questo approfondimento, il proprio lutto, individuale e di popolo».
Oggi - con tutte le divergenze politiche esistenti e perfino con il sopra ricordato aumento dell’antisemitismo - l’Europa non è certo ostile a Israele. I pericoli all’esistenza di Israele vengono da altre direzioni, soprattutto dall’Islam radicale e fondamentalista, che spesso abbraccia le tesi negazioniste sull’Olocausto. Come va trattato questo singolare antisemitismo?
«In questo sta il doppio impegno dell’Europa. Capire per sé stessa - per il proprio passato e per il proprio futuro - e dall’altra parte aiutare altri - in questo caso il mondo islamico e arabo - a capire fin dove può portare l’estremizzazione. Il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme - lo Yad Vashem - ha messo in rete alcuni giorni fa il proprio sito in arabo. È un’iniziativa lodevole, importante, ma che avrà un senso solo se sarà l’Europa a sostenere la tesi della pericolosità dell’antisemitismo per le società che vogliono progredire civilmente. Solo l’Europa può convincere il mondo arabo degli effetti distruttivi della demonizzazione e della volontà di annientare un altro popolo. E qui entra in gioco la politica. Ma quella buona; quella che potrebbe portare alla soluzione del conflitto fra arabi e israeliani. Con un’Europa che nella sua equidistanza faccia capire al mondo arabo la legittimità dell’esistenza di Israele come patria del popolo ebraico, e a Israele la necessità di dare ai palestinesi un proprio Stato in cui non ci sia alcuna sua ingerenza nelle loro vite. Dopo aver giocato durante la Shoah il ruolo di portatrice di guerra, l’Europa deve ora cercare di essere portatrice di pace. L’impegno in Libano alimenta questa speranza».
Il tema della pace ci porta alla più stretta attualità. E al dramma di Gaza. Come uscirne?
«Con una tregua. Da negoziare. Subito. Non vedo altre strade, né per noi, tanto meno per i palestinesi. Sia chiaro: lungi da me sottovalutare le responsabilità pesantissime che i capi di Hamas hanno nell’aver determinato questa situazione. Penso che quell’umanità disperata che si trascina in Egitto alla ricerca di cibo debba chiedere conto dei propri patimenti ai leader di Hamas. I lanci continui, martellanti, di razzi contro Sderot, Ashqelon e le altre città del sud di Israele sono alla base di questa situazione. Riconosciuto ciò, resto convinto che la risposta militare, da sola, sia una non risposta. Con Hamas occorre ricercare un cessate il fuoco. E non vale il discorso, riproposto più volte dal primo ministro Ehud Olmert, che Israele non negozia con chi non ci riconosce o vuole distruggerci. Non vale perché è la storia a smentirlo. La storia d’Israele, dalla sua fondazione ai giorni nostri, è segnata da guerre ma anche da accordi fatti con chi non nascondeva, e spesso praticava, il proposito di rigettare a mare gli ebrei. A Olmert dico: segui l’esempio non solo di un padre della patria, come David Ben Gurion, ma anche di leader conservatori, come Menachem Begin, che non considerarono prova di debolezza, ma semmai di forza, la ricerca di un accordo, fosse anche una tregua, con il nemico».
In ultimo, tornerei sul valore della Memoria. In un suo libro, lei ha affermato, cito testualmente, che «come figli delle vittime, ci incombe l’obbligo di enunciare al mondo alcuni insegnamenti fondamentali». Qual è quello più attuale?
«La profonda repulsione, il rigetto più fermo, per il razzismo e per il nazionalismo oltranzista. Abbiamo visto sulle nostre carni il prezzo del razzismo e del nazionalismo estremisti, e perciò dobbiamo respingere queste manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e noi stessi, ma per ogni luogo e per ogni popolo».

Nella stessa pagina, si trova un articolo che nulla ha a che vedere con la giornata della memoria.

La scelta di accostare l'intervista a Yehoshua all'appello delle "Chiese cristiane di Gerusalemme e della Terrasanta" per Gaza (non si registra naturalmente nessun appello per Sderot) non si spiega se non con la volontà di associare alla memoria della Shoah la riprovazione verso Israele.

Ecco il testo dell'articolo:


«Nel nome di Dio, noi, capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme e della Terrasanta, chiediamo alla comunità internazionale di porre fine alla sofferenza di Gaza». È l'accorato appello lanciato dai patriarchi e dai capi delle Chiese cristiane in Terrasanta in un documento che sottolinea la sofferenza della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza per l'assenza di servizi, acqua e medicine. I leader cristiani ricordano che oltre mezzo milione di persone sono senza cibo e assistenza medica e oltre ottocentomila prive di corrente elettrica. «Questa è un'ingiusta punizione collettiva, un atto immorale in violazione dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. La chiusura di Gaza deve finire». Nel testo si chiede alla comunità internazionale e alla Ue di agire senza indugi dato che sono a rischio numerose vite umane. Un'esortazione estesa anche a Palestina e a Israele: «Chiediamo ai leader palestinesi di porre fine alle loro divisioni per il bene della gente di Gaza. Mettete da parte le vostre differenze e risolvete la crisi per il bene di tutti gli esseri umani, dimostrando di avere a cuore la sorte dei vostri fratelli e sorelle che già hanno sofferto troppo». Mentre ai governanti israeliani si chiede di «agire responsabilmente e a far cessare il prima possibile questo assedio inumano. Negare ai bambini e ai civili i beni di prima necessità non è un modo per garantire la sicurezza ma serve solo a gettare la regione in condizioni di ulteriore pericoloso deterioramento». Per evitare queste conseguenze occorre che da entrambe le parti sia rispettato il diritto di ogni persona a vivere pacificamente, «considerando - scrivono i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di Terrasanta - l'amore che Dio ha per ogni creatura umana». Solo una pace giusta «proteggerà la dignità della vita civile e sociale di tutti e due i popoli».
Rivolgendosi quindi ai miliziani che continuano a sparare razzi , il documento invita gli estremisti a non insistere nelle loro operazioni belliche per non incoraggiare l'opinione pubblica a pensare che tale assedio sia giustificato. Sul terreno, è sempre esodo. Non più solo palestinesi che dalla Striscia si riversano in Egitto attraverso la frontiera di Rafah, ma da ieri anche un flusso in senso contrario, con centinaia, probabilmente migliaia, di egiziani entrati nella Striscia approfittando dalla totale assenza di controlli alla frontiera. In gran maggioranza sono commercianti, la cui presenza è particolarmente visibile nel mercato cittadino di Gaza City, stracolmo di gente e dove per la prima volta da molto tempo negozi e le bancarelle, colpiti da mesi di stretto isolamento della Striscia, tornano a riempirsi di prodotti. E la crisi di Gaza sarà al centro dell'incontro in programma oggi a Gerusalemme tra il presidente dell'Anp Abu Mazen e il premier israeliano Olmert. Fonti palestinesi hanno anticipato che Abu Mazen chiederà a Olmert la fine dell'assedio della Striscia e si offrirà di assumere il controllo dei valichi di confine con Gaza. Chiederà inoltre la fine delle restrizioni ai movimenti di merci e persone in Cisgiordania, mediante la revoca dei numerosi posti di blocco dell'esercito.

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