La "carità islamica" a Gaza è legata o no ad Hamas ?
dipende, da quel che fa comodo alla propaganda
Testata:
Data: 11/12/2007
Pagina: 7
Autore: Paola Caridi
Titolo: Aspettando Godot nel limbo di Gaza

Paola Caridi, sul RIFORMISTA dell'11 dicembre 2007, tace accuratamente dei dirottamenti di carburante operati dai terroristi palestinesi dall'uso civile a quello bellico, tace delle mancate richieste di medicinali, dei divieti di importazione di frutta e verdura israeliana, scelte operate da Hamas allo scopo di creare problemi umanitari.
Invece, nel descrivere la difficile situazione della popolazione di Gaza,
lamenta il mancato finanziamento da parte degli Stati Uniti della "charity", legata ad Hamas, Al Saleh.
Precisa che Al Saleh
 "a dire il vero, è nata dieci anni prima di Hamas, e aveva ottenuto anche la licenza di operare da parte di Israele, potenza occupante."

Il permesso di operare concesso alle organizzazioni caritative legate ai Fratelli musulmani è l'unico elemento di fatto che può essere   citato per avvalorare la tesi del "sostegno" israeliano ad Hamas.
In modo comunque impreciso e ingannevole, dato che, appunto, quando tale permesso venne concesso, Hamas, come organizzazione politico-terroristica ancora non esisteva. Ma non importa. Israele, su questa fragile base,  viene accusata di essersi comportata come l'apprendista stregone, "creando" Hamas per contrastare Fatah.

Oggi, quando Al Saleh è a pieno titolo una parte della macchina di indottrinamento all'odio fondamentalista e al terrorismo, l'accusa (agli Usa) è invece quella di non finanziarla, benché sia nata 10 anni prima di Hamas...


Ecco il testo completo dell'articolo:


Gaza. C'era una strana notizia che girava per Gaza, la scorsa settimana. Che anche i tre più alti dirigenti di Hamas stessero per varcare la frontiera di Rafah, quella che separa la Striscia dall'Egitto, per andare allo hajj , il pellegrinaggio che ogni fedele musulmano dovrebbe compiere alla Mecca in concomitanza con la festa del sacrificio. Ismail Haniyeh, Said Siyyam e Mahmoud A-Zahhar si sarebbero aggiunti, dunque, alle centinaia di fedeli per i quali Rafah era stata riaperta, scavalcando il governo d'emergenza di Ramallah e suscitando le reazioni severe delle autorità israeliane.
Niente di più di una leggenda metropolitana. Impossibile, a rigor di logica, che i tre leader di punta di Hamas lascino Gaza in un momento così delicato. Eppure, qualcosa di vero nelle voci c'è sempre. Persino nel pellegrinaggio del vertice politico di Hamas. Perché la scorsa settimana, in effetti, qualcuno di loro in Arabia Saudita c'è andato. Non in un luogo santo come la Mecca. Bensì nel centro del potere "terreno" saudita, Riyadh, che sabato ha visto Khaled Meshaal, capo dell'ufficio politico di Hamas, arrivare per parlare - dicono le notizie di stampa - di dialogo rinnovato con Fatah. Una possibilità che, nelle stesse ore, era stata reiterata dal consigliere politico più stretto di Haniyeh. Ahmed Youssef avrebbe mandato a Condoleezza Rice una lettera aperta per chiedere ancora una volta la riapertura dei canali con Fatah. E il superamento della dicotomia in atto tra Cisgiordania e Gaza.
Quante chance possano avere i tentativi condotti in questo caso da sauditi ed egiziani, non è dato sapere. Ma le mosse condotte in questi giorni dicono quello che si avverte palpabile, camminando per le vie di Gaza City. Che la Striscia è un luogo che sembra semi-addormentato, che aspetta Godot. C'è, per esempio, chi si attende una nuova invasione militare da parte di Israele, dove la questione viene discussa quotidianamente dalla stampa nazionale. E allora, le contromosse della gente di Gaza sono l'accantonamento delle scorte, comunque limitato perché - essendoci sempre meno carburante o gas - non si saprebbe come cucinare.
C'è, invece, chi s'aspetta che qualcosa cambi all'interno del quadro palestinese. A Gaza e a Ramallah, perché così non si sa quanto potrà ancora durare. La divisione tra le fazioni trafigge, dolorosamente, lo stesso tessuto sociale. C'è chi non ha stipendio da mesi, per esempio, e chi - al contrario - nei giorni scorsi si è messo in fila di fronte ai bancomat per ritirare il proprio stipendio. Che arrivava direttamente da Ramallah. Erano gli impiegati pubblici appartenenti a Fatah, assembrati sui marciapiedi di Gaza City a ricevere il salario che i loro colleghi di Hamas non percepiscono.
Non è, però, solo la gente comune a pensare che questo di oggi è una sorta di limbo che prima o poi dovrà diventare qualcos'altro. Il tempo sospeso lo si avverte nei palazzi del potere, in cui la precarietà è già nelle strutture. Come nel palazzo del Consiglio legislativo, il parlamento palestinese, che a Gaza City ha una delle sue sedi. La piccola sala dell'assemblea con le fotografie delle decine di parlamentari che si trovano nelle carceri israeliane. Gli uffici amministrativi, che ancora odorano di nuovo. E poi quel terzo piano, il fantasma della grande sala dell'assemblea che era in costruzione: solo i muri esterni ci sono, e solo quelli ci saranno, per il momento. Perché tra i prodotti che non entrano più nella Striscia da mesi, a causa del blocco, c'è anche il cemento. Poco più in là, il ministero degli esteri, a cui manca un'ala perché è stata bombardata dall'aviazione israeliana. Poche le riparazioni, all'interno. Appena qualche mattone a coprire un buco, e niente più.
Aspettando Godot, i sauditi, gli egiziani, l'invasione di terra, i gazani provano a vivere con quel che c'è. Che ormai è veramente poco, soprattutto nei campo profughi. Come quello di Deir el Balah. I poveri sono stati assistiti, negli scorsi trent'anni, dall'associazione di beneficenza Al Salah, messa recentemente nella lista nera statunitense delle charity legate a Hamas. Al Salah, a dire il vero, è nata dieci anni prima di Hamas, e aveva ottenuto anche la licenza di operare da parte di Israele, potenza occupante. Ora, i soldi ad Al Salah non arrivano più, attraverso le banche. E gli impiegati dicono che i soldi che ogni mese distribuivano a 15mila bambini (la gran maggioranza orfani di un genitore) basteranno sino alla fine dell'anno, forse per l'inizio del 2008. Poi non ce ne saranno più. Come non ci saranno soldi per l'ospedale che serve 7mila pazienti al mese e per le due scuole che ospitano mille studenti.

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