I frutti di Annapolis: non la pace, ma nuovi finanziamenti all'Autorità palestinese
senza chiedersi se saranno davvero utili
Testata:
Data: 17/12/2007
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Prestiti agevolati e scuola, dall’Italia 108 milioni all’Anp» - Parigi, il mondo a sostegno della Palestina
La Conferenza di Annapolis, per ora, non ha prodotto la pace. Ma ha prodotto, come è sempre avvenuto nel corso del "processo di pace" israelo-palestinese, finanziamenti all'Autorità palestinese.
L'UNITA' del 17 dicembre 2007 dedica ad essi due articoli: un'intervista al sottosegretario agli Esteri Patrizia Sentinelli e una cronaca sulla conferenza dei paesi donatori.
Il lettore che sia informato su come i finanziamenti internazionali sono stati utilizzati dall'Autorità palestinese (non il lettore abituale della sola UNITA', dunque) non può non temere che vada ancora una volta in scena lo stesso copione.
Dall'articolo sulla Conferenza apprendiamo che la somma raccolta "dovrebbe andare per due terzi a sostenere il budget dell’Anp" , non proprio un modello di trasparenza amministrativa e finanziaria...
Dall'intervista a Patrizia Sentinelli che l'Italia finanziarà la "giustizia", la sanità e l'"istruzione" palestinese.
Ci si chiede se siano state fornite garanzie che il sistema scolastico non venga utilizzato per indottrinare all'odio per Israele i bambini palestinesi, e il sistema giudiziario per mettere a tacere chi osasse criticare la gestione del potere da parte di Fatah ( e non, invece, per combattere il terrorismo).
Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte per gli annunciati finanziamenti all'Unrwa, un'agenzia che è servita a rrlegare i palestinesi nei campi profughi per 60 anni, e non a risolvere la loro situazione.
Nessuno di questi problemi viene affrontato dall' UNITA' che presenta acriticamente i finanziamenti come un importante contributo alla pace.
Di seguito, l'intervista:
È il primo, grande appuntamento internazionale dopo la Conferenza di Annapolis. Novanta delegazioni sono attese oggi a Parigi per la dare un seguito concrete alle speranze di pace emerse dal summit nel Maryland. A guidare la delegazione italiana è la vice ministra degli Esteri Patrizia Sentinelli.
Qual è il il significato politico della Conferenza dei Paesi donatori per la Palestina che si apre oggi a Parigi?
«Ritengo che quello di Parigi sia un appuntamento di grande importanza perché sostanzia la stessa Conferenza di Annapolis. Sappiamo che un accordo di pace fra israeliani e palestinesi passa per la soluzione di questioni cruciali quali i confini, lo status di Gerusalemme, i rifugiati... Di certo la Conferenza dei Paesi donatori può contribuire a far fare un passo in avanti alla ricerca di una pace giusta, duratura, tra pari, fondata sul principio di due popoli, due Stati. Dico questo perché la Comunità internazionale, e a questo serve la Conferenza di Parigi, può contribuire materialmente al rafforzamento dell’Autorità Palestinese del presidente Abu Mazen, sostenendo il processo politico israelo-palestinese ma anche rafforzando la capacità di “governance” dell’Anp soprattutto per quanto riguarda gli elementi sociali, i servizi e il sistema formativo».
Cosa ha fatto e cosa intende fare l’Italia per rafforzare l’Anp?
«Voglio ricordare che recentemente ho effettuato una missione in Israele e in Palestina, nell’ambito della quale ho potuto incontrare sia a Gerusalemme che a Ramallah e Betlemme,rappresentanti della società civili ed esponenti di primo piano del governo palestinesi. Questi incontri hanno permesso di rinsaldare i nostri legami, politici e di cooperazione. Dico questo per rimarcare l’importanza indiscutibile della presenza dell’Italia in Palestina attraverso le Organizzazioni non governative, le nostre associazioni di volontariato, i nostri Enti locali, che evidenziano una specificità dell’intervento italiano, per la sua profondità e articolazione, particolarmente apprezzata dalla popolazione e dai rappresentanti istituzionali palestinesi. Noi siamo lì per contribuire, sia con i rapporti bilaterali che con le agenzie Onu, in ambito multilaterale, al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione civile, con la convinzione che c’è un legame inscindibile tra sforzi diplomatici e solidarietà concreta che ridia speranza alla gente dei Territori. Ciò s’invera in interventi mirati per i rifugiati, a favore delle donne, in particolare penso ai progetti contro gli abusi e la violenza, in progetti che favoriscono il microcredito, le attività autoimprenditoriali, e così su altri campi sociali...».
Con quali impegni concreti l’Italia intende presentarsi alla Conferenza dei Paesi donatori?
«A Parigi intendiamo annunciare innanzitutto nuovi impegni quantitativi: in aggiunta ai 140 milioni di euro già attivati, l’Italia investirà in Palestina, per la Palestina, altri 108 milioni nei prossimi anni: 56 per prestiti a basso tasso, 52 in aiuti, e ulteriori 80 a dono per il biennio 2008-2010, finalizzati in particolare a sostegno della giustizia, della salute e dell’educazione. Nell’ambito multilaterale, l’Italia sosterrà nel 2008 l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) con 10 milioni di euro, il doppio del 2007: ogni giorno, voglio sottolinearlo, 500mila bambini palestinesi studiano nelle scuole dell’agenzia. A tutto ciò va aggiunto un altro progetto particolarmente significativo: l’attivazione a Milano di un corso di formazione per diplomatici dell’Autorità nazionale palestinese; significativo perché testimonia la nostra convinzione che assieme agli aiuti finanziari e ai progetti di cooperazione economica, è anche importante contribuire alla formazione della classe dirigente del futuro Stato di Palestina».
Ciò significa che per l’Italia la questione palestinese resta centrale?
«Senza dubbio. Dobbiamo investire sulle prospettive tracciate da Annapolis perché serve raggiungere una pace che definendo uno Stato indipendente di Palestina, dia certezza alle aspettative dei palestinesi, e sicurezza a Israele. Questo servirà alla stabilizzazione dell’intera regione mediorientale ma anche all’Italia per affermare che il negoziato è davvero l’unica strada possibile, così come la politica multilaterale è la scelta strategica in sostituzione dell’unilateralismo che ha tragicamente fallito in Iraq».
La cronaca:
70 Paesi partecipano alla conferenza dei donatori. Inizia il «dopo-Annapolis»
Il cammino della pace in Medio Oriente passa oggi per Parigi. La comunità internazionale si ritrova nella capitale francese per sostenere finanziariamente l’Autorità nazionale palestinese del presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), cercando così di rafforzare le speranze ancora fragili scaturite dalla Conferenza di Annapolis di fine novembre. Novanta delegazioni (70 Paesi) daranno vita alla «Conferenza dei donatori per lo Stato palestinese», con il proposito di raccogliere 5,6 miliardi di dollari chiesti dall’Anp per un piano economico triennale 2008-2010. L’importanza dell’appuntamento è dato anche dalla qualità delle presenze: a Parigi si ritroveranno, tra gli altri, la segretaria di Stato Usa Condoleezza Rice, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. A guidare la delegazione palestinese sarà il presidente Abu Mazen, quella israeliana, la ministra degli Esteri Tzipi Livni. La Conferenza deve «fornire un sostegno finanziario e politico all’Anp» permettendo alla leadership di Abu Mazen di «dotarsi dei mezzi necessari per costruire uno Stato vivibile», sottolinea il portavoce del presidente francese Nicolas Sarkozy, David Martinon. E sarà proprio il capo dell’Eliseo ad aprire questa mattina i lavori della Conferenza. La somma raccolta dovrebbe andare per due terzi a sostenere il budget dell’Anp, il resto a progetti destinati ad avere un impatto immediato sulla vita quotidiana della popolazione. «Avere il sostegno dei donatori è essenziale. Parigi non potrà dirsi un successo se la somma destinata al budget non sarà raggiunta, perché di quei soldi abbiamo un bisogno urgente«, ribadisce il primo ministro palestinese Salam Fayyad. La Conferenza di Parigi dovrebbe anche favorire un superamento progressivo delle restrizioni israeliane alla libertà di movimento nei Territori - oggi esistono 550 check-point israeliani in Cisgiordania - e sollecitare uno sforzo maggiore dei palestinesi in materia di sicurezza.
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